MOTIVAZIONI DELLA SENTENZA DEL PROCESSO CONTRO I COMPAGNI ARRESTATI IL 16/08/91 PER LA RESISTENZA ALLO SGOMBERO DEL CENTRO SOCIALE LEONCAVALLO

Il 18/9/1988 il Pretore di Milano, dr. Stolfi, nel corso di un procedimento penale per occupazione abusiva di immobili a carico di ignoti, in seguito ad istanza delle proprietarie Srl IMPRENDIMI ed SpA SCOTTI IMMOBILIARE, ordinava lo sgombero del complesso immobiliare sito in Milano, Via Leoncavallo 22 e Via Mancinelli 21.

Il complesso immobiliare, in buona parte locato sino al 1973 alla societa' farmaceutica Shoum e alla ditta "Rosa", era stato poi occupato, negli anni 1974 e 1975, da giovani, indicati nei rapporti di polizia siccome appartenenti alla sinistra extraparlamentare che vi avevano creato il Cd Centro Sociale Leoncavallo, che diventava luogo di raduno ricreativo-culturale e di protesta sociale.

L'occupazione era stata praticamente tollarata dalle autorita' amministrative, di polizia e giudiziaria presumibilmente preoccupate, in un clima di grossi contrasti sociali, di prevenire i prevedibili "moti di piazza".

Anzi, l'Autorita' comunale era andata oltre ponendo sull'area dei vincoli di parziale destinazione ad attivita' sociali. Vincoli che pero' erano stati annullati prima dal TAR e finalmente nel 1986 dal Consiglio di Stato.

Nella presunta previsione di disordini le forze di polizia indugiavano a dare esecuzione all'ordine pretorile di sgombero e, finalmente, - di concerto Carabinieri e Polizia di Stato- decidevano di eseguire l'ordine nella prima mattinata del 16 agosto 1989 ragionevolmente confidando di trovare i locali del "Leoncavallo" deserti o quasi.

Avevano invece la sorpresa di trovare il Centro presidiato da circa un centinaio di giovani convenuti da ogni parte d'Italia.

Lo sgombero veniva eseguito dopo un vero e proprio assedio, 26 giovani (tra i quali due minorenni) - e precisamente quelli che si erano radunati sul tetto terrazza prospiciente la Via Leoncavallo - venivano denuunciati in istato di arresto. Un numero molto maggiore veniva denunciato a piede libero.

Gli inquirenti, subito dopo l'interrogatorio, concedevano il beneficio della remissione in liberta' degli arrestati.

E, finalmente, con atto 10/5/90 il Procuratore della Repubblica traeva gli imputati davanti a questo collegio per rispondere dei reati di cui alla rubrica.

In esito all'odierno dibattimento il Collegio osserva quanto segue.

Le indagini di PG, confortate dalla documentazione fotografica e dal film nell'occasione girato dalla Polizia, e le risultanze dibattimentali offrono prova piena della sussistenza del reato di resistenza aggravata da tutti e 24 i prevenuti in concorso tra loro.

E non puo' non apparire quanto meno stupefacente la richiesta di assoluzione di ben 13 dei 24 imputati fatta dal PM, con cio' creando una ingiustificata diversita' di trattamento tra coloro che, per inesperienza processuale o dignita' personale hanno fatto significative ammissioni in ordine a fatti oggettivi in verita' poco controversi e coloro che contro ogni evidenza, quanto meno logica, si sono tenuti su una negativa assoluta.

Per cui non parrebbe eccessivo rilevare che le richieste del rappresentante della pubblica accusa - e si tenga presente che si e' proceduto col rito direttissimo a quasi un anno dai fatti e che PM d'udienza e' stato lo stesso magistrato che ha seguito la vicenda sin dall'inizio, ha formulato imputazioni ed ha tratto con suo decreto i pervenuti davanti a questo Collegio,- si sono ispirate ad una certa causalita'. La stessa causalita' che sembrerebbe non estranea alla fase dibattimentale, atteso che qualche simpatizzante del "Leoncavallo" quale Buzzo Paolo, unico tra tutti ad essere riconoscibile in varie fotografie con assoluta certezza e per di piu' fotografato in assetto di guerriglia mentre impugna dei sassi sul tetto-terrazza prospiciente la Via Leoncavallo sul quale si assume si fossero trovati tutti e 26 i denunciati in istato di arresto, non fu tratto a giudizio e forse adirittura beneficio' di un provvedimento di archiviazione (di cui non vi e' comunque traccia agli atti) presumibilmente per la "causale" circostanza che, non si sa bene perche', fu denunciato a piede libero.

Prescindendo per il momento da una valutazione squisitamente inerente all'elemento psicologico del reato e alla sussistenza ed alla valutazione delle possibili attenuanti, va detto che il raduno al Centro Sociale Leoncavallo nella torrida sera di ferragosto, quando la citta' era praticamente deserta ed i servizi pubblici molto ridotti, di almeno cento giovani che presumibilmente in altre circostanze avrebbero passato la giornata al mare o in altra localita' piu' accogliente non puo' che essere riferito ad un'azione di sostegno del Centro nella prospettiva di un intervento di sgombero emesso dal pretore Stolfi, non era difficile immaginare che, come in altri casi analoghi, la forza pubblica potesse tentare lo sgomebro forzato dei locali approfittando della presumibile scarsa frequentazione dovuta al periodo estivo.

Pero' la circostanza che tutti i giovani convennero proprio la sera del 15, alla vigilia dell'azione 16, e non uno dei giorni immediatamente precedenti, fa ragionevolmente presumere che ci fosse stata una "soffiata", e che quindi i giovani sapessero con certezza della programmata "sorpresa".

Fatto sta che almeno cento giovani passarono la notte al Centro, che non poteva certamente ospitare per la notte in circostananze ordinarie un si' elevato numero di persone.

Ed e' sintomatico che tra loro vi fossero taluni che col minor disagio di una lunga passeggiata notturna, avrebbero potuto dormire piu' confortevolmente a casa propria. Un imputato il Persia, pur abitando vicino al Centro, preferi' addirittura non tornare a casa e passare la notte al "Leoncavallo".

D'altra parte i pervenuti non hanno fornito adeguata spiegazione, diversa da quella ritenuta dal Collegio, del raduno.

Sembra caduto definitivamente, come motivo del raduno, il concerto jazz di un complesso straniero, che e' pacifico in relata' non avere avuto luogo. Ed appare piu' che improbabile l'annuncio, peraltro non provato, di una generica festa per la serata del 15/8 (che avesse potuto convogliare nella inospitale Milano di ferragosto un numero cosi' elevato di persone.

E' quindi piu' che ragionevole presumere che i giovani si fossero dati convegno al "Leoncavallo" e vi avessero passato li' la notte per un'azione di sgombero. L'imputata Bottesella che tra l'altro si vede nella foto 31 con volto semicoperto da una sciarpa, dopo aver dichiarato di essere andata al Leocavallo la sera prima, fermandosi per la notte, perche' aveva sentito dire dell'imminente attacco della Polizia e voleva collaborare ad evitare lo sgombero del Centro, proprio per questo alcuni di loro avevano deciso di dormirvi centro in quanto era loro intenzione cercare di far rinviare lo sgombero, dichiarava che qunado era arrivata la Polizia erano immediatemente andati sul tetto sperando che il loro avvocato riuscisse a far rinunciare allo sgombero.

Che d'altra parte i giovani si fossero attestati sui tetti prospicienti la via Leoncavallo e la Via Mancinelli ben prima dell'arrivo delle forze dell'ordine ed anzi proprio in loro attesa risulta dalla relazione di commento ad uno degli album fotografici, nella quale si riferisce che gia' alle 6,15 la pattuglia inviata in avanscoperta, per cosi' dire, aveva visto i giovani sui tetti stessi con caschi, passsamontagna e sciarpe.

Che poi nella condotta di sostegno fosse stata messa in quanto meno siccome possibile, una reazione violenta alle forze dell'ordine risulta evidente dalle seguenti circostanze.

Anzitutto, passamontagna, grosse sciarpe, tute mimetiche, caschi da motociclista, maschere antigas (l'uso e' provato dalla doc. fotografica e filmica) sono tipiche attrezzature da guerriglia urbana.

L'erezione, che non puo' essere avvenuta che durante la notte (altrimenti non avrebbe consentito l'ingresso dei giovani nell'area principale del "leoncavallo"), di efficientissime barricate utilizzando anche tubi metallici Innocenti non puo' che essere ricondotta alla prospettazione di una resistenza attiva. L'evidenza delle barricate, che bloccavano gli ingressi utili, ed il tempo necessario per apprestarle fanno presumere che tutti i giovani ne fossero consapevoli.

Non puo' poi non essere ricondotta alla prospettazione di una resistenza attiva di drammatica potenzialita', la predisposizione di bottiglie molotov. E va sottolineato che alla benzina era stata aggiunta vernice per aumentare l'offensivita'.

Gli stessi difensori non hanno messo in dubbio nelle loro arringhe l'esistenza delle bottiglie incendiarie.

Una cassa conntenente ventidue molotov venne rinvenuta sul tetto dove si erano sistemati i 26 arrestati. E sullo stesso tetto fu rinvenuta una tanica piena di benzina. Ed al riguardo deve dirsi che le stesse bottiglie vuote non parrebbero oggetti di normale reperimento sul tetto dell'edificio.

E che dai giovani del Leoncavallo fosse stato fatto uso di molotov non e' controverso, anche se non e' pienamente provato che ne fossero state lanciate dal tetto prospiciente la Via Leoncavallo sul quale si trovavano i prevenuti (le dichiarazioni sul punto del teste Finolli, vicedirigente della DIGOS di Milano, non confortate da analoghe dichiarazioni di altri testi e dal filmato, potrebbero esser frutto di un ricordo impreciso dei fatti ).

Che dal lato di Via Mancinelli, si fosse fatto uso di molotov e' provato, oltreche' dal filmato, dalle dichiarazioni del capitano dei CC Maurizio Stefanizzi, alle quali il Collegio attribuisce la massima attendibilita' e di cui e' stata apprezzata la esemplare chiarezza espositiva e la obiettivita' che risulta anche dall'aver riferito circostanze dell'operazione di dubbia valutazione circa la reattivita' dei giovani CC. Il teste ha riferito che le molotov furono lanciate sopratutto nella fase iniziale (una appena arrivati gli operanti nella via Mancinelli) e qualcuna anche quando gli operanti avevano raggiunto la posizione dominante sul tetto.
Precisava poi il teste che alcuni dei giovani che avevano lanciato le molotov sulla Via mancinelli li aveva in proseguio visti sul tetto prospiciente la Via Leoncavallo, aggiungendo che aveva potuto ben vederli perche' gli operanti, attraverso un buco praticato nel soffitto, avevano potuto guadagnare il tetto dell'edificio di Via Mancinelli e quindi una posizione dominante.

Delle molotov di Via Mancinelli ha riferito anche il tenente Giandinoto, il quale ha altresi' dichiarato di essere stato urtato ad una gamba, nel cortile del piano terra, da una molotov inesplosa che gli era stata lanciata contro da un ragazzo che si trovava nel cortile non appena era stata sfondata la porta che dava sul cortile.

Ma un'imprevista conferma dell'uso delle molotov e' venuta da un teste, sul punto sicuramente attendibile, che e' stato introdotto dalla difesa. Livio Quagliata, giornalista de il manifesto, ha infatti riferito che, oltre a prendere botte e dai CC e dei poliziotti che lo avevano preso per un "autonomo", aveva avuto modo di vedere lanciare, dalla parte di Via Mancinelli, due molotv una delle quali non era esplosa.

Sul rinvenimento delle casse di molotov sul tetto di Via Leoncavallo ha reso dichiarazioni l'imputato Diddi, che aveva visto i CC portare a mano la cassa delle molotov.

E della predisposizione delle molotov parlava nel suo interrogatorio davanti al PM l'imputato Foschini, dichiarando che proprio la mattina dell'intervento coatto aveva sentito dire che c'erano delle molotov gia' pronte ma che non dovevano essere utilizzate.

Ma sul punto il Collegio ritiene siano di eccezionale importanza le dichiarazioni rese al Procuratore presso il tribunale per i MINORENNI dall'imputato Alessandro Viola, il quale, dopo aver detto di essersi recato al Centro la sera del 15 Agosto perche' aveva sentito dire che era previsto uno sgombero e di essersi riunito agli altri per decidere su come sistemarsi per difendere il Centro (all'uopo decidendo di dividersi per gruppi uno dei quali sarebbe andato sul tetto di Via Leoncavallo), aggiungeva di non aver visto quella sera le bottiglie incendiarie ma di avere pero' "sentito che ne parlavano".

E molto significative, sia pur nella loro reticenza, le dichiarazioni della minorenne Paterlini Olga, la quale, dopo aver detto che la sera del 15 si erano organizzati per impedire l'ingresso della Polizia (che sapevano avrebbe dovuto effettuare lo sgombero all'alba del 16) a tal fine chiudendo gli ingressi di Via Leoncavallo con sbarre e filo spinato e decidendo di gettare dal tetto pietre sulla strada, dichiarava di aver visto le bottiglie molotov il mattino dopo.

Gli interrogatori dei due minori furono resi alla presenza dell'avvocato Sodano, in sostituzione del difensore di fiducia avv. Pelazza.

E' pacifico che anche dal tetto dove erano radunati gli imputati furono lanciati molti sassi. Lo ammettono numerosi imputati, quali Spreafico, Ildebrandi, Montella, Marchi, Baricelli, Cecchini, Piazzesi, Facciolo e Foschini. La Baricelli ammette di averne lanciati lei stessa.

E' appena il caso di rilevare che, se un tetto per il quale non e' previsto un normale accesso e' possibile trovare regole o frammenti di tegole, e' molto meno probabile trovarvi degli ordinari sassi.

E le cassette di sassi trovate all'interno del Centro e di cui ai rilievi fotografici sarebbe difficile sostenere avessero finalita' edificatorie.

Date le premesse e' infine da escludere che taluni giovani si fossero rifugiati sui tetti in cerca di scampo, tanti altri posti all'interno del Leoncavallo, sarebbero stati piu' sicuri... meno compromettenti!

Deve quindi ritenersi che tutti i prevenuti, anche se alcuni per avventura non effettuarono lanci di sassi o bottiglie, non parteciparono all'apprestamento delle molotov o all'erezione delle barricate, nell'ottica della prevedibile condotta violenta o comunque attiva conseguente alla conoscenza della predisposizione dei mezzi di "difesa" debbono rispondere quanto meno a titolo di concorso morale nel reato siccome contestato ai correi che posero in essere atti di resistenze sicuramente attiva.

E si potrebbe anche aggiungere che, a parte le decisive dichiarazioni dei minori Viola e Paterlini sulla riunione del 15 sera, poiche' il concerto jazz non v'era stato e poiche' non parrebbe verosimile che una eventuale "festa" disperdesse nella calda serata i convenuti giovani nei numerosi angusti spazi chiusi del centro e' da presumere che in maniera sia pure disordinata si parlo' dell'imminente intervento delle forze dell'ordine e dei possibili azioni e mezzi di contrasto.

La penale responsabilita' in ordine al delitto di resistenza deve essere affermata anche nei confronti del Persia.

Il prevenuto in dibattimento ha tentato, piuttosto maldestramente, di farsi ritenere estraneo al delitto di resistenza assumendo che all'arrivo delle forze dell'ordine era subito fuggito per i tetti rifugiandosi in altro stabile della vicina Via lambrate all'uscita del quale era stato tratto in arresto ed indicando a testimone del luogo dell'arresto la sua intima amica Anna Di Mastromatteo. Ma gli operanti - ed al riguardo sono stati sentiti tutti quelli che operarono l'arresto - hanno escluso nella maniera piu' categorica che alcuna delle persone denunciate in istato di arresto fosse stata bloccata in luogo diverso dalla Via Leoncavallo, ribadendo che furono tratte in arresto solo le persone che si trovavano sul tetto-terrazza prospiciente la Via Leoncavallo.

Potrebbe anche osservarsi che la circostanza dell'arresto in Via Leoncavallo non era stata resa nota al magistrato inquirente durante l'interrogatorio e pare difficle sostenere che il Persia, col Calderazzo le uniche persone di eta' matura tra quelle tratte in arresto e persona gia' nota alla DIGOS, non la avesse esposta perche' sconvolto dall'arresto o perche' non si sarebbe reso conto dell'importanza della circostanza stessa. ne' prova alcunche' la circostanza che, durante il sopraluogo negli edifici del Centro Sociale, il Persia, dopo vari tentaivi infruttuosi di indicare lo stabile di Via Lambrate all'uscita del quale sarebbe stato tratto in arresto, fosse comunque riuscito a raggiungere il cortile di uno stabile vicino proveniendo dagli edifici del Leoncavallo quanto quello di provare che non si era trovato sul tetto di Via Leoncavallo con gli altri giovani e che non era stato arrestato con loro alla discesa dal tetto.

E non puo' essere considerata prova idonea la compiacente testimonianza dell'amica di Mastromatteo, teste dell'ultima ora, che si sarebbe trovata, putacaso, a passare davanti allo stabile di Via Lambrate proprio nel momento in cui il Persia veniva trascinato nei vincoli dai poliziotti. Le incertezze, le imprecisioni della donna sui dettagli - la registrazione della testimonianza dovrebbe esserne fedele specchio -, tenute presenti le univoche dichiarazioni degli operanti, fanno ritenere che la De Mastromatteo abbia reso una falsa testimonianza. Tra l'altro la teste sembrerebbe apparire, indossante una vistosa maglietta stampata, nelle foto 46/5 dei CC davanti a Via Leoncavallo assieme ad altri esagitati simpatizzanti durante gli arresti degli imputati.

Infine deve rilevarsi che il non piu' giovane Persia, che abitava vicino al Centro (che frequentava, a suo dire, da quando aveva 18 anni), se anziche' andarsene a dormire tranquillamente a casa aveva preferito passare la notte al Centro, cio' non poteva non essere riferito che alla volonta' di "presidiare" il Centro stesso. Per cui sarebbe stato illogico scapparsene via per i tetti all'arrivo della Polizia.

Per quanto concerne la detenzione ed il porto delle molotv - quest'ultimo evidentemente conseguente all'uso mediante lancio quanto meno nella Via Mancinelli -, da quanto ragionato in ordine al delitto di resistenza, tenuta presente qualche altra circostanza di grande rilievo, non puo' che discendere la penale responsabilita' di tutti gli imputati.

Premesso che tutti i giovani convennero al Leoncavallo per "presidiarlo" e per impedire o ritardare lo sgombero e che la sera del 15 si erano riuniti per decidere come sistemarsi per difendere il Centro, stabilendo di dividersi per gruppi, discutendo delle molotov e del lancio di pietre ( cfr dichiarazioni Viola, Paterlini e Foschini), premesso che una cassa con ben 22 molotv, una tanica di benzina e molte bottiglie vuote furono rinvenute sul tetto-terrazza prospiciente la Via Leoncavallo, che piu' molotov furono lanciate dal tetto prospiciente la Via Mancinelli e altra molotov rimasta inesplosa fu lanciata nel cortile interno deve presumersi che l'uso delle molotov era prevedibile e fu previsto nella riunione assemblea del 15 sera. E per quanto concerne la cassa con le 22 molotov rinvenuta sul tetto di Via Leoncavallo, se le molotov erano state apprestate per un possibile anche se non auspicabile uso contro le forze dell'ordine, non puo' non ritenersi che a tal fine la cassa era stata portata sul tetto. E che le molotov foessro risposte in gabbiotto (ma in realta', come si dira' meglio, si trattava di una cassa di legno appoggiata su un fianco contro il muro) presumibilmente per essere riparate dai candelotti degli operanti non esclude che fossero ben visibili e riconoscibili come bottiglie inendiare sopatutto per persone che avevano partecipato alla riunione.

Che si sia fatta confusione sulla natura del contenitore della cassa di molotov determinando imprecisioni nelle dichiarazioni testimoniali lo si deve probabilmente alle fuorvianti domande del Presidente e delle parti.

Mentre invece la natura del contenitore appare molto chiara dalle fotografie n.23, 1° album foto CC, 32 e 34, 2° album foto CC (la 33 mostra in primo piano le bottigli piene di benzina con relativo stoppino e accanto la tanica di benzina).

Come rislta dalle fotografie, le molotov erano ben visibili sul tetto piuttosto sgombro di oggetti. E d'altra parte una delle due minori arrestate ha dichiarato di averle subito vista appena salita sul tetto.

A tal punto potrebbe sostenersi che le conoscenza dell'apprestamento e della messa a disposizione delle molotov e delle pietre per chi non sarebbe provato volesse opporre una resistenza violenta e volesse solo manifestrae una condotta passiva di protesta aliena da violenza o minaccia integrerebbe una semplice connivenza e non invece un'ipotesi di concorso morale nel reato di resistenza aggravato. Ma si potrebbe facilmente obiettare che, attesa la prospettazione dell'altrui condotta violenta, il soggetto avrebbe dovuto manifestare il suo dissenso e sortire dalla violenta prospettata condotta di gruppo. Nella specie, ad esmpio, scendere dal tetto ed andare a manifestare davanti al Centro o in luogo dove la presenza non potesse costituire rafforzamento della violenta altrui determinazione.

In questa ottica appare evidente che ai 24 imputati debba essere ascritto. oltre alla detenzione, il porto delle molotov anche come circostanza aggravante del reato di cui all'art.337 c.p. nonostante manchi una provca certa del lancio di molotov dal tetto di Via Leoncavallo.

A proposito di aggravanti deve ritenersi che la contestata aggravante di cui all'art.112 n.1 c.p. certamente sussistente in ordine al reato sub b), debba in ordine al reato sub a) essere considerata assorbita da quella specifica di cui all'art 339 c.p. attesa l'esposizione degli elementi di fatto sussumibili nella previsione del capoverso dell'art stesso.

Al riguardo potrebbe poi, per completezza, rilevarsi che la questione del riferimento del numero delle persone all'art.112 n.1 c.p. anziche' all'art. 339 c.p. nella impostazione difensiva, avrebbe avuto importanza solo nel caso di non ritenuta responsabilita' per uso di armi perche' in tal caso il reato di resistenza, non risultando piu' aggravato ai sensi dell'art339 c.p. rientrerebbe nell'ultimo provvedimento di clemenza. Ritenendo invece il Collegio i prevenuti responsabili dell'uso delle molotov la questione verrebbe a perdere ogni rilievo pratico.

Debbono invece i prevenuti essere assolti dal resto di cui all'art.9 della legge 497/74 perche' manca adeguata prova che gli ordigni incendiari siano stati da loro fabbricati, anche se il rinvenimento di taniche e di bottiglie vuote da adito ad urgenti sospetti.

Uno dei difensori ha sostenuto che la condotta dei prevenuti contestata siccome reato di resistenza in realta' integrerebbe la minore ipotesi criminosa di inosservanza dolosa di un provvedimento dell'autorita'. Ma e' facile osservare che, attesa la diversita' dell'interesse giuridico tutelato dalle due norme incriminatrici, piuttosto potrebbe prospettarsi una ipotesi di concorso di reati.

Ne' potrebbe prendersi in seria considerazione l'assunto di altro difensore, secondo il quale la condotta rubricata siccome integrante il reato di resistenza in realta', attesa la sproporzione di forze e la consapevolezza dei prevenuti dell'otraggio aggravato dalla violenza che beneficierebbe della amnistia.

A parte la considerazione che non vi e' motivo di ritenere che unico scopo dei prevenuti fosse quello di offendere l'onore o il prestigio dei P.U. sono molti gli imputati che hanno dichiarato che il loro scopo era quello di impedire o ritardare lo sgombero del Centro sociale. E d'altra parte, nella fattispecie, ai prevenuti doveva apparire tutt'altro che improbabile che le forze dell'ordine di fronte alla reazione di un si' elevato numero di giovani, per evitare possibili spargimenti di sangue e complicazioni di ordine politico, desistessero dall'eseguire l'ordine di sgombero.

In ordine al delitto di resistenza non e' applicabile la scriminante di cui all'atr. 4 del DDL 14/9/1944 perche' certamente le forze dell'ordine non hanno ecceduto con atti arbitrari i limiti delle loro attribuzioni. Ed invero non avevano il potere di sindacare il provvedimento dell'Autorita' Giudiziaria che appariva formalmente del tutto legittimo ede il cui contenuto non era palesemnente ebnorme o palesemetne contrario a norme guiridiche primarie. Pertanto l'eventuale arbitratieta' del provvedimento di sgombero, riferibile a soggetto diverso da quelli che dovevano eseguirle, non poteva giustificare una condotta violenta nei confronti delle forze delll'ordine.

La difesa ha appassionatamente sostenuto la putativita', rilevante ex art. 59 ult. cpv. c.p., della causa di giustificazione. Ma le addotte interessantissime argomentazioni non pare al Collegio possano portare a ravvisare nella specie la erronea supposizione rilevante ai fini dell'art.59 c.p.

Anzitutto i rei non potevano in buona fede pensare ad una possibile usucapione perche', a parte il mancato decorso del tempo utile ed a parte il comportamento tutt'altro che inerte della proprieta', l'istituto presuppone il possesso da parte di un soggetto determinato dall'ordinamento individuabili con certezza.

E nella specie sembrerebbe che i "Leoncavallini" rappresentassero una entita' fluida e che il Centro Sociale, almeno a stare dalle dichiarazioni dei prevenuti, si fondasse non su una organizzazione, per quanto rudimentale, ma sullo spontaneismo avallato da occasionali assemblee "aperte" (di cui poteva cioe' far parte qualsiasi simpatizzante che occasionalmente si fosse trovato nel Centro), addirittura sembrerebbe sulle estemporanee iniziative individuali.

Quel che e' certo e' che l'avere l'Autorita' tollerato e la proprieta' subito per moltissimi anni gli effetti di un fatto reato quale l'occupazione abusiva non da' una base di legittimita' dell'occupazione stessa. E nessuno dei prevenuti non poteva non essere consapevole della antigiuridicita' della situazione.

Il Collegio potrebbe forse convenire con la difesa che l'intervento nella vicenda, ex art. 219 c.p.p., del Pretore Stolfi sembrerebbe, valutato ex postfactu ed alla luce della normale routine giudiziaria, frutto di una valutazione affrettata della situazione.

Prescindendo dalle dichiarazioni incontrollate e incontrollabili riferite dalla stampa al Pretore Stolfi, la difesa ha giustamente posto in rilievo che il legale della proprieta' attuale, che poi si rilevo' aver seguito le vicende legali dei precedenti proprietari, prospetto' una situazione di fatto artatamente lacunosa e non corrispondente alla realta' e che il magistrato non prese in adeguate considerazione le sia pur scarne notizie fornite dalla nota del Commissariato Lambrate. Ma non puo' condividere le argomentazioni della difesa sull'asserita illegittimita' del provvedimento pretoriale, che non si innestava, come assunto dalla difesa, su un procedimento per un reato estinto o improcedibile per difetto di tempestiva querela.

Pare invero abbastanza evidente, al Collegio, che la norma concernente le occupazioni abusive preveda un'ipotesi di reato istantaneo ricorrente quando all'occupazione segua immediatamente il rilascio, come nelle invasioni simboliche a fine politico o dimostrativo, ed altra ipotesi di reato permanente, quando l'occupazione abbia una apprezzabile durata, nel qual caso la permanenza cesserebbe al momento del rilascio dell'immobile.

Nella specie poi, versandosi un'ipotesi preveduta dal capoverso dell'art. 633 c.p. in un procedimento a carico d'ignoti e' dubbio che dovessero applicarsi, come assunto dalla difesa, le norme sulla istruzione formale siccome previsto dall'art. 225 c.p.p. per le sole sommarie indagini di PG.

Piu' utilmente la difesa avrebbe potuto rifarsi a quell'indirizzo giurisprudenziale del Supremo Collegio che in fattispecie di occupazione abusiva di stabilimenti ad opera dei lavoratori non ritiene possibile il ricorso ad un ordine di sgombero ex art. 219 c.p.p.

La difesa, sulla base di documenti contenuti nel fascicolo del procedimento penale iniziato dal Pretore Croci, successivamente all'esecuzione dell'ordine di sgombero nei confronti degli operanti e della proprieta' (procedimento recentemente archiviato), ha stigmatizzato il comportamento della Autorita' Comunale, di polizia e giudiziaria in ordine alla vicenda del Leoncavallo, ponendo in rilievo il comportamento equivoco del Comune, i fatti di giustizia risolti nei corridoi con la presunta connivenza del P.S.I. ed in particolare ponendo l'accento sulla circostanza che solo quando l'area fu formalmente acquistata dal gruppo Cabassi la vecchia vicenda si sblocco' e la esecuzione dello sgombero fu agevolmente ottenuta, scavalcando il competente Commissariato di PS "Lambrate", grazie a contatti diretti con il Questore e col Prefetto. La difesa ha anche posto l'accento sulla disponibilita' attuale del Comune di acqistare l'area, da destinare in parte a scopi sociali, pagandola a pieno prezzo di mercato.

Le circostanze, che proverebbero per chi ancora non lo sapesse che la cd giustizia alternativa spesso prevale su quella ufficiale, fanno sentire un senso di amarezza alle persone che ancora credono alle istituzioni. Tuttavia non ritiene il Collegio possano avere incidenza diretta sulla sussistenza della scriminante putativa di cui all'art.4 del DLL n.288/1944, soprattutto perche' non erano note agli imputati. Ed invero la stessa difesa ha confessato di averle apprese durante il dibattimento attraverso l'esame dell'incarto processuale pretorile del quale il Collegio aveva richiesto la trasmissione in visione.

Tuttavia la condotta equivoca e contraddittoria del Comune che, relativamente ad epoche meno recenti, non era ignota ai giovani del Leoncavallo e che non poteva non avere generato aspettative, se non puo' dar fondamento ad alcuna sciminante puo' invece avere rilievo ai fini delle sussistenze delle attenuanti di cui agli art. 62 bis e 62 n.1 c.p. delle quali il Collegio ritiene i prevenuti meritevoli.

Non e' difficile ammettere che l'occupazione del vecchio stabilimento ed il suo perdurare furono determinati dalla scarsa considerazione che l'Autorita' Comunale ha sempre manifestato per le aspirazioni sociali dei giovani.

A Milano difettano centri sociali alternativi agli "oratori" e circoli parrocchiali o ai circoli di partito. Ed il Comune ha spesso trovato comodo non scoraggiare le occupazioni (soprattutto quando le conseguenze venivano sopportate dai privati) creando delle strutture sociali adeguate. Si e' spesso, come nella specie, equivocamente limitato a porre vincoli sulla libera utilizzabilita' delle proprieta' occupate, vincoli che per la loro infeconda durata e per la contradditorieta' -sintomatiche della mancanza di una reale volonta' politica- oltre a creare occasioni di contrasti sociali non potevano reggere al vaglio di un giudice che non fosse condizionato da problemi di ordine pubblico e dalla ritenuta giustezza di istanze sociali inappagate.

L'equivocita' del comportamento, dell'Autorita' Comunale nei confronti del Centro Leoncavallo e' emersa in tutta la sua evidenza durante l'esame dell'assessore Lanzone il quale, pur sapendo di dovere essere interrogato sulle vicende del Leoncavallo, ha mostrato, non si sa quanto deliberatamente, di essere poco informato, e' stato estremamente impreciso ed equivoco, giungendo a riferire all'anno 1989 la decisione del Consiglio di Stato, di ben tre anni prima, che toglieva ogni vincolo alla libera utilizzazione da parte della proprieta' degli edifici occupati e giungendo ad affermare che il Comune, con discutibile prassi, suole bloccare il cd silenzio-assenso con il semplice parere della commissione edilizia eventualmente notificato alla parte e senza adottare, sia pure in un ragionevole lasso di tempo, una regolare delibera.

L'interrogatorio degli imputati - ma in realta' piu' che di un interrogatorio si e' trattato di un colloquio - ed il sopralluogo al Centro Leoncavallo sono stati molto utili al al Collegio per avere una visione realistica e diretta di una fascia sociale diversa da quella in senso lato borghese dai cui i ranghi in buona parte proviene la Magistratura e nella quale si muovono i suoi componenti.

Senza fare ricorso ad espressione equivoche quali "cultura diversa", e' certamente un dato di fatto che i giovani del Leoncavallo, che i mass media hanno sempre rappresentato come un elemento di turbativa del tessuto sociale e di pericolo per la pacifica convivenza (lo stesso termine di "autonomi", che viene usato per qualificarli, viene spesso riferito a supposte attivita' di terrorismo o di fiancheggiamento di terroristi o di gruppi anarchici), si presentano come persone non ancora realizzate, con problemi di adattamento famigliare e sociale e che come tali bisognano di un contesto nel quale si manifesti un aiuto reciproco a superare le difficolta' di inserimento sociale.

Ed all'uopo appare evidente la necessita' e l'utilita' di apprestare dei centri dove i giovani si sentano a loro agio con giovani che abbiano gli stessi problemi e possano, nella reciproca comprensione, migliorarsi e rendersi pronti ad un proficuo inserimento nel consorsio sociale attivo. Centri di questo genere, del genere del Leoncavallo sono utili per evitare che il senso di rivolta e la virtuale carica di violenza dei giovaani disadattati li indirizzi verso la comune criminalita' o l'uso degli stupefacenti.

Il sopralluogo al "Leoncavallo" ha consentito al Collegio di avere un'idea, anche se approssimativa, delle attivita' culturali e ricreative che nel Centro si svolgono e la cui utilita' sociale giustificherebbe una concreta attivita' di sostegno economico e morale da parte delle Autorita'.

In questa ottica, pur riconoscendosi l'eccessivita' della condotta di resistenza se valutata rispetto al possibile raggiungimento del fine che avrebbe dovuto proporsi e pur riconoscendosi l'estrema pericolosita' conseguente all'apprestamento ed all'uso delle molotov, non pare al Collegio azzardato concedere ai prevenuti la circostanza attenuante dell'aver agito per motivi di particolare valore morale e sociale.

La giovane eta' e/o lo stato di incensuratezza di quasi tutti gli imputati consiglia altresi' la concessione delle attenuanti generiche.

Tra i reati di detenzione e porto delle molotov e quello di resistenza si ravvisa la continuazione e per quello di porto -che si reputa integri la piu' grave violazione- si infligge la pena di due anni e tre mesi di reclusione e di lit. 1.200.000 di multa. Ritenuta la prevalenza delle attenuanti sulle aggravanti, la pena e' ridotta di un terzo per le generiche e di un'altro terzo per l'attenuante di cui all'art. 62 n.1 c.p.

La pena e' infine aumentata ad un anno e sei mesi di reclusione e di lire 600.000 di multa per la continuazione.

Si concedano a tutti i prevenuti, ad eccezione di Marchi e di Carmignani i cui precedenti sono ostativi, i benefici di legge, reputandosi che si asterranno dal commettere altri reati.

Si ordina la confisca di quanto in sequestro.

PQM IL COLLEGIO visti gli artt. 483, 487, 488 c.p.p. DICHIARA i prevenuti colpevoli dei reati loro ascritti ad eccezione di quello di cui all'art. 9 della Legge 497/74 e, ravvisata la continuazione e ritenuta assorbita in quelle di cui all'art. 339 cpv c.p. quella di cui all'art. 112 n.1 c.p. contestata sub A), concesse le attenuanti generiche e quelle di cui all'art. 62 n.1 c.p. prevalenti sulle aggravanti LI CONDANNA ciascuno alla pena di un anno e sei mesi di reclusione e l. 600.000 di multa, oltre le spese; PENA SOSPESA E NON MENZIONE PER TUTTI ad eccezione di Marchi e di Carmignani. Visto l'art. 479 c.p.p. ASSOLVE i prevenuti dal reato di cui all'art. 9 L. 497/74 per non aver commesso il fatto ORDINA la confisca di quanto in sequestro.

Cosi' deciso in Milano il 27 giugno 1990.