SABOTARE LA GUERRA
Contro la volontà americana
Il 15 febbraio milioni di persone manifestano, in 52 paesi e 75 città di
tutti i continenti, contro la guerra. E' un evento mondiale che vuole
contrapporsi alla volontà di Bush e della sua banda criminale, costituita
da grandi proprietari delle multinazionali, petrolieri e generali, di
bombardare e invadere l'Iraq.
Il presidente americano, democraticamente eletto, si accinge a scatenare
la guerra preventiva: un'aggressione imperialista che diventerà carneficina
da attuare con grande uso della tecnologia d'annientamento e di morte che
la più grande superpotenza possiede. Una carneficina che causerà morti
orrende per centinaia di migliaia di uomini e donne, che il caso ha fatto
nascere iracheni. Non mancheranno poi gli effetti collaterali: altrettante
centinaia di migliaia di feriti, di mutilati, di persone sottoposte alle
radiazioni dell'uranio impoverito. La maggioranza della popolazione, già
colpita da dieci anni d'embargo, sarà ridotta in miseria, affamata e
obbligata a vivere in un paese distrutto, con le città ridotte a macerie e
l'abbattimento di tutte le infrastrutture che rendono possibile una vita
civile. La guerra produrrà poi un'inevitabile, anzi più che previsto,
immane disastro ecologico.
Per concretizzare questo attacco da mesi si stanno spostando nell'area
mediorientale ingenti forze militari. Un grande schieramento di navi,
portaerei, corazzate sta circondando il golfo. Molte armate motorizzate con
carri armati e blindati saranno accampate in Turchia, tutte le basi Nato
sono attivate e contengono ormai migliaia d'aerei da guerra pronti a
decollare ininterrottamente.
Occidente diviso
In passato molte scelte di guerra americane od occidentali, come quella del
Golfo 91 o l'ultima con l'invasione dell'Afganistan, sono state avvallate
dall'ONU e hanno visto la partecipazione di tutte le nazioni aderenti alla
Nato.
Ora invece, più la guerra appare inevitabile, più si concretizza una
contrapposizione alla scelta americana.
Alcuni stati tra cui Francia, Germania, Belgio, Russia, Cina e il Vaticano
si dichiarano contrari a questo prossimo conflitto.
Si tratta di scelte che nascono da interessi ben precisi. Gli stati europei
vedono, in una parziale autonomia da Washington, la possibilità di
rafforzare il proprio potere nello scacchiere geopolitico attuale e
perseguono così delle differenti strategie sui mercati del petrolio e negli
scambi commerciali globali. Altre potenze regionali o molti stati asiatici
o del terzo mondo non vogliono assistere ad un consolidamento del dominio
occidentale. I paesi arabi temono una ridefinizione degli assetti
geopolitici del medio oriente e un ulteriore rafforzamento d'Israele.
Questa guerra è anche il sintomo di un altro mutamento importante: il ciclo
capitalistico globale sta entrando in un periodo di forte instabilità.
Le politiche internazionali, le scelte economico finanziarie e le
prospettive strategiche di molti stati si stanno differenziando e si
definiscono forti contrapposizioni, ciò produce grandi tensioni.
Gli USA dopo la caduta del muro e il disfacimento dell'impero sovietico
sono diventati l'unica superpotenza, hanno a loro disposizione una forza
militare incontrastabile, ma sempre più si stanno indebolendo
economicamente. Da tempo hanno un tasso di crescita irrisorio mentre
aumenta a dismisura l'indebitamento. Ciò mina le loro effettive possibilità
di mantenere, ancora un'egemonia mondiale per molto tempo. Da qui le loro
scelte di guerra per ridefinire militarmente i rapporti di forza e il
controllo del mercato delle fonti energetiche.
La Chiesa cattolica da almeno un decennio ha incominciato ad avversare
moderatamente, una certa tendenza del capitalismo. L'attuale pontefice è
molto fermo su questo anche perché conosce molto bene i problemi e le
difficoltà del cattolicesimo contemporaneo e ha potuto paragonare, vivendo
di persona, la differenza tra sistemi totalitari e sistemi consumistici. La
Chiesa è diventata sempre più consapevole che la sua crescente difficoltà a
mantenere un consenso su vaste masse di popolazione mondiale era minata
dall'etica consumistica, edonistica e individualistica della civiltà
capitalistica attuale.
Si va cosi a definire una convergenza d'interessi di molti centri di potere
mondiali che avversano sempre più le strategie americane.
La guerra è inevitabile?
Appare abbastanza evidente che Bush si trova in una posizione di non
ritorno e presto dovrà comunque attaccare l'Iraq. e questo conflitto
porterà ad una forte destabilizzazione del Medio Oriente. Ma il nodo non è
diplomatico bensì di strategia per la conferma di un egemonia Usa nel
sistema capitalistico mondiale. Alcuni studiosi ci confermano che la caduta
di un'egemonia non vuol dire di per se fine del sistema. Può emergere
un'altra potenza economica, magari in un'altra area geografica, che
sostituisce quella declinante: oggi molti per questo guardano ad oriente.
Ma questi studiosi ci ricordano anche che da cinquecento anni le guerre e
la conflittualità sono stati il vero motore trainante d'ogni forma di
sviluppo. Il capitalismo non riesce a procedere senza distruggere, e i
cicli sistemici hanno sempre avuto fasi lunghe d'instabilità contrapposte,
solo, a brevissimi periodi di stabilità. Lo sviluppo capitalistico procede
così.
E anche l'ultimo periodo di benessere si e dato grazie al permanere della
guerra fredda che è seguita ad un'immensa carneficina, costata 40 milioni
di morti: la seconda guerra mondiale. E il conflitto, iniziato nel '39, è
stato una risposta ad una crisi, quella del '29 che appariva senza via
d'uscita. Certo ora la situazione è molto cambiata e da tempo è diventata
oggettivamente improponibile la logica: a grandi distruzioni segue un lungo
sviluppo economico.
Le possibilità del pacifismo.
Più passa il tempo più cresce un dissenso motivato e intransigente che si
estende, si massifica e coinvolge milioni di persone. La mobilitazione di
oggi ne è l'esempio più significativo. Il movimento contro la guerra è un
movimento massificato e mondiale in esso convergono più anime della società
e molte componenti politiche si trovano unificate da una sola volontà che
diventa un unico obbiettivo: impedire il conflitto armato o far pagare i
più alti costi a che la guerra la scatena.
Ma si può anche andare oltre e, per quanto è possibile, utilizzare questa
occasione per radicare nei territori una presenza che sappia superare
l'ambiguità riproposta dei partiti politici e delle istituzioni. ma c'è
soprattutto da fare chiarezza sul significato che può e deve assumere
socialmente e politicamente questo movimento contro la guerra.
Il mero pacifismo rischia di essere perdente, di arroccarsi su posizioni
morali e quindi di rendere sterile e perdente la contrapposizione contro
chi ha scelto la guerra come forma di scontro per costruire una nuova
egemonia.
Oggi capitalismo e guerra sono inseparabili, come lo sono stati già per
buona parte di tutto il novecento Non si può separare la lotta contro la
guerra dalla lotta contro il capitalismo e contro chi lo rappresenta
politicamente e istituzionalmente.. Ma questo nodo il pacifismo
istituzionale non ò in grado di affrontarlo, ne tanto meno di scioglierlo.
Il pacifismo istituzionale fa la sua parte crea opinione, tutt'al più si
oppone, forse voterà in parlamento, ma poi li si ferma.
Così ci si appella al diritto internazionale, alle risoluzioni e alla
funzione dell'ONU. Ma questo oggi più che mai vuol dire nascondersi dietro
una foglia di fico. Gli organismi internazionali non sono arbitri ne hanno
il potere effettivo di decidere o la forza di fermare Bush. Gli americani
ben lo sanno e così procederanno.
Proprio per superare questi limiti il movimento contro la guerra deve
radicarsi nei territori e mettere in atto delle forme di opposizione che
diventino vere contrapposizione e azione diretta contro le forze e le
strutture da cui parte la guerra, contro le industrie, gli scienziati, i
politici i circoli, i comandi militari, le ambasciate delle nazioni che
sostengono le iniziative americane.

Far sentire la rabbia popolare alle forze politiche che si dichiarano
vicine e alleate al presidente Bush.Ma se il movimento va territorializzato
e reso incisivo uno degli obbiettivi più importanti e significativi è
contrapporsi al governo Berlusconi che in vari modi sta preparandosi a
scendere in campo a fianco degli americani dimostrandosi in senso stretto
il vassallaggio per gli Usa.
E già stato un atto gravissimo l'invio degli alpini in Afganistan,
altrettanto gravi sono state le dichiarazioni di Frattini che afferma che
gli americani hanno il diritto di sorvolo dei nostri territori e possono
quando vogliono far partire aerei con la missione di bombardare dalle basi
collocate sul nostro territorio nazionale.
Diventa importante costruire la massima mobilitazione per impedire che in
ogni modo Berlusconi consegni il nostro paese alla guerra o a qualsiasi
forma di cooperazione in appoggio alla guerra. Sarà prioritaria la
mobilitazione nei territori allo scoppio della guerra, accompagnata da un
lavoro di controinformazione serrato che disveli la produzione bellica nei
territori e le aziende ad essa collegate (di ricerca di sperimentazione, di
produzione). Allo stesso modo la mobilitazione dovrà essere estesa e
incisiva laddove il potere militare è di fatto concreto. Questa guerra ha
dei ruoli chiari, c'è chi la vuole (ben pochi tolti i potenti) e chi non la
vuole (la stragrande maggioranza); c'è chi ne è soldato e chi ne è
disertore, c'è chi ne è sostenitore e chi come le centinaia di migliaia di
persone che oggi sono qui ne sarà sabotatore!
Network antagonista piemontese
Centro sociale Askatasuna
Centro sociale Murazzi
Coll.Univ.Autonomo Torino