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Da "625 Libro bianco sulla Legge Reale" - pp. 169-182
Ricerca sui casi di uccisione e ferimento "da legge Reale"
a cura del Centro di iniziativa Luca Rossi

INTRODUZIONE

Il quadro d'insieme che si ricava dalla ricerca sugli episodi culminati in ferimenti e omicidi da parte delle forze di polizia è variegato e composito.

Vogliamo perciò accompagnarvi nel percorrere, attraverso una lettura attenta dei dati, I'itinerario cronologico che questa ricerca presenta e mostrarvi come si possa dedurre da essa che la legge Reale, pezzo forte della legislazione poliziesco-repressiva, sia stata, ed ancor sia, strumento efficace e duttile in ogni particolare frangente, a cui lo Stato non intende rinunciare sebbene siano venute a mutare le condizioni sociali rispetto a quelle in cui essa fu promulgata e, insieme ad esse, le motivazioni ideologiche ufficiali di supporto (su queste ultime, si vedano le considerazioni fatte in questo stesso libro da Amedeo Santosuosso).

La legge, infatti, trova applicazione nelle mutate condizioni economiche e politiche che hanno favorito l'emergere di alcuni soggetti e pratiche nel sociale, mentre nel contempo se ne disgregavano altre, e nella conseguente necessità giuridico-poliziesca di normare queste novità, sia attraverso modificazioni e innovazioni legislative, sia attraverso pratiche che hanno trovato legittimazione nel quotidiano vivere.

Osserveremo quindi il prevalere nel tempo di alcune pratiche poliziesche piuttosto che altre e il presentarsi prevalente oggi, come vittima designata di queste pratiche, di un soggetto dai connotati assai vari, appartenente grosso modo all'area della "marginalità" sociale, della "microcriminalità" urbana.

Abbiamo deciso di raccogliere i dati relativi al 1975 non perché vi sia un rapporto di tipo causale immediato riscontrabile tra applicazione della legge e morti avvenute, quanto perché, se è vero che strumenti legislativi e pratiche poliziesche di natura liberticida e omicida sono da sempre stati usati nel nostro paese per "mantenere l'ordine pubblico" e contenere i conflitti sociali, la legge Reale si configura, a partire dalla modalità della sua approvazione in parlamento fino al suo reale uso nel sociale, come una vera e propria svolta per l'ordinamento politico e giuridico italiano.

«Dinanzi al conclamato dilagare della criminalità e della violenza, politica e non, lo Stato e le forze politiche governative (e di opposizione) chiedono ai cittadini una generale restrizione delle loro libertà, che devono essere sacrificate all'interesse collettivo della sicurezza e dell'ordine». 1

Si ritiene che la «situazione è di emergenza e come tale non può essere affrontata che con dei provvedimenti di emergenza». 2

Ma la situazione di "emergenza" non è mai terminata, si è continuamente rinnovata e costantemente ci si è appellati ad essa per richiedere sempre più continui e ripetuti «ritocchi e perfezionamenti delle norme e degli istituti che si dimostrino insufficienti di fronte alle nuove forme di delinquenza». 3 Tali «ritocchi» hanno finito per costituire oggi un vero e proprio complesso soprannominato "legislazione d'emergenza". Si può affermare quindi che la rinuncia, a cui siamo stati costretti nel '75 «ad una fetta della nostra indipendenza, la sottoposizione di ognuno a un aggravio di controlli, il ridare vita ad istituti caratteristici del regime di polizia» 4 sono venuti così ad essere definitivi, e sempre più aggravati, tanto che si deve ritenerli caratteristiche ormai stabili della vita, non più cosi libera, in questo paese.

Con l'approvazione in parlamento della legge Reale comincia a circolare una domanda che ricorrerà poi frequentemente, «sempre più diffusa e inquietante, nel dibattito politico italiano: stiamo andando verso una germanizzazione del nostro paese? Che ci si trovi di fronte ad una regressione autoritaria o comunque a un restringimento delle libertà e garanzie costituzionali è un fatto che sta sotto gli occhi di tutti [...]. Altrettanto certo è che questa regressione autoritaria corrisponde a una linea di tendenza involutiva del nostro sistema politico-istituzionale che non ha preso avvio da oggi e che caratterizza non solo il nostro paese, ma la grande maggioranza dei paesi dell'occidente capitalistico».5
Si può parlare di «trapasso dallo Stato di diritto allo Stato autoritario».6

Se è vero che «la classe dominante in Italia non ha mai ritenuto sufficienti - nel lungo corso della storia unitaria del paese - le già pesanti norme ordinarie per la repressione dei reati e per il controllo dell'ordine pubblico, e che costituisce una costante sua vocazione quella di fare ricorso ad interventi di carattere speciale» 7, «ciò che oggi è profondamente nuovo e imprime all'irrigidimento istituzionale il carattere di una svolta autoritaria è il fatto che la restrizione delle libertà è questa volta condivisa dalla quasi totalità delle forze politiche rappresentate in parlamento».8 Infatti «l'adozione [...] di leggi eccezionali in tema di ordine pubblico [...] negli ultimi tempi, per la prima volta nella storia del paese, è avvenuta con il consenso dell'opposizione di sinistra la quale in concreto ha sollevato poche o nessuna obiezione alla loro introduzione [...] riducendo al silenzio o marginalizzando quei gruppi, anche estesi, ad esempio i sindacati, che pur sembrano avere, almeno a livello di base, molte perplessità sulla bontà dell'iniziativa». 9

Ciò nonostante il fatto che con le norme approvate «evidentemente si vuol rendere più "energica" la tutela di determinati interessi, mediante nuove pene che hanno un palese fine deterrente, un fine cioè di prevenzione generale».10

«Quest'ultima serie di norme approvate dal nostro parlamento si inquadrano poi più specificatamente in quella strategia istituzionale seguita dalla borghesia per vincere l'instabilità sociale del sistema, per superare quella che Marx chiamava "la ribellione della forza lavoro contro il processo di valorizzazione del capitale"11.
«L'instabilità permanente pone la società capitalistica di fronte a un problema che è noto come problema della "lealizzazione delle masse". Si intende con ciò la tendenza e il tentativo di opporsi a possibili negazioni della struttura sociale, e quindi alla sua disintegrazione, facendo sì che resti integro il consenso, appunto la "lealtà" al sistema costituito, soprattutto per rendere controllabile e gestibile - nella generale ingestibilità delle crisi cicliche - la crisi sociale. Processi di trasformazione o di "sovversione" devono quindi venir inquadrati in regole di gioco fisse e stabilizzatrici, in meccanismi istituzionali costituzionalmente ineccepibili; o in extremis con altri modi (per esempio terroristici, come fu il caso del fascismo storico)».12

«Questo processo è senz'altro in corso in Italia: esso da un lato si articola nella tendenza a ridurre le organizzazioni politiche che si richiamano al movimento operaio in istituzioni organizzatrici del consenso al sistema, dall'altro nella tendenza di accentuare i poteri coercitivi dello Stato al fine di comprimere il dissenso politico».13

Crisi economica, instabilità sociale, difficoltà a livello politico di poter gestire trasformazioni, ristrutturazioni ad uso del capitale sono caratteri salienti di quegli anni.

La crisi economica e la ristrutturazione del modello di produzione, la grande fabbrica porterà con sé grossi squilibri nel sociale, determinando una drastica riduzione della classe operaia produttrice, l'uso massivo e variegato della cassa integrazione, incanalando capitale nella ricerca di profitto a costo zero attraverso la diffusione dell'economia sommersa, del lavoro nero. Mentre la non-occupazione veniva gestita grazie e attraverso l'ampliamento di aree di ristagno quali: l'università come parcheggio momentaneo di forza-lavoro giovanile in attesa di occupazione, il precariato, le primordiali forme di autoimprenditorialità e la ricerca di reddito attraverso la piccola illegalità.

La conflittualità nel sociale in quegli anni è ancora molto alta, «le lotte esprimono contenuti precisi - generalmente chiamati dell'autonomia operaia - che nascono da una tendenza a rifiutare gli attuali rapporti di produzione, il modo di produzione capitalistico, l'assetto economico esistente».14

Dalle lotte per l'occupazione, il rifiuto della ristrutturazione, le rivendicazioni di egualitarismo, l'occupazione delle case, le varie forme di autoriduzione, alle lotte delle donne, dalla riappropriazione del proprio corpo alla messa in discussione del tradizionale rapporto uomo-donna, la lotta dei giovani contro l'autoritarismo e per avere spazi sociali, sono solo parte del ribollire.

L'intrecciarsi vario di questi soggetti e dei loro comportamenti e le loro espressioni e rappresentazioni politiche trovarono espressione in quei movimenti che culminarono nell'esplosione.del '77.

La legge Reale si rivela strumento duttile e innovativo per le esigenze che lo strumento penale deve soddisfare.

«La sua utilizzazione come mezzo d'intimidazione nei confronti dell'intero proletariato [...], per la sua esemplarità e la sua carica di violenza è idonea a completare e a essere il necessario supporto del sistema di controllo sociale».l5
Gli anni '80 celebrano la sconfitta dei movimenti che espressero bisogni e contraddizioni sociali.

Il capitale trionfante accelera definitivamente l'innovazione dei suoi cicli di produzione acutizzando le contraddizioni tra soggetti marginali, precari, devianti (a cui oggi vanno aggiungendosi nuove figure) e la società affluente.

Ciò rende ancora più instabile la struttura sociale, nonostante la conflittualità sia scomparsa. Difatti l'inseguimento ossessivo di profitto da parte del capitale, che scompone e ricompone il territorio dal lato economico, ma anche sociale e politico disgregando così le relazioni e i tessuti comunicativi e culturali, finisce per minare strutturalmente istituzioni fondate su valori tradizionali che scontano lo sfasamento rispetto al moderno vivere.

La "Milano da bere" si riproduce imponendo esclusivamente il modello dell'ascesa sociale, dell'individuo teso solo alla ricerca di successo, di effetto, di immagine.

Ovvero attraverso la sconfitta di ogni progetto di trasformazione della società si è proceduto da parte del capitale, dello Stato, solo a riprodurre, a controllare il reale, senza che avesse gran risultato il rispolverare tradizionali contenuti culturali e morali di fronte alla mutata situazione economica e sociale.

Il potere capitalistico continua nella sua opera, la cui essenza è nel riprodurre immanentemente le proprie condizioni, esorcizzando ogni tentativo di ripresa della conflittualità finalizzata al superamento dell'attuale sistema, con strumenti per attuare controllo sul sociale.

Qualsiasi sintomo di tensione sociale viene avvertito come presagio di un eventuale black-out, di un corto-circuito che verrebbe creato attraverso l'impazzimento di dinamiche contraddittorie e l'impossibilità di praticare su di esse controllo e governabilità. Continuamente, quindi, lo Stato abbisogna di strumenti efficaci e adattabili in ogni momento alle necessità di volta in volta dichiarate, alle "emergenze" allarmisticamente create. Uno dei principali strumenti rimane la legge Reale per la sua versatilità ed efficacia nel trovare, su determinati soggetti e determinati comportamenti, motivo di applicazione. La sua potenzialità liberticida consiste nella possibilità, mai espressa pienamente, di poter mettere sotto gli ingranaggi dell'apparato poliziesco qualsiasi individuo.

Dai dati raccolti pare evidente che il "marginale", il "deviante", colui che fa parte dell'area della "microcriminalità", sia il soggetto prevalente tra le vittime delle pratiche del controllo diffuso, della legge Reale.

Infatti i "marginali" aumentano sempre più e sono sempre meno garantiti, sempre più poveri, economicamente e giuridicamente, vista la «progressiva demolizione degli aspetti "soft" e sociali del welfare state».16

Ai poveri di sempre se ne sono aggiunti altri, cosiddetti "nuovi", le cui figure sociali maggioritarie sono: il disoccupato permanente (non riassorbibile, nemmeno più ciclicamente, dal mercato del lavoro), il tossicodipendente la cui unica relazione sociale è la compra-vendita della "dose", l'immigrato extra comunitario, mancante di diritti "semplicemente" perché straniero e il più delle volte clandestino.

La ricerca di reddito per questi soggetti vuol dire spesso, soprattutto per quanto riguarda il tossicodipendente, "sbarcare il lunario" commettendo reati contro il patrimonio - scippi, furti di autoradio o macchine, furti in appartamenti -, o reati connessi con lo spaccio di eroina o altre droghe, ecc... Tale è il panorama delle "colpe" di cui essi si macchiano.

Essi provengono dalle periferie metropolitane, ne hanno vissuto i drammi e gli squallori.

Esistenze relegate in luoghi e circostanze determinate dai diversi ambiti del mercato e dai meccanismi di accumulazione (la ristrutturazione, la rendita urbana ) e, soprattutto, senza la possibilità di esistere in quanto soggettività sociali autonome.

Al di fuori di quelle circostanze e di quelle "riserve", dei limiti legali e giuridici, ci sono i posti di blocco, le retate e non di rado volano proiettili.

«Lo Stato [...] è, o quantomeno tende ad essere, fortissimo, anche se non sempre e necessariamente brutale (differenziazione, misure alternative, ecc.) coi più deboli [...]: punire molto e sorvegliare molto»; gran parte delle persone a cui è dedicato questo libro «vengono raggiunte non già da mandati o da provvedimenti, ma da colpi di arma da fuoco chiaramente mirati alla persona - e quindi generalmente mortali - a reato già commesso, senza che vi siano violenze da respingere o resistenze da vincere (tali non essendo evidentemente i comportamenti meramente rivolti a conseguire l'impunità, quali, appunto, la fuga).

A quell'individuo viene sparato, in realtà, non per intimidirlo né per "assicurarlo alla giustizia" (non si fanno i processi ai morti): trova invece applicazione un istituto che per essere non scritto non è perciò meno vigente, e cioè l'irrogazione in via più che direttissima e del tutto coincidente con la esecuzione della pena capitale.

Una pena di morte:

  • senza processo
  • eseguita in forma di decimazione
  • eseguita da giovani ventenni contro altri giovani ventenni
  • per reati minori
  • per reati minori commessi da emarginati». 17

Note
  1. ANTONIO BEVERE, La legislazione speciale in ltalia tra il l974 e il l975, in AA .VV Ordine pubblico e Criminalità, Mazzotta, 1975 Milano, p. 73.
  2. G. BOVIO in "Corriere della Sera" 4-5-1974 citato in A. Bevere, La legislazione speciale in Italia, op. cit., p. 73.
  3. ORONZO REALE, cit. in A. Bevere, La legislazione speciale in Italia, op. cit., p.73.
  4. G. BOVIO in "Corriere della Sera" 4-5-1974 citato in A. Bevere, La legislazione speciale in Italia, op. cit.
  5. LUIGI FERRAJOLI - DANILO ZOLO, ll caso italiano, in Democrazia autoritaria e capitalismo maturo, Feltrinelli, Milano, 1978, p. 14.
  6. LUIGI FERRAJOLI - DANILO ZOLO, II caso italiano, op. cit., p. 15.
  7. ROMANO CANOSA, La legislazione eccezionale sull'ordine pubblico in Italia, tra storia e cronaca (1861-1973), in AA.VV, Ordine pubblico e criminalità, op. cit., p. 31.
  8. ANTONIO BEVERE, La legislazione ..., op. cit., p. 80.
  9. ROMANO CANOSA, La legislazione eccezionale sull'ordine ..., op. cit., p.39.
  10. ANTONIO BEVERE, La legislazione ... op. cit., p. 80.
  11. ANTONIO BEVERE, La legislazione ... op. cit. p. 84.
  12. JOHANNES AGNOLI, Competizione elettorale e conflitto sociale, in "Critica del diritto", 1974, n. 3, p. 84-85.
  13. ANTONIO BEVERE, La legislazione ..., op cit., p. 85.
  14. Lotte proletarie e ordinamento giuridico, in AA.VV., Ordine pubblico...,op. cit., p.225.
  15. ALESSANDRO GAMBERINI - LUIGI STORTONI, Basi ideologiche ed effetti normativi della campagna su "criminalità" e "ordine pubblico", in AA. VV., Ordine pubblico e criminalità, op. cit., p.130
  16. MASSIMO CROCI, La pena di morte di fatto in Italia, in "MOB", aprile'87, n.0, p.6.
  17. MASSIMO CROCI, La pena di morte..., op. cit., p. 7.