Anarchia e violenza
Anarchia vuoi dire non-violenza, non-dominio dell’uomo sull’uomo, non
imposizione per forza della volontà di uno o di più su quella di altri. È
solo mediante l’armonizzazio-ne degli interessi, mediante la cooperazione
volontaria, con l’amo-re, il rispetto, la reciproca tolleranza, è solo colla
persuasione, l’esempio, il contagio e il vantaggio mutuo della benevolenza che
può e deve trionfare l’anarchia, cioè una società di fratelli liberamente
solidali, che assicuri a tutti la massima libertà, il massimo sviluppo, il
massimo benessere possibili. Vi sono certamente altri uomini, altri partiti,
altre scuole tanto sinceramente devoti al bene generale quanto possono esserlo i
migliori tra noi. Ma ciò che distingue gli anarchici da tutti gli altri è
appunto l’orrore della violenza, il desiderio e il proposito di eliminare la
violenza, cioè la forza materiale, dalle competenze tra gli uomini. Si
potrebbe dire perciò che l’idea specifica che distingue gli anarchici è
l’abolizione del gendarme, l’esclusione dai fattori sociali della regola imposta
mediante la forza, brutale, legale o illegale che sia. Ma allora, si potrà
domandare, perché nella lotta attuale, contro le istituzioni politico-sociali,
che giudicano oppressive, gli anarchici hanno predicato e praticato, e predicano
e praticano, quando possono, l’uso dei mezzi violenti che pur sono in evidente
contraddizione coi fini loro? E questo al punto che, in certi momenti, molti
avversari in buona fede han creduto, e tutti quelli in mala fede, han finto di
credere, che il carattere specifico dell’anarchismo fosse proprio la
violenza? La domanda può sembrare imbarazzante, ma vi si può rispondere in
poche parole. Gli è che perché due vivano in pace bisogna che tutti e due
vogliano la pace; ché se uno dei due si ostina a volere colla forza obbligare
l’altro a lavorare per lui e a servirlo, l’altro se vuol conservare dignità di
uomo e non essere ridotto alla più abbietta schiavitù, malgrado tutto il suo
amore per la pace e il buon accordo, sarà ben obbligato a resistere alla forza
con mezzi adeguati. L’origine prima dei mali che han travagliato e
travagliano l’umanità, a parte s’intende quelli che dipendono dalle forze
avverse della natura, è il fatto che gli uomini non han compreso che l’accordo e
la cooperazione fraterna sarebbe stato il mezzo migliore per assicurare a tutti
il massimo bene possibile, e i più forti e i più furbi han voluto sottomettere e
sfruttare gli altri, e quando sono riusciti, a conquistare una posizione
vantaggiosa han voluto assicurarsene e perpetuarne il possesso creando in loro
difesa ogni specie di organi permanenti di coercizione. Da ciò è venuto che
tutta la storia è piena di lotte cruenti: prepotenze, ingiustizie, oppressioni
feroci da una parte, ribellioni dall’altra. Non v’è da fare distinzioni di
partiti: chiunque ha voluto emanciparsi, o tentare di emanciparsi, ha dovuto
opporre la forza alla forza, le armi alle armi. Però ciascuno, mentre ha
trovato necessario e giusto adoperare la forza per difendere la propria libertà,
i propri interessi, la propria classe, il proprio paese, ha poi, in nome di una
morale sua speciale, condannata la violenza quando questa si rivolgeva contro di
lui per la libertà, per gli interessi, per la classe, per il paese degli
altri. Così quegli stessi che, per esempio qui in Italia, glorificano a
giusta ragione le guerre per l’indipendenza ed erigono marmi e bronzi in onore
di Agesilao Milano, di Felice Orsini, di Guglielmo Oberdan e quelli che hanno
sciolto inni appassionati a Sofia Perovskaja e altri martiri di paesi lontani,
han poi trattati da delinquenti gli anarchici quando questi sono sorti a
reclamare la libertà integrale e la giustizia uguale per tutti gli esseri umani
e hanno francamente dichiarato che, oggi come ieri, fino a quando l’oppressione
e il privilegio saran difesi dalla forza bruta delle baionette, l’insurrezione
popolare, la rivolta dell’individuo e della massa, resta il mezzo necessario per
conseguire l’emancipazione. Ricordo che in occasione di un clamoroso
attentato anarchico, uno che figurava allora nelle prime file del partito
socialista e tornava fresco fresco dalla guerra turco-greca, gridava forte, con
l’approvazione dei suoi compagni, che la vita umana è sacra sempre e che non
bisogna al tentarvi nemmeno per la causa della libertà. Pare che facesse
eccezione la vita dei turchi e la causa dell’indipendenza greca. Illogicità, o
ipocrisia? Eppure la violenza anarchica è la sola che sia giustificabile, la
sola che non sia criminale. Parlo naturalmente della violenza che ha davvero i
caratteri anarchici, e non di questo o quel fatto di violenza cieca e
irragionevole che è stato attribuito agli anarchici, o che magari è stato
commesso da veri anarchici spinti al furore da infami persecuzioni, o accecati,
per eccesso di sensibilità non temperato dalla ragione, dallo spettacolo delle
ingiustizie sociali, dal dolore per il dolore altrui. La vera violenza
anarchica è quella che cessa dove cessa la necessità della difesa e della
liberazione. Essa è temperata dalla coscienza che gl’ individui presi
isolatamente sono poco o punto responsabili della posizione che ha fatto loro
l’eredità e l’ambiente; essa non è ispirata dall’odio ma dall’amore; ed è santa
perché mira alla liberazione di tutti e non alla sostituzione del proprio
dominio a quello degli altri, Vi è stato in Italia un partito che, con fini
di alta civiltà si è adoperato a spegnere nelle masse ogni fiducia nella
violenza, ed è riuscito a renderle incapaci a ogni resistenza quando è venuto il
fascismo, mi è parso che lo stesso Turati ha più o meno chiaramente riconosciuto
e lamentato il fatto nel suo discorso di Parigi per la commemorazione di
Jaurès. Gli anarchici non hanno ipocrisia. La forza bisogna respingerla colla
forza: oggi contro le oppressioni di oggi; domani contro le oppressioni che
potrebbero tentare di sostituirsi a quelle di oggi. Noi vogliamo la libertà
per tutti, per noi e per i nostri amici come per i nostri avversari e nemici.
Libertà di pensare e di propagare il proprio pensiero, libertà di lavorare e di
organizzare la propria vita nel modo che piace; non libertà, s’in-tende e si
prega i marxisti di non equivocare non libertà di sopprimere la libertà e di
sfruttare il lavoro degli altri.
Errico Malatesta
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