Riguardo al dibattito sulla validità o meno delle RSU intervengo a partire dall'esperienza concreta vissuta nella mia scuola, l'ITSOS Albe Steiner di Milano.
Come tutti sappiamo l'unica forma di rappresentanza sindacale nelle scuole, sino alle elezioni RSU, sono state le RSA, cioè i delegati designati dai sindacati e non dai lavoratori. All'ITSOS abbiamo deciso quattro anni fa di formare un "Consiglio delle delegate e dei delegati", imitando una serie (molto limitata) di esperienze contemporaneamente portate avanti in una serie di città (a Milano in altre tre scuole). L'impostazione riproduceva nello spirito quella dei Consigli di Fabbrica: elezione su scheda bianca senza sigle sindacali. In pratica accadeva questo: si formava una lista aperta non caratterizzata sindacalmente, si votavano al massimo due preferenze, e si eleggeva una rappresentanza di cinque lavoratrici/lavoratori di cui 2 ATA. Queste elezioni non disponevano di alcuna base giuridica, ma, dato che a queste elezioni partecipava ogni volta la stragrande maggioranza dei colleghi (partecipazione intorno al 90%, cioè quasi tutti i presenti il giorno della votazione), i due presidi che si sono succeduti hanno pensato fosse cosa saggia trattare con il Consiglio, che ha così firmato in questi anni una quindicina di accordi interni. Dato che temevamo la possibilità che le delegate e i delegati si burocratizzassero, abbiamo stabilito la regola di elezioni annuali con l'obbligo di rotazione ogni due mandati. Ad esempio per quanto mi riguarda sono stato eletto due volte e la terza non mi sono presentato, così le altre e gli altri. Il nome ("Consiglio delle delegate e dei delegati") non era scelto a caso dato che intendevamo stabilire un terreno di alleanza tra uomini e donne, ed in effetti le delegate sono state sempre almeno due e una volta la maggioranza. L'esistenza del Consiglio non ha affatto ridimensionato il dibattito sindacale interno. Al contrario, ce lo siamo inventato proprio per smuovere le acque. Doveva essere chiaro alle colleghe e ai colleghi, che fare sindacato è (può essere) una cosa utile e migliora (potrebbe migliorare) la vita concreta, quotidiana di tutti. E dunque la si doveva finire con una situazione in cui quando un lavoratore aveva un problema se lo doveva risolvere da solo (perché non ci sono assemblee sindacali che parlano di problemi che riguardano il singolo o che siano in grado di trattare più di un tema alla volta in un mese), o contrattarselo da solo col dirigente, o sopportare in silenzio o sfogare la propria rabbia verso falsi obiettivi (i propri colleghi). Quanto ai collegi docenti mi pare che un po' troppo spesso ci si dimentica che se mai dovessero affrontare temi di natura sindacale, comunque gli ATA, categoria con una incidenza femminile superiore a quella degli insegnanti, ne sarebbero esclusi.
Dunque l'elezione del Consiglio ha rilanciato il dibattito sindacale, perché colleghe e colleghi hanno fatto l'esperienza concreta che piccole cose potevano migliorare con un intervento collettivo, di cui il Consiglio era l'espressione quotidiana, e l'assemblea sindacale il luogo della "sovranità". Certo, non è stato l'esistenza di delegate e delegati che ha ridato fiato alla vita sindacale, ma le delegate e i delegati sono stati la forma concreta che ha preso la volontà collettiva di fare sindacato. Non abbiamo inventato nulla perché è così da per lo meno cento anni: se si vuole fare sindacato, che è un'attività quotidiana, non si può pensare che siano tutti e cento i lavoratori di una scuola o i mille di una fabbrica a praticarla. L'esistenza del delegato democratizza anche quelle situazioni in cui comunque troviamo "delegati di fatto": quelli e quelle che parlano sempre in assemblea e nei collegi, ma che non sono stati eletti da nessuno. Dopo la costituzione del Consiglio si sono svolte molte più assemblee sindacali e in questi quattro anni si sono "formati" al lavoro sindacale (senza bisogno di frequentare i corsi formazione di un sindacato o di un altro) una decina di colleghe e colleghi, il che ha contrinuito a far giocare alla scuola un ruolo di primo piano nella lotta contro il concorsone, dato che c'era già gente "allenata" a fare sindacato a partire dalla base, al di là delle sigle sindacali. Che questa non fosse l'aria che tira ovunque ce ne siamo accorti, prima con sorpresa, poi con amarezza, quando nel Coordinamento delle Scuole in Lotta nella sua fase calante c'era gente che pretendeva di giudicarci a partire dalle tessere che avevamo in tasca, immaginava che quella del Coordinamento fosse una "operazione" ordita furbescamente dalla CGIL, quando noi avevamo bellamente ignorato il problema, dato che nessun sindacato o corrente sindacale ci riconosceva, e dunque intorno al Consiglio ruotavano senza la minima preoccupazione di appartenenza iscritti e simpatizzanti CGIL, CISL, UIL, COBAS, SNALS e Gilda.
Non voglio disegnare però un quadretto idilliaco di quella esperienza. Personalmente ne sono uscito arricchito (posso dire che in quei due anni ho conosciuto davvero le colleghe e i colleghi, molto più dei sei anni precedenti passati nella scuola), ma mezzo esaurito. Il Consiglio inoltre soffriva di molti limiti. Ad esempio, dato che non aveva alle spalle strutture, riguardo alla consulenza era un po' deboluccio, molti lavoratori dicevano: "cavolo, questi qui fanno i delegati e non sanno un tubo!". Il primo anno poi era tale l'inesperienza che abbiamo spesso frainteso le indicazioni e i voleri delle assemblee sindacali, alle quali dovevamo rendere conto periodicamente, spesso siamo andati alla guerra contro la dirigenza, poi ci voltavamo indietro e ci accorgevamo che erano spariti tutti. Inoltre vi sono stati casi di divisioni piuttosto antipatiche sulla tattica da utilizzare verso la dirigenza. L'ultimo anno il Consiglio ha funzionato pochissimo, assorbiti come eravamo tutti da note faccende. Francamente, prima di conoscere grazie al Coodinamento la realtà delle altre scuole, non ero portato a valorizzare granché quell'esperienza, ora però ci ho ripensato, e credo che abbiamo fatto la cosa giusta.
Quando sono arrivate le RSU non c'è stato alcun bisogno di spiegare cosa doveva fare un delegato. Nell'ultima assemblea una collega appena arrivata e che non conosceva il nostro percorso e che ha proposto una lista di un piccolo sindacato ha assicurato che se votavamo quella lista allora quei delegati si sarebbero sentiti impegnati a non prendere decisioni senza il consenso dell'assemblea sindacale. La delegata del Consiglio presente ha istantaneamente proposto di mettere ai voti che quello doveva essere l'impegno di tutte le delegate e delegati eletti, indipendentemente dalla sigla di appartenenza. Lo abbiamo fatto per tranquillizzare i nuovi, perché per noi, seppur scalcinati sotto vari aspetti, la cosa è data per scontata. Non c'è nessun delegato che possa burocratizzarsi se c'è un'assemblea vigile. Le delegate e i delegati devono essere l'articolazione concreta e quotidiana di quel che decide l'assemblea sindacale (e non il Collegio Docenti che discute decisamente di altre cose). Nei due anni in cui sono stato delegato e dei quali posso rendere testimonianza, hanno fatto ricorso al Consiglio delle delegate e dei delegati circa 60 persone, quasi tutti gli ATA (una trentina) e il resto insegnanti, e il Consiglio ha trattato, su mandato, sulle questioni più varie: lettere della dirigenza, mobbing, organizzazione del lavoro, pagamento ore straordinarie, visita fiscale, gestione dei giorni di ferie, ecc. Nessuna legge ci legittimava, ma lo abbiamo fatto. Le assemblee sindacali, così, servivano a discutere di questioni più generali, ad esempio il contratto. Il Consiglio era tenuto a preparare i materiali, ecc. per l'assemblea, che non era quasi mai introdotta da un funzionario sindacale, che chiamiamo solo se ci dobbiamo litigare. Anche la discussione sulle RSU l'abbiamo condotta senza funzionario sindacale. Le riunioni del Consiglio, fino ad un anno fa (perché come ho detto da un anno il Consiglio non funziona a causa di altre riunioni a cui molti hanno partecipato) erano aperte, di pomeriggio, e con un cartello si avvisava dell'ora e del posto. Vi partecipavano un numero variabile di persone (a volte nessuna, a volte 15-20). La discussione che abbiamo fatto sul contratto ci ha permesso di esprimere un voto molto qualificato: larghissima partecipazione al voto e 90% di no.
All'epoca della costituzione del Consiglio, la nostra non era una scuola unita. A causa di una lacerante discussione sul nuovo progetto era anzi divisa esattamente a metà, con le due parti in guerra furibonda. E' stato proprio il lavoro sindacale, condotto a partire dalla base, che ha consentito, lentamente, di ricostruire un tessuto solidale. L'essere insegnanti ci aveva diviso, l'essere lavoratori alla fine ci ha unito. Poi il movimento di questo anno ha dato l'incoraggiamento definitivo. Nel Coordinamento mi sono trovato in totale sintonia con colleghi che qualche anno prima avevano smesso di salutarmi.
So molto bene che esistono una gran quantità di scuole dove vi sono delegati imbalsamati e che pensano sostanzialmente ai fattacci loro. Bene, io vi ho illustrato però un caso opposto. Ciò significa concretamente una cosa molto semplice, e del resto molto ragionevole: che i delegati possono essere una cosa buona o cattiva a seconda della forza e dell'autorevolezza espressa dalla massa che li elegge. Se questa massa c'è, allora il delegato diviene una concretizzazione della volontà collettiva. Concretizzazione la cui importanza non ci deve sfuggire: a contrattare col preside non ci può andare tutta un'assemblea sindacale. Non tutti del resto hanno la fortuna, come Vita, di stare in una scuola dove la dirigente è una donna intelligente che stimiamo. Mi piacerebbe che nelle scuole non fosse necessario contrattare e che gli istituti pullulassero di dirigenti illuminati, cortesi, privi di ambizione e con uno scarsissimo attaccamento al denaro. Mi pare però che non sia una realtà diffusa, e dunque tocca attrezzarsi per litigare. Le relazioni nella scuola non sono solo orizzontali, vi sono anche relazioni di potere, e non si tratta di una novità: relazioni di potere ve ne erano anche ben prima dell'autonomia.
Del resto vanno denunciati i limiti di queste RSU. Il fatto più disastroso: si vota secondo la sigla sindacale. E' un fatto che ha già inciso pesantemente sulle mobilitazioni di questo anno: non ci deve sfuggire che la ragione vera per cui anche sindacati di cui nessun lavoratore riuscirebbe mai a verbalizzare la differenza - con l'eccezione dei loro sempiterni dirigenti - persistano a convocare scioperi in date diverse, sta proprio nella necessità tutta elettorale di "essere visibili". E' vero anche che queste particolari RSU non hanno un carattere neutro sul piano della lotta tra i generi: il terreno è anche quello della "lotta tra organizzazioni", attività nella quale gli uomini si appassionano grandemente, anche se fanno finta di rimetterci il fegato; il confronto tra gruppi, la sfida, il duello, rispondono ad un modello atavico del quale anche io confesso a giorni alterni di sentire il richiamo, prima che ci sia gente che mi aiuta a rimettermi in riga. Del resto le organizzazioni sindacali, tutte, nonostante la categoria abbia una maggioranza di donne, hanno ai vertici, invariabilmente, gruppi di maschi. Poi la durata: tre anni di mandato sono troppi. Delegate e delegati tendono in maniera naturale nel corso del tempo ad avvicinarsi alla dirigenza e ad allontanarsi dai lavoratori. Uno smette di fare il delegato spostato "un po' più a destra" di quando aveva cominciato. Vi è poi una minoranza che dopo che conosce sul serio i lavoratori finisce per odiarli. Non mi sfugge nemmeno che il lato "campagna elettorale" sia piuttosto sgradevole con le migliaia di telefonate che tutti i sindacati stanno comminando ad iscritti che prima non avevano mai interpellato, anche perché ne ignoravano l'esistenza. Deve essere pure chiaro che tanta animazione da parte di tutte le sigle sindacali non ha assolutamete nulla a che spartire con il "bene" dei lavoratori: i risultati andranno a consolidare apparati burocratici o a crearne di nuovi.
Tutte queste cose ce le dobbiamo dire apertamente. Del resto però partecipiamo tutti, o quasi, ad istituzioni che non condividiamo totalmente. Non mi si venga a dire ad esempio che il Consiglio di Istituto è il fiore della democrazia, eppure una qualche volta un po' tutti abbiamo partecipato a qualche elezione di quell'organismo. Il Collegio Docenti è un organismo democratico? Ho un'altra idea della democrazia. Ed è un'idea che ha poco a che vedere con un luogo dalle dinamiche strutturalmente autoritarie con la presenza fisica di quella che è nei fatti, nella grandissima parte dei casi, una controparte, che possiede l'informazione e la cui autorità e potere di ritorsione inibisce la parola alla gran parte delle persone presenti e con una relazione presidenza-platea che è l'esatto opposto dell'orizzontalità e della circolarità.
Con ciò non voglio sottovalutare i pericoli intrinseci nella RSU. Se ce li abbiamo presenti li possiamo evitare o ridimensionare. Come lista all'ITSOS ad esempio abbiamo preso l'impegno a dimetterci tra un anno, in modo da obbligare ad una nuova elezione (prevista dal regolamento se i dimissionari sono due). Non ci deve sfuggire del resto che, nonostante l'impronta maschile dell'istituzione, saranno elette moltissime delegate, anche perché di solito sono ben considerate dai colleghi per un minor attaccamento (vi sono eccezioni) all'organizzazione e un maggior senso del dovere della propria funzione di rappresentanza.
Si potrebbe pensare che l'impegno del delegato è poco glorioso. Alcuni dicono: ma come, con tutti i grandi problemi che incombono sulla scuola, riforma dei cicli, autonomia, ecc. ti preoccupi di turni di lavoro, dei soldi dell'alternanza che non arrivano, delle ore in più che il preside fa lavorare in barba alla normativa, del supplente che è strapazzato, ecc? Sì. Il lavoro del delegato è poco glorioso, per come lo abbiamo praticato all'ITSOS. Abbiamo fatto fatica a trovare candidati, non certo perché c'era gente che preferiva la democrazia diretta, ma perché tutti sanno che nella nostra scuola chi sarà delegato ricoprirà in un ruolo scomodo. Perché c'è una maniera comoda ed una scomoda di fare il delegato. Quella comoda è di tanti delegati CGIL che non fanno sostanzialmente nulla e sono nei fatti dei complici della dirigenza, anche quando questa è pessima. A nessun lavoratore salterebbe in testa di rivolgersi a loro per un qualche problema: temerebbero la delazione. Poi ci sono quelli di sindacati alternativi che immaginano il loro ruolo come quello di eterni tribuni: anche a loro il lavoratore se ha dei problemi non si rivolge, sa di aspettarsi un grande discorsone contro i confederali, ma nessun aiuto sul suo problema, troppo piccolo, troppo meschino per suscitare interesse a chi "pensa in grande". Chi immagina che essere delegato sia una specie di continuazione delle lotte cui abbiamo dato vita quest'anno si sbaglia di grosso. Vi sono colleghi assai infuocati che immaginano facendosi eleggere di lanciare chissà che messaggio politico. In realtà i messaggi politici passano, ma i delegati restano. Non si può fare il delegato "all'opposizione" dando la colpa sempre agli altri. Il delegato, concretizzazione della volontà collettiva di autodifesa, deve contribuire a risolvere a positivo anche piccole cose, che in realtà piccole non sono. Se davvero si vuol costruire e rafforzare le relazioni tra colleghi e colleghe non si può negare la loro natura di lavoratrici e lavoratori, e non solo di insegnanti.
Negare una dimensione sindacale alle lavoratrici e ai lavoratori della scuola, mi pare, di questi tempi, operazione di corto respiro. Non significa sostituire un piano di lotta che ha un'importanza fondamentale, quello tutto politico che riguarda la natura profonda della scuola e del nostro lavoro, ma di portare avanti una iniziativa su tutti i due piani.
Intorno a me non trovo generalizzata la scuola in cui Vita lavora, c'è anche quella ma, insieme, una grande quantità di colleghe e colleghi mezzo scoppiati, frustrati, vedo insegnanti dei bienni delle superiori, anche bravissimi, ma che non vedono l'ora che arrivi gennaio quando ci sono un po' di abbandoni e nelle classi si può cominciare a fare lezione, vedo molta gente che rifà i conti su quando andare in pensione e appena si apre una finestra vi si butta a capofitto, ecc. ecc. Non vedo bambine e bambini, ragazze e ragazzi contenti di questa scuola, penso che ogni soggetto sociale dovrebbe parlare per sé, dovremmo avere la modestia di interrogarli (non certo con le modalità questurine proposte dal ministero), non impiegheremmo molto tempo a scoprire la loro fatica di frequentare la scuola, non tarderemmo a renderci conto di una infelicità crescente delle nuove generazioni, certo non per responsabilità della scuola, ma che la scuola non riesce ad addolcire. La nostra fatica di insegnanti si somma a questa infelicità, e si somma ai disegni globalizzanti che snaturano e sviliscono quel che di buono (e non è poco) questa scuola ha prodotto. Tutto ciò incombe sulle nostre teste e sulle nostre vite. Eleggere le RSU può contribuire a qualcosa? Boh.
Mi pare che Marinella e Vita pensino ad una scuola fondata sulle relazioni e dove dunque le RSU, che suppone l'esistenza di due poteri, contribuirebbero ad affossare quel modello. Il problema è che per salvaguardare una scuola che spesso è solo nei nostri desideri, ci priviamo di uno strumento che serve a difenderci nella scuola vera che c'è oggi. Noi dobbiamo combattere la battaglia contro l'aziendalizzazione. Certo, ma per dare questa battaglia cominciamo proprio a combattere le RSU? Mi pare paradossale. Non è che se qualcuno ci vuol dare la padella in testa allora dobbiamo rifiutarci di metterci il casco. Dico invece: ottimo il casco, così ci servirà a difenderci meglio dai padellatori e magari ci troveremo più a nostro agio a togliere loro di mano la padella.