 | Chiapas: preguntar caminando |
Siamo tutti Chiapas
di Josè Saramago
Ho visto l'orrore. Non quello che abbiamo osservato in luoghi come la Bosnia o l'Algeria. No. Questo è un altro tipo di orrore. Ero ad Acteal, nello stesso posto del massacro...ascoltando i sopravvissuti. E' difficile esprimere ciò che si sente quando uno sa di trovarsi coi piedi sullo stesso posto dove assassinarono queste persone.
Immaginavo la scena... La gente che tenta di scappare... i paramilitari che sparano a volontà...le donne e i bambini che gridano fuggendo nei cespugli... il lamento dei feriti...
In Chiapas si vive una situazione di guerra o di occupazione militare, che in fin dei conti è quasi lo stesso.
Non è una guerra nel senso comune del termine, con un fronte e due parti contrapposte. Io non ho visto nient'altro che una parte in causa: l'esercito e i paramilitari. L'altra parte, le comunità indigene, non li affrontano, non hanno mezzi. Sono circondati, non hanno cibo né acqua...Vivono in condizioni disumane. Quasi in campo di concentramento. Non li hanno riuniti lì con la forza, certo, però quando fuggirono in quei luoghi ( i campi per rifugiati ) i paramilitari e l'esercito li circondarono. In quel momento quegli accampamenti si trasformarono in una specie di campi di concentramento.
Se c'è stata qualche volta nella storia umana una guerra impari, non lo è stata come questa. E' una guerra di disprezzo, di disprezzo verso gli indigeni. Il governo aspettava che col tempo si distruggessero tutti, semplicemente questo.
Però sopravvivono, nutrendosi della loro dignità. Non hanno niente, però sono tutto. Affrontano la guerra con uno stoicismo che mi ha impressionato tanto, uno stoicismo quasi sovrumano che non hanno appreso all'università, che anno conseguito attraverso secoli di umiliazione. Hanno sofferto come nessun altro e mantengono una forza interiore, una forza che si esprime con lo sguardo....Lo sguardo di quel bambino a cui han rovinato per sempre la vita...( Saramago ha conosciuto il piccolo di quattro anni Geronimo Vazquez a cui i paramilitari hanno amputato quattro dita ad Acteal ).
E' qualcosa che non si cancellerà mai dalla mia memoria... Gli sguardi seri, severi, raccolti delle donne, degli uomini... sono qualcosa che sta sopra tutto. Gli indigeni non hanno niente, però sono tutto.
Come è possibile che dopo tanto soffrire il mondo indio mantenga una speranza? Come può sorridere quest'uomo di Polhò che ci ha appena detto "può essere che domani ci uccidano tutti, però va bene, noi siamo qui? E' qualcosa che non riesco a capire.
In Chiapas ho incontrato un mondo che non comprendo. Il mondo indio è un mondo dove l'europeo non può entrare facilmente. E' come se mi affacciassi a una finestra che da su un altro mondo e, anche se ce l'ho di fronte, non lo posso capire.
Ho anche scoperto un'altra realtà quella di un territorio occupato militarmente. Un territorio dove i paramilitari e l'esercito sono unghia e carne unite. Per una ragione molto semplice: se non fosse così i paramilitari non avrebbero fatto ciò che hanno fatto e che continuano a fare.
Ho visto camion dell'esercito che trasportavano civili che sicuramente non si dirigevano lì per l'amabilità dei militari. Qualche minuto dopo che lasciammo Acteal avvenne un atto di intimidazione e spararono circa 30 colpi in aria. Questo può succedere solo se l'esercito dà la sua benedizione. Niente di più facile per l'esercito che identificare i paramilitari e disarmarli.
Mi sembra schizofrenico che il Congresso possa discutere una legge ( il progetto di legge sull'autonomia indigena proposto dall'esecutivo ) suppostamente per risolvere i problemi delle comunità indigene, come se fosse una legge normale, in situazioni normali per obiettivi consueti, quando al medesimo tempo ci sono migliaia di senzatetto che non possono tornare alle proprie terre, con la paura di essere assassinati, mentre c'è un'occupazione militare evidente nel territorio del Chiapas. E mentre i paramilitari passeggiano tranquillamente e fanno quello che vogliono.
Perché non ci si impegna per pacificare la situazione e poi discutere una legge con la partecipazione di tutti i settori e tutte le comunità?
Tutto è stato fatto sottoponendo gli indio del Chiapas a una pressione inqualificabile e questo non può chiamarsi umanità.
Il popolo del Messico deve reclamare al suo governo una pace giusta e degna. Io non posso, sono solo uno scrittore straniero accusato di ingerenza. Il popolo messicano non può stare ferme, lasciando che i governanti decidano tutto, bisogna scendere in strada...Non sto chiedendo una sollevazione, ma bensì semplicemente che le coscienze si manifestino... sto chiedendo una insurrezione morale, disarmata, etnica...
Acteal è un luogo della memoria che non può in nessuna maniera sparire. Sappiamo ciò che servì e non lo vogliamo scordare. Il Chiapas è il corpo del Messico. La società civile non dovrebbe ammirare solo gli indios, ma anche quelli che si sollevarono per difenderli.
Dal Chiapas mi porto non solo un ricordo, ma anche la parola stessa... Chiapas... La parola Chiapas non mancherà nemmeno per un giorno della mia vita. Se abbiamo coscienza, ma non la usiamo a che ci serve?
Tornare in Chiapas, tornare.
( Articolo tratto da "La revista" )
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