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La Jornada 4 agosto 2007
Silvia Ribeiro
Contadini e zapatisti: la strategia del caracol
Quando i comuneros zapatisti salutano qualcuno che hanno conosciuto ed
apprezzato, gli dicono: "che questo incontro non sia il primo né l'ultimo".
Così, effettivamente, è accaduto nella riunione tra le comunità zapatiste e
le organizzazioni di Vía Campesina che ha avuto luogo in Chiapas. Un incontro
che viene da tempi e spazi diversi e che, come ruscelli che convergono dal
sottosuolo, dalle montagne o dai boschi, si incontrano per formare stagni,
sorgenti, fiumi e mari e poi, convertiti in pioggia, percorrono il mondo e
tornano ad essere terra, semi, bosco, viscere della terra.
La sorgente questa volta è sgorgata nel contesto dal secondo Incontro dei
Popoli Zapatisti con i Popoli del Mondo, realizzato a fine luglio nei caracol
zapatisti in Chiapas, dove organizzazioni di Vía Campesina di Asia, America
ed Europa, hanno ascoltato le testimonianze di donne, uomini, bambini,
giovani ed anziani dei cinque caracol zapatisti sulle condizioni di estremo
sfruttamento in cui vivevano prima della loro insurrezione nel 1994, sulla
resistenza collettiva e sui 13 anni di costruzione dell'autonomia indigena.
Gli ospiti hanno aperto uno spazio speciale nel loro programma affinché si
potessero presentare le organizzazioni di Vía Campesina. Tutti hanno parlato
col loro linguaggio: condividendo le loro canzoni, i loro sogni, storie e
realtà, dalla Tailandia all'India, dall'Indonesia e dalla Corea del Sud fino
al Brasile, al Canada ecc., senza dimenticare i lavoratori rurali emigrati,
una ferita aperta in Messico ed in tanti altri paesi ancora.
Le realtà e le testimonianze di zapatisti e di altri contadini si sono andate
tessendo, rompendo l'illusione della frammentazione, mostrando come
l'oppressione ha un volto simile e complementare per tutto il globo.
Dappertutto sono le stesse transnazionali che distruggono - Monsanto,
Cargill, ADM, Coca Cola, Nestlé, Wal-Mart, ecc. -, che espellono contadini ed
indigeni, che inghiottono terra, acqua e genti, con monocolture di soia,
eucalipto, canna di zucchero e transgenici, in più adesso con rinnovati
appoggi statali grazie alla promozione delle industrie di agrocombustibili.
A questi espropri si aggiunge il fatto che i governi, con l'alibi delle
grandi organizzazioni non governative (ONG) "conservazioniste", vogliono
espellere contadini ed indigeni sia della Tailandia come del Messico o
dell'Indonesia, per poter trasformare i loro territori in presunte "aree
protette".
Per quelle ONG e per le transnazionali si tratta di un grosso affare, per cui
ignorano volutamente indigeni e contadini che hanno non solo il diritto a
stare in quelle aree, ma anche la conoscenza e l'esperienza millenaria per
proteggere realmente boschi, terre ed acqua.
Come hanno cercato di fare a San Salvador Atenco, in India hanno espulso
membri dell'Unione dei Contadini dalle loro terre per costruire l'aeroporto
di Nuova Delhi. Anche in Tailandia, come in Brasile, la costruzione di grandi
dighe ed i progetti minerari colpiscono pesantemente indigeni e contadini. Le
politiche di "riforma agraria del mercato" imposte dalla Banca Mondiale -
delle quali il Procede è solo una versione messicana - sono un'altra astuta
risorsa per spogliare i contadini delle loro terre dappertutto.
In Asia come in America Latina, i "programmi di appoggio" ai contadini sono
solo elemosine per tenerli sotto controllo e divisi, e per introdurre
agrotossici e semi industriali; i sistemi educativi disprezzano il contadino
e l'indigeno; i sistemi di salute li discriminano, e quando hanno bisogno di
cure mediche, molte volte sono maltrattati o non sono assistiti e muoiono
nell'attesa, come è successo recentemente a Huejuquilla ad una ragazza
huichola.
Però, e soprattutto, si intessono storie di resistenza. La forza
dell'autonomia zapatista ha lasciato un'impronta profonda nei delegati e
nelle delegate di Vía Campesina, come veniva fuori dalle parole dei ragazzi e
delle ragazze che sono cresciuti nei 13 anni di "un altro mondo" - non
solo "possibile", ma davvero reale - ed ora sono coloro che s'incaricano di
molti compiti, sono il tessuto dei lavori collettivi, le autorità che
realmente "comandano" ubbidendo - perché il popolo può revocarli in qualsiasi
momento -, il tessuto dei sistemi autogestionari di salute e di educazione.
Le lotte di Vía Campesina hanno trovato un riflesso di empatia e calore nelle
comunità zapatiste: "soffriamo per le stesse cose, abbiamo le stesse lotte, è
molto quello che possiamo fare" - ha detto un compagno del caracol di
Morelia. Il movimento zapatista è stato un grande specchio che ha fatto sì
che per tutto il mondo i movimenti capiscano la propria situazione
riflettendosi nella lotta degli altri. Ora i contadini di Tailandia, India,
Brasile restituiscono l'immagine.
Per tutto ciò, questo incontro non è stato il primo: aldilà delle persone e
delle organizzazioni concrete, ciò che si incontra è se stesso nelle altre e
negli altri, che sono le forme di vita contadina ed indigena, che dalla sua
complessità e semplicità, dal suo stare nel mondo con la terra, i semi,
l'acqua, la natura, è sempre stata e continua ad essere la base fondamentale
di tutta la vita umana sul pianeta, perché è la base di tutta l'alimentazione
e delle medicine di cui poi le transnazionali si appropriano,
industrializzano e vomitano sul mercato.
È pure un incontro significativo, perché sia lo zapatismo sia Vía Campesina,
in modi diversi che possono convergere, espongono visioni ed azioni che vanno
oltre al discorso quasi decorativo di molti forum internazionali. C'è molta
strada da percorrere, ma senza dubbio questo incontro, che non sarà l'ultimo,
è un vento di speranza.
(tradotto dal Comitato Chiapas di Torino)
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