Dalla Bolivia



La guerra del gas Tutta la rabbia del popolo boliviano, che ha una storia di dittature militari, repressioni feroci, povertà assoluta, mancanza di assistenza sanitaria e negazione di ogni diritto umano, compreso quello allo studio, è esplosa attorno al problema del gas. La Bolivia è tra le nazioni al mondo più ricche di metano. Il governo Banzer (1997-2000) aveva avviato tutta una serie di accordi per vendere questa importante risorsa agli Stati Uniti attraverso la miltinazionale Pacific LNG. La Pacific, però, ha deciso di usare un porto cileno per trasportare il prodotto fino alle coste californiane. Una soluzione che i boliviani non potevano accettare pacificamente, visto che dalla fine del XIX secolo (guerra del Pacifico) accusano i vicini di casa di aver 'rubato' il loro mare, annettendo la costa boliviana all'interno dei confini cileni. In oltre, il progetto di vendita del metano prevede un'esportazione pari a 7 trilioni di piedi cubici di gas in 20 anni al prezzo di 70 centesimi di dollaro per mille piedi cubici alla bocca di pozzo. Una cifra che avrebbe portato nelle casse del governo circa 400 milioni di dollari all'anno mentre, secondo i prezzi accordati alle altre nazioni esportatrici di metano, le stesse quantità avrebbero potuto permettere un guadagno di 3.660 milioni di dollari. Nonostante gli scontri, la Repsol, la società spagnola che partecipa, con la Pan American e la British Gas, nella Pacific, ha dichiarato che, nonostante tutto, resta interessata all'esportazione del metano dallo stato andino e che a loro 'non compete scegliere' il porto da utilizzare, tra Perù e Cile, per trasportare il gas naturale in California. 'Proseguiamo velocemente con il progetto, stiamo già facendo gli studi preliminari, quelli di fattibilità', ha affermato alla Reuters un portavoce della Repsol. È il gas, di cui la Bolivia è ricca (727,2 miliardi di metri cubi stimati nel 2002), a rappresentare la chiave di volta dell'attuale crisi che sconvolge il Paese andino. Oltre al gas, però, altri attori principali per spiegare quanto sta accadendo nello Stato andino sono: il presidente della Repubblica, Gonzalo Sánchez de Lozada, detto 'Goni'; le multinazionali del petrolio; i movimenti sociali e le categorie produttive, stanchi e delusi dalla politica economica del governo. Da tutto questo deriva una situazione esplosiva, che da tre settimane ' da quando, a Warisata (80 chilometri dalla capitale boliviana, La Paz), in un duro scontro tra forze dell'ordine e contadini morirono sette civili ' rischia di trascinare il Paese nel baratro. Tutto è cominciato quando il governo di Sánchez de Lozada ha deciso di dare attuazione a un vecchio progetto: privatizzare il settore estrattivo, mettendo nelle mani delle compagnie petrolifere straniere l'intero processo produttivo del petrolio e del gas. Un poco di storia Nell'aprile 1996, 'Goni' ricopriva il suo primo mandato presidenziale e, in vista delle elezioni, decise di cambiare integralmente la 'Legge nazionale sugli idrocarburi'. Nel 1997, emise il 'Decreto 24806', con il quale toglieva allo Stato boliviano la proprietà degli idrocarburi. Tanto per fare un esempio, 'se prima della riforma le 26 compagnie straniere attive nell'estrazione di gas e petrolio versavano ogni anno 350 milioni di dollari nelle casse boliviane, dal 1996 si è scesi a 120 milioni di dollari l'anno' denunciano la 'Coordenadora de agua de Cochabamba' e altre nove associazioni boliviane firmatarie di un appello per fermare la svendita delle risorse nazionali ai danni dei cittadini. Il '96 rappresenta dunque l'inizio della privatizzazione anche se, secondo la 'Coordenadora' e le altre associazioni, 'già nel 1994, prima della privatizzazione e della nuova legge sugli idrocarburi, esisteva una 'Carta delle intenzioni' per vendere 5 milioni di miliardi di piedi cubici di gas /(il piede cubico è un'unità di misura del volume del sistema inglese, pari a 0,03158 metri cubici, n.d.r.)/ al Cile'. Chi "sfoglia la margarita"' Da qui, secondo le associazioni firmatarie dell'appello, già si evince la prima 'bugia' del governo, secondo cui invece il grosso del gas di cui è ricco il campo di prospezione privato 'Margarita' (circa 7 milioni di miliardi di piedi cubici, da esportare in 20 anni) sarebbe destinato ai 'lontani' mercati del Messico e, in prospettiva, della California. Sempre secondo la versione 'ufficiale', il gas dovrebbe raggiungere i citati Paesi passando attraverso il porto cileno di Patillos, strappato alla Bolivia nel 1879 alla fine di una guerra vinta proprio da Santiago. La questione geografica è decisiva, poiché il governo di La Paz ha sempre giustificato il basso prezzo di vendita del gas grezzo estratto da esportare in Messico e Usa con la distanza chilometrica da percorrere. Per questa ragione, il governo ha stabilito ' d'accordo con le compagnie multinazionali che si occupano dell'estrazione, del trasporto e della commercializzazione del gas - un prezzo di 0,7 dollari statunitensi ogni mille piedi cubici. Ora, l'esecutivo si è accordato con le compagnie straniere (la compagnia di trasporto nordamericana 'Sempra Energy' e il consorzio 'Pacific Lng', oltre alle multinazionali a maggioranza britannica 'British Petroleum' e 'British Gas' e la compagnia spagnola 'Repsol', proprietarie del sito 'Margarita') per avere una percentuale del 18 per cento sul valore stimato di 0,7 dollari per mille piedi cubici, il che porterà, secondo la 'Coordenadora de agua de Cochabamba' e le altre associazioni, 'in 20 anni, solo 882 milioni di dollari' alle casse statali. Il problema, però, è che la gran parte del gas non andrà mai in Messico o negli Stati Uniti, secondo le associazioni, ma nel vicinissimo Cile. Perché, si chiedono allora le organizzazioni firmatarie dell'appello, non considerare il valore del gas grezzo boliviano sulla base degli attuali prezzi di mercato, ovvero 1,3 dollari per mille metri cubici' In questo caso, il gas boliviano, dice la 'Coordenadora', varrebbe 'un miliardo e 300 milioni di dollari ogni milione di miliardi di piedi cubici, cioè 9 miliardi e 100 milioni di dollari per i 7 milioni di miliardi' di piedi cubici del campo di prospezione sotto esame. Su queste basi, anche accontentandosi del 18 per cento sugli 1,3 dollari ogni mille piedi cubici di gas, allo Stato boliviano entrerebbe quasi il doppio in royalties. Le associazioni ' e con loro tutte le categorie in sciopero in questi giorni ' vanno ben oltre. 'Applicando una royalty del 50 per cento, dalla commercializzazione del gas di 'Margarita' deriverebbero 9.100 milioni di dollari. La metà andrebbero alla Bolivia che, dunque, alle condizioni attuali si troverà a perdere 3.660 milioni di dollari che potrebbero essere investiti in istruzione, salute, strade, salari, e altro, migliorando le condizioni di vita del popolo boliviano' (il cui 75 per cento vive in condizioni di estrema povertà). Le associazioni, da parte loro, chiedono di estendere a tutte e 26 le aziende straniere che estraggono gas e petrolio in Bolivia le condizioni proposte per il campo di 'Margarita'. Il gioco di 'Goni', dunque, sarebbe stato scoperto.

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