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La Bolivia alla svolta
La Bolivia alla svolta
dal Centro de Documentacion e Informacion Bolivia - CEDIB - Cochabamba
Bolivia
In Bolivia si stanno vivendo giorni convulsi. Si sciopera ogni giorno e da
più parti si organizzano blocchi e manifestazioni. Gli scontri con la
polizia contano feriti e arresti, mentre il malcontento della gente soffia
fuoco sul collo del governo.
Nell'ultima sessione del Foro del Sud 2004 si è giunti alla conclusione che,
così come stanno le cose nel paese, per questo 2005 il tema principale che
dovrà trattare il governo sarà il prezzo degli idrocarburi: mantenerlo
congelato significherebbe il fallimento del Tesoro Generale della Nazione,
mentre aumentarlo significherebbe far fallire l'economia popolare_
Effettivamente, dall'inizio dell'anno il Governo è sul punto di cadere
perché ha preteso di trovare soluzione al problema aumentando il prezzo
degli idrocarburi. Attenzione: non siamo noi quelli che affermano che il
governo è sul punto di cadere, ma è il Presidente che continua a parlare del
pericolo imminente di una sua possibile rinuncia.
Proseguiamo con ordine.
I fatti
L'ultimo giono del 2004, Mesa ha sorpreso il paese con il decreto supremo
n. 27959 che aumentava i prezzi del gasolio (+10%) e del diesel (+23,1%),
una decisione che ha provocato le critiche di tutta la società civile e di
tutti i partiti politici e che, senza neanche aspettare la fine delle
vacanze, è stata oggetto di molte proteste, soprattutto nell'Alto e a Santa
Cruz.
Nella seconda settimana di gennaio entrambe le città erano paralizzate. El
Alto bloccata dal coordinamento delle Giunte Autogestite degli indigeni,
Santa Cruz a causa del Comitato Civico (la cui maggioranza è composta dai
settori imprenditoriali oligarchici). In entrambi i casi si esigeva
l'annullamento del decreto supremo 27959 e si ripetevano altre vecchie
domande regionali, tra cui si sottolineavano, per l'Alto, la rescissione del
contratto 'Aguas del Illimani', e per Santa Cruz l'approvazione del
referendum regionale sull'Autonomia dipartimentale.
A queste mobilitazioni urbane si sommavano le minacce fatte dalle
organizzazioni dei trasportatori, delle varie centrali operaie
dipartimentali, della Confederazione dei Campesinos di Bolivia, della
Federazione dei Regantes di Cochabamba, etc. Fu qui che Mesa, nel corso di
un accorato messaggio alla popolazione, ha spiegato che o era giunto il
momento in cui l'aggressività delle mobilitazioni giustificasse l'uso della
forza pubblica e il conseguente pericolo di dover vedere versato il sangue
dei boliviani, o si sarebbe visto costretto a rinunciare al mandato
presidenziale.
Venerdì 14 viene annunciato pubblicamente che il Governo rescinde il
contratto con 'Aguas del Illimani' e la popolazione di El Alto sospende la
mobilitazione, anche se avverte che si tratta solo di un 'intervallo' nella
speranza che il Governo soddisfi anche le altre domande (l'annullamento
degli aumenti del carburante, l'approvazione di una nuova legge sugli
idrocarburi, il rinvio a giudizio di Gonzalo Sanchez de Lozada e la rinuncia
all'immunità per le truppe statunitensi più altre cose).
A Santa Cruz al blocco e alla paralisi della città si sostituisce, la terza
settimana di gennaio, uno sciopero della fame indetto dai dirigenti civici e
sociali, sciopero che viene accompagnato in breve tempo da una occupazione
progressiva di istituzioni pubbliche (il Servizio delle Imposte,
Immigrazione, Direzione del Lavoro, AASANA, più alcune persone alla
Prefettura e il blocco all'ingresso dell'aeroporto, senza contare ciò che si
è discusso in una specie di Corte su acqua e elettricità, una sorta di
minaccia di quello che potrebbe succedere).
Giorno 20, il Presidente modifica il decreto 27959, quello approvato il 31
dicembre, con un nuovo decreto 27983 che ribassa il prezzo del gasolio a
quello della benzina. Ma la mobilitazione di Santa Cruz non solo continua,
ma si rafforza, accompagnata da marce molto partecipate che sfociano in
scontri con la polizia (apparentemente provocati da alcuni settori).
Intanto, un'interpellanza a quattro ministri del governo (quello della
Presidenza, quello dello Sviluppo Economico, quello dell'Industria e quello
per gli Idrocarburi) presentata dall'assemblea parlamentare cruceña finisce
con la censura dei quattro da parte della Camera dei Deputati, ministri che
per questo sono obbligati a rinunciare al mandato, anche se si suppone che
in questi giorni saranno ratificati dal presidente Mesa. A Santa Cruz e nel
resto del paese regna l'incertezza. Molto più forte per quanti con il
proprio lavoro cercano di diradare le nebbie.
El Alto e 'Aguas del Illimani'
Questo è un vecchio problema. La grossa trasnazionale francese "Suez
Lyonnaise des Eaux" negli anni Novanta si è fatta carico della fornitura di
acqua potabile nelle città di La Paz e del Alto, e da entrambe è stata fatta
oggetto di critiche per il crescente contrasto tra i continui aumenti delle
tariffe e la qualità del servizio; e adesso lascia, proprio come, per
ragioni simili, ha cercato di andarsene da Manila (Filippine) e da alcune
città argentine. Non solo è un successo del popolo alteño, ma anche
dell'intero paese che si libera della seconda transnazionale che pretendeva
di arricchirsi con l'acqua di Pachamama (Madre Natura, ndt) e con la sete
della gente.
Svantaggi? Nessuno, così come non è possibile subire noie diplomatiche da
parte del governo francese: forse qualche domanda di indennizzo come quella
presentata dalla Bechtel ('Aguas del Tunari'), ma questa volta la faccenda
non può andare molto lontano, perché in questo caso la Bolivia non ha un
trattato di libero commercio con la Francia. Non appena sono stati toccati
gli interessi della nazione francese, la Francia ha tagliato i ponti, un
lusso questo che il governo boliviano può permettersi. E per la tensione
sociale che si vive a El Alto è stata un'importante valvola di sfogo.
I prezzi del carburante
Qui la situazione è molto più delicata. Giorno dopo giorno il paese è stato
legato mani e piedi ai contratti in vigore con le multinazionali
petrolifere, e una delle conseguenze è che i prezzi interni del petrolio e
dei suoi derivati si stabiliscono d'accordo con i prezzi internazionali e
non in accordo ai costi di produzione come succedeva prima della legge sugli
idrocarburi di Gonzalo Sanchez de Lozada datata aprile 1996.
Per questa legge i boliviani, che hanno petrolio proprio e capacità interna
di raffinarlo, non hanno alcuna possibilità di pagarlo al reale prezzo di
costo (circa 10 dollari al barile), ma al prezzo imposto dalle speculazioni
mondiali (che oggi supera i 40 dollari al barile!). E nelle condizioni di
adesso questa è una bomba ad orologeria per l'economia popolare e anche per
l'economia impresariale (in special modo per l'agrindustria di Santa Cruz).
Da qui, l'ultimo governo di Banzer era stato costretto a congelare i prezzi
dei carburanti anche se questo era costato al tesoro Generale della nazione
il dover accettare un compromesso: versare alle multinazionali la differenza
tra il prezzo mondiale e quello congelato. Con questa trovata, la mossa
tocca di nuovo al Tesoro. Che fare?
Il governo insiste che l'aumento del diesel e della benzina è l'unica
soluzione possibile per riequilibrare il deficit fiscale, per poter pagare
le spese del settore sanitario e dell'educazione, e per evitare il
contrabbando di diesel e la sua conseguente diminuzione di scorte. Però i
fatti non stanno dimostrando che questa è la soluzione (questo è già stato
ampiamente dimostrato con il fatto che il costo della vita è aumentato, così
come sono aumentati i passaggi di mano e, per questo, sono aumentati i costi
di quasi tute le produzioni).
L'unica soluzione seria è quella che sta progettando la Comisión Económica
del Congresso con la nuova legge sugli idrocarburi: con il recupero della
proprietà degli idrocarburi da parte dello stato si potrà determinarne il
prezzo interno sulla base del costo reale e non sulla base dei prezzi
stabiliti dal mercato mondiale. E' il vantaggio di possedere petrolio
proprio: sapete quanto costa la benzina in Venezuela? 25 centesimi di
boliviano! Non è un errore, tre centesimi di dollaro. Qui nessuno chiede
cose simili ad un ribasso (cosa che suppone una sovvenzione statale che la
Bolivia non si può permettere) solo si chiede che i prezzi smettano di
aumentare. Ma il presidente Mesa, obbediente alle consegne dei poteri
stranieri, nega di accettare questa possibile soluzione e preferisce una
soluzione a discapito dell'economia popolare (e nazionale). E l'ultimo
ribasso del prezzo del diesel equiparato a quello della benzina è servito a
poco perché non fa che scaricare il problema per metà sulle spalle del
Tesoro e per metà sulle spalle del popolo, ed è chiaro che nessuno dei due
può sopportare una simile incombenza.
Che succede a Santa Cruz?
CPer essere il più obiettivi possibili, ci siamo spostati fino alla
capitale orientale e da lì stiamo redigendo questo bollettino. La prima cosa
che notiamo è che mai questa grande e produttiva città ha vissuto un simile
stato di convulsione: scioperi della fame, grandi marce aggressive, blocchi,
occupazione delle istituzioni, scontro aperto con il governo, prese di
posizione persino dei suoi rappresentanti cruceñi (il prefetto Carlos Hugo
Molina e il ministro della Participación Popular Roberto Barbery) che ci
stanno rimettendo la faccia con i politici ma che comunque restano oggetto
di insulti e di sberleffi da parte dei loro compaesani. La dirigenza
cittadina di Santa Cruz afferma che non sta chiedendo nessun confronto, ma
si comporta come chi cerca esattamente un confronto; al contrario non si
spiegherebbe la sua reazione di fronte l'ultimo decreto presidenziale che
ribassa il prezzo del diesel a livello di quello della benzina.
Il signor Dabdoub, della cosiddetta Nacion Camba, ha rilasciato una prima
dichiarazione giudicando positivo questo gesto del governo, ma nel giro di
un'ora, per istruzione di altri dirigenti, ha cambiato la propria posizione
e ha rifiutato il decreto presidenziale. Che succede quindi?
Alcuni analisti cruceñi, che hanno i loro spazi sulla stampa, concordano
nell'affermare che dietro quella mobilitazione, che chiaramente va molto più
in là del prezzo del diesel, non appare alcun progetto alternativo per il
paese e che per tanto l'unica cosa che perseguono i suoi dirigenti è una
destabilizzazione che permetta di liquidare quelli che sono considerati i
tre pericoli più grandi per i loro interessi: la nuova legge sugli
idrocarburi, la crescente domanda di terre da parte delle genti indigene e
dei campesinos Sin Tierra, e l'Assemblea Costituente (oltre, allo stesso
tempo, rendere invisibile il giudizio per le responsabilità di Sanchez de
Lozada); almeno questo è quello che si intuisce dalle domande formulate per
la richiesta di abrogazione del decreto di fine anno.
Quali sono le forze che comandano il movimento civico?
Chiaramente la Cainco (che qui alcuni la chiamano la Caincovich) e dentro
di questa niente meno che la Cámara Boliviana de Hidrocarburos (si suppone
che sia lei la prima a finanziare la mobilitazione) sommata a importanti
capitali cileni. La seconda grande forza (che comunque non ha un nome
specifico se non quello di 'trasversale') è quella che si raggruppa attorno
al Sig. Monasterios e che è disposta a difendere con le unghie e con i denti
250mila ettari di terra che sono gli stati graziosamente concessi e che pare
siano in pericolo di 'sanatoria' da parte della INRA (Istituto Nazionale
Risorse Agricole). Si dice che nel corso di conversazioni non ufficiali con
portavoce del Governo (che a sua volta rappresentano rivali oligarchici
della zona andina) i temi principali non sono il diesel o gli idrocarburi,
ma il condono di 200 milioni di dollari di debiti per tasse petrolifere e
altri megacommerci. E questo tipo di interessi sembra essere quello che sta
dietro l'impaziente domanda di autonomia dipartimentale senza sperare in una
Assemblea Costituente.
Un altro elemento che richiama attenzione quando ci si arriva vicino è la
composizione della "Unión Juvenil Cruceñista", che anni fa raggruppava un
centinaio di ragazzi di pelle bianca appartenenti alle classi privilegiate
(con una chiara tendenza verso l'ideologia fascista) e ora in cambio è
costituita da migliaia di giovani di evidente sangue meticcio e in molti
casi anche di appartenenza andina. La spiegazione che abbiamo trovato è che
si tratta di una massiccio reclutamento di giovani più o meno disoccupati
(della città e della provincia) a cui si paga un gettone di 10 bolivianos al
giorno e che servono come forza bruta (sono quelli che occupano le
istituzioni, e quelli che a colpi di pietra hanno forzato la polizia a
intervenire contro la grande marcia del 20 gennaio). Questa violenta
partecipazione a ciò che è il cosiddetto "lumpen proletariat', insieme con
le caratteristiche dei settori dirigenti, è quello che permette ad alcuni
analisti di dire cha a Santa Cruz sta venendo fuori un'insorgenza fascita.
La responsabilità del governo
E' innegabile che in questo stato di convulsione partecipano attivamente
molti settori popolari, espressi dalla Central Obrera Departamental, dalla
Federación de Juntas Vecinales e da altri, di cui è ovvio dire che sono meri
fanalini di coda del Comité Cívico, ma che nei fatti riempiono le strade e
permettono che si affermi che tutta Santa Cruz sta insorgendo per una
supposta protesta contro il 'dieselazo' (l'aumento del prezzo del diesel).
Però, chi ha fornito all'oligarchia cruceña l'argomento per cui appare come
alleata degli interessi popolari accusando il Governo di stare incrementando
la fame della gente?
Niente meno che il presidente Mesa, che fin dal primo giorno del suo
governo non ha chiesto di governare con i movimenti sociali né di assumere
l'agenda di Ottobre, e che ora ha preferito risolvere la crisi del Tesoro a
costo dell'economia popolare e non al costo delle garanzie delle
trasnazionali che continuano a resistere in quella che è chiamata una legge
sugli idrocarburi. Lui che confisca, che continua a chiedere al Parlamento
che si approvi l'immunità per le truppe statunitensi (con il ricatto che, in
caso contrario, non ci sarà denaro per installare il gas a domicilio) e che
oltre al decreto di fine d'anno ha emesso un altro decreto che autorizza le
Forze Armate ad intervenire con armi da guerra nel caso di convulsione
sociali (lui che è disposto a rinunciare anziché uccidere, allo stesso tempo
è disposto ad autorizzare che altri uccidano impunemente, siano
nordamericani o boliviani). Lui che autorizza le imprese petrolifere a
registrare le proprie concessionarie secondo il Diritto Reale_ Non è
provocare il popolo?
Conclusioni
Evidentemente chi chiede la rinuncia del presidente, senza avere
un'alternativa concreta da proporre, sta danneggiando il paese. Però qui c'è
un governo che non ha alternativa, che si sottomette ai poteri stranieri
fino all'estremo di provocare la popolazione, e che regala argomenti e
bandiere popolari ai settori più reazionari dell'oligarchia, che sta facendo
tutto questo a danno al paese. Per questo abbiamo detto di essere ad una
svolta. E non sembra che noi si possa venir fuori da questo pasticcio né con
gli sforzi (abbastanza ridicoli e poco convincenti) di chi tenta di
costituire una bancata parlamentare oficialista, né con l'accorato e sentito
'messaggio alla nazione' del capo del Mas, né con l'anticipare le elezioni
generali (la mancanza di proposte politiche concrete e la mancanza di unità
dei movimenti sociali le rendono inutili). E una eventuale successione
presidenziale da parte dell'attuale presidente del Senato (il mirista Vaca
Díez, uomo rappresentativo del peggiore e vecchio sistema, e uomo di fiducia
dell'oligarchia cruceña) peggiorerebbe addirittura le cose.
Le speranze tuttavia non sono perdute, lì dove i settori indigeni e
campesini delle Tierras Bajas (le Terre Basse) hanno iniziato a gestire una
unità sociale che prima si era chiamata 'Bloque Oriente' (Blocco Orientale,
l'unico settore che si è saputo tirar fuori dal Comité Cívico di Santa Cruz)
e che lentamente si va unendo alle Tierras Altas con il 'Patto di Unità'. E'
una piccola speranza che tuttavia si vede ancora lontana anche perché, tra
le altre cose, le manca molto per coinvolgere le masse dei poveri delle
città. Ma è quello che c'è.
Fonte
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