Chiapas:
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PACO IGNATIO TAIBO II PRESENTA CARLOS MONTEMAIOR

Circolo Anarchico Ponte della Ghisolfa 8/10/99



Soraci Questa sera al Circolo Ponte della Ghisolfa, che vedo essere metamorfico, perché l’ultima volta che siamo stati qui era completamente diverso, questa sera presentiamo due libri che sono un romanzo e un saggio, i due libri sono di Carlos Montemayor. Perché si è deciso di pubblicare insieme un romanzo e un saggio? Perché Carlos Montemaior è una persona metamorfica praticamente quanto il Circolo Ponte della Ghisolfa, è romanziere, poeta, poi è uno dei massimi esperti di lingue e culture meso americane, indigene, ha curato una collana di più di 40 volumi di opere letterarie, 50 volumi di opere letterarie di produzione delle lingue indigene, pubblicate con testo a fronte, maya soprattutto, con testo a fronte spagnolo, è traduttore dal greco e dal latino ed è un opinionista politico per la rivista “Processo” il quotidiano “la ?” in Messico, quindi un filologo, quindi un indigenista, quindi un poeta, quindi un romanziere, quindi un opinionista politico.

Queste non sono tante attività separate, diverse, per cui Carlos Montemayor si cambia un cappello ogni volta che…. Queste cose vivono insieme in un’opera assolutamente omogenea.

Chi di voi leggerà il romanzo “Guerra nel Paradiso”, che è ambientato nella guerriglia nello stato di Guerrero, Lucio Cabanas, metà anni ’60 metà anni ’70, poi leggerà il saggio “Chiapas la rivoluzione indigena”, che parla appunto dell’EZLN, il 1° gennaio 1994, cosa è successo da lì a venire in avanti e cosa era successo prima, per rendere possibile tutto questo, si accorgerà che tutte queste variegatissime attività sono un’unica sola attività intellettuale, un unico impegno insieme intellettuale e civile che si manifesta in tutte le sue forme in ogni opera di Carlos Montemaior.

E’ questa compattezza, secondo me, che ne fa la ricchezza, e pubblicare un romanzo e un saggio, due opere in contemporanea ha il senso di dare questo segnale.

Ci sta accompagnando in questo indiavolatissimo tour attraverso l’Italia uno scrittore che non solo è bravissimo, non solo è ormai conosciutissimo, non solo è amatissimo in Italia, ma è anche molto generoso, in questo caso non è qui né in veste di romanziere né in veste di storico, è qui in veste di attivista politico culturale, Paco è la punta di lancia, Paco Ignatio Taibo II, è la punta di lancia che sta aprendo, ormai da parecchi anni, in Italia la strada alla migliore nuova letteratura latino americana.

Fedele a quest’impegno che si è preso col suo gusto di lettore e con un obbligo che sente nei confronti della buona letteratura, ha deciso di regalarci una settimana, una sua settimana, per accompagnare Carlos Montemaior e i suoi libri in giro per l’Italia. Nella traduzione ci accompagnerà un traduttore d’eccezione un amico, un fratello, Bruno Arpaia, a sua volta romanziere, ispanista, bravissimo traduttore. Passo la Parola a Paco Ignatio Taibo.

PACO IGNATIO TAIBO

Mentre crescevo, gli echi di un dibattito che riguardava il senso della letteratura era ancora vivo, era ancora ? Si facevano ancora le domande “perché?”, “a cosa serve?”, la funzione della letteratura, la parola impegno era sempre evocata, avevamo alle spalle, avevamo visitato il realismo socialista e non avevamo ancora ben sviscerato il realismo capitalista. Così il primo passo che fece la mia generazione fu quello di uscire dalla polemica ignorandola, poiché sembrava una specie di polemica avvelenata, se prendevi partito creavi degli obblighi letterari, dovevi dire cose come “la letteratura è qualcosa che sta oltre il tuo impegno politico, quindi non centra niente”, oppure il contrario. Paradossalmente siamo stati la generazione più coinvolta politicamente nella storia del Messico contemporaneo. Non c’è memoria storica di nessuna generazione di scrittori di creatori, di intellettuali che abbia avuto tanta capacità d’intervento all’interno delle vicende politiche e sociali come negli ultimi trent’anni messicani. Ci siamo messi in tutti i movimenti sociali di questi anni, da quelli studenteschi degli anni sessanta, fino alle lotte civili fino al movimento sindacale degli anni settanta, tutta quella generazione di creatori, di scrittori, ha partecipato solidarizzando, utilizzando la propria capacità di scrittura per raccontare le lotte di questi movimenti. Questo è il paradosso, noi, i “ragazzi rossi” della letteratura, ci rifiutavamo di dire che la letteratura aveva una funzione politica, eppure, nello stesso tempo eravamo completamente impegnati in attività politiche tutti i giorni. C’erano delle cose che ci stavano dando fastidio, per esempio il vecchio dibattito con la sinistra tradizionale sul concetto di letteratura di evasione.

Se avessimo dato retta alla sinistra tradizionale ci sarebbe stata proibita la fantascienza e il genere fantasy, se avessimo dato retta a questa sinistra tradizionale ci avrebbero proibito i western e cose del genere, secondo questo punto di vista Sherlock Holmes era proibito perché era il portavoce del concetto dell’ordine della società vittoriana, Tarzan anche, perché non era politicamente corretto perché i negri erano personaggi subordinati, la figura di Tarzan adesso la stanno rivalutando perché ha un rapporto corretto con gli animali e adesso l’ecologismo sta di moda.

Noi studenti sentivamo formule barbare di tutti i tipi, come questa: “quell’autore è nord americano” e noi rispondevamo: sì, sarà pure nord americano, però è del diciottesimo, diciannovesimo secolo, non ha avuto l’opportunità di ammazzare vietnamiti”. A volte abbiamo sentito risposte come “Non aveva l’opportunità, ma se l’avesse avuta…”.

Era curioso, perché invece lo snobismo europeizzante era permesso, allora succedevano questi paradossi, perché Faulkner così e così, però ? e tutto il nuovo roman sì perché erano francesi, erano europei, non avevano il Viet Nam sulle spalle, la guerra d’Algeria era del passato, lontano. Invece noi, nelle cantine, i ragazzi rossi, scrittori, ci riunivamo e ci dicevamo questo ? è una palla mortale e invece Faulkner è formidabile, e naturalmente leggevamo appassionatamente la fantascienza, e scoprivamo che il nazionalismo progressista che era di moda sotto la forma latino americana era meraviglioso perché ti dava l’opportunità di essere padrone di un intero continente, però contemporaneamente non rinunciavamo per nessun motivo a poeti turchi o a un narratore greco, perché lo spazio universale era uno spazio di cattura.

Con il passare del tempo abbiamo provato a mettere ordine nel caos, cosa che non consiglio, perché è molto meglio mettere il caos nell’ordine, però anche così cercammo di mettere le cose al loro posto, e scoprimmo per esempio che non esisteva quella che si diceva letteratura d’evasione, quella che la sinistra più arcaica e stupida bollava come letteratura d’evasione era uno spazio in cui la letteratura cercava di uscire verso la fantasia, e questa fuga non era un viaggio soltanto di andata, ma era un viaggio di andata e ritorno. Prima parentesi, c’è la storia di quella segretaria che falsifica un referto medico per certificare che lei è malata e quindi ha bisogno di andare almeno otto volte al giorno in bagno durante le ore di lavoro, ha un capo repressivo, figlio di puttana che sempre la molesta sessualmente e lei se ne scappa otto volte al giorno in bagno, tira fuori dalla borsa un libro, un libro di fate, draghi, mele che tu cogli dall’albero, le mangi e vinci una corsa ciclistica, prende questo libro, se ne scappa dal capo otto volte al giorno, vive in questo mondo di nanetti, fate, dragoni, i nostri dittatori ideologici della sinistra tradizionale dicevano questa è letteratura d’evasione, ma andatevela a pigliare in culo, questo è un atto di liberazione, contro i padroni figli di puttana tutti questi nanetti che andavano per i boschi, i draghi che cacciano fuoco, le fate, erano un atto puro di evasione, perché questo era sicuro, che questa lettura era un viaggio non di sola andata, ma di andata e ritorno, perché questa signora usciva dal bagno rinforzata.

Altro argomento di conflitto di quell’epoca era l’inutilità della letteratura, il saggio era la verità, la letteratura era la finzione, bisognava leggere molta teoria, perché era l’albero verde della vita, e la letteratura chissà cos’era. Questa era una finzione, perché tutti, sotto le copertine dei libri di Engels o di lotte contadine in Germania nascondevano il libro di ? . Un mio amico era diventato magistrale in questo, perché si era procurato tutte le copertine dei libri di Althusser, le opere complete di Bakunin in sette volumi, ci metteva i gialli dentro, e a seconda dell’occasione li copriva con una di queste copertine. Una mia amica era arrivata all’estremo di usare la copertina di Rosa Luxenbourg per coprire novelle rosa, mi sembra l’atto sovversivo più potente che potesse immaginare, perché il merito di questa generazione è che ha costruito non nell’albero verde dell’ideologia, ma nell’albero morto dell’ideologia. Le parole, gli aggettivi peccaminosi che si attiravano addosso erano le nostre virtù, eravamo romantici, fortunatamente eravamo romantici, eravamo avventurieri, certo, eravamo spontaneisti, va bene, perché nella spontaneità c’è la vita, e noi eravamo passionale .

Non eravamo razionali, fortunatamente, perché i razionali finivano poi per lavorare nei ministeri dopo avere fatto sette tesi di laurea sul capitale di Marx.

Noi irrazionali invece eravamo cresciuti nella cultura, la nostra armatura, la nostra spina dorsale era fatta da romanzi, poesia, cinema, teatro, canzoni, questa era la spina dorsale della nostra generazione.

Era evidente che i materiali formativi erano venuti fuori dall'educazione sentimentale e non dagli elementi dell'educazione formale.

Questa rivalutazione del materiale culturale come materiale costruttore del pensiero critico è la chiave che ci permise di avvicinarci alla letteratura senza quei pregiudizi, quelle idee preconcette che ci avrebbero voluto dare, e imparammo in una maniera che via via si formava a prendere pezzettini da una parte e dall'altra, a mettere insieme cose mischiandole, conservando sempre un certo distacco.

(Dibattito interno tra messicani)

Fu nel sessantotto che le porte si aprirono, perché fino al sessantasei se ti vedevano leggere un giallo, ti guardavano stranissimo.

In ogni caso l'elemento chiave era proprio questo, il fatto che questo materiale culturale fosse la spina dorsale, l'armatura, il sostegno della nostra formazione, questo aveva a che fare con il fatto di assumere la letteratura come una delle fonti di informazione e ? per lo sviluppo del pensiero utopico e a partire da questi materiali si costruisce un romanzo come "Guerra nel Paradiso" di Carlos Montemayor.

Il libro arrivò nelle mie mani, come sempre succede a Città del Messico, ti cominciano a chiamare e quando diventano più di cinque quelle chiamate al telefono vuol dire che lo devi leggere il libro se no rimani l’unico idiota.

Vivo in una specie di piccola repubblica dei lettori nella quale consigliare un libro che è piaciuto è una specie di obbligo, se ti piace un libro devi prendere il telefono e consigliarlo a chi conosci. Ricordo anche che finii di leggere il libro di Carlos alle tre del mattino e alzai il telefono, chiamai mio fratello e gli dissi –Guarda, ho appena letto un libro affascinante! – E mio fratello mi dice –Sei uno stronzo, perché io pure ho appena finito di leggerlo, ma stavo aspettando le dieci del mattino per chiamarti. Fu, in quel momento un libro che a me, per lo meno, mi provocò una specie di illuminazione? ? prima di tutto era un libro che si occupava di un tema sotterraneo, un tema di cui fino ad allora si era parlato poco e i libri di cronaca abbastanza disinformati, faceva parte il tema di una zona periferica della storia messicana, una storia di cui si avevano echi, sussurri, voci, però in realtà non si sapeva molto, se non qualcosa di superficiale, era la storia di una guerriglia contadina che si era sviluppata nello stato di Guerrero ? dieci anni. In secondo luogo era un libro che trattava del comportamento esplicito, preciso dell’esercito messicano in questa guerra. In terzo luogo era un libro che rivendicava qualcosa che sempre stavamo dicendo, che solo la letteratura riesce ad entrare negli eventi a questi livelli di profondità. Né il saggio ne lo studio politico riuscivano ad entrare nei fatti a questi livelli di profondità. Questa capacità che aveva il romanzo di restituire

Le varie soggettività, le voci multiple, i paesaggi, questo solo il romanzo poteva darli. L'altro elemento era la grande abilità, la grande capacità, il grande mestiere, la grande tende tecnica letteraria, perché questo romanzo aveva una capacità di agganciarti a questa tragedia che riusciva a non fartela più mollare.

Lo faceva mettendo in scena una specie di coro, un romanzo corale in cui bambini, donne, contadini passivi, contadini che invece appoggiavano la guerriglia, i guerriglieri, i soldati, tutti contribuivano a formare queste voci multiple che erano nel romanzo.

A partire da quel momento decisi di adottare Carlos come uno dei miei scrittori e cercai le altre cose che aveva scritto e mi trovai di fronte a un panorama vario, il saggio, racconti sui vangeli gnostici, poesie, traduzioni dalle lingue Maya, traduzioni dal greco, saggi, e un romanzo affascinante sui minatori di Chihuahua, un mondo triste, chiuso, , con una grande miseria, dopo questi di cui ho parlato fu il primo saggio, narrazione cronachistica riflessione sui fatti del Chiapas che accoglie la seconda edizione ampliata.

E alla fine uno scopriva tutta un paio di fili sotterranei che univano tutta questa produzione, che erano la sotterraneità e la collettività. Credo che "Guerra nel paradiso" apra una porta, una di quelle che avevo indicate nella prima parte di questo intervento, la liberazione attraverso la lettura, la capacità di esercitare quello che forse l'atto più sovversivo della letteratura, la capacità di indurre il lettore a mettersi nella testa degli altri, perché nelle dieci, quindici ore che stai leggendo il libro tu vivi in un altro mondo, in altre teste. Una volta discutevamo con Manuel Vasquez Montalban sulla parola credibilità, e arrivammo ad un accordo, che la credibilità non si accorda ai referenti tradizionali, che stanno all'esterno, ma la capacità di un libro che quando tu entri in questo mondo questo mondo ti sia assolutamente coerente.

Credo che questo ci sia nel libro, è un romanzo affascinante, è uno strumento affascinante che permette al lettore di vivere davvero nella guerriglia contadina del Messico degli anni settanta. Mi ero impegnato a dire una cosa in questo dibattito e ora la dico, per finire: è che come diavolo fanno gli abitanti del Chihuahua, di questo stato da cui viene Carlo Montemayor, lo stato più ? del Messico la cui attività principale era rubare cavalli, a mettersi così profondamente dentro le vicende e il sentire degli indios del sud del paese. Credo che questa sia la dimostrazione che nulla ci è veramente estraneo, e se ben raccontato meno ancora. Questo paradosso è più vivo dello stesso paradosso della ricostruzione di ciò che è messicano che teniamo davanti come compito?

Dobbiamo distruggere la finzione del neo liberalismo che avanza, del consumo del primo mondo per integrarla con la visione di tante altre possibilità che ci sono, che esistono, costruire un nuovo Messico ????, Carlos parlerà più approfonditamente del Chiapas, della rivolta indigena, però io voglio dire che senza il Chiapas, senza la rivolta indigena molti di noi sarebbero rimasti chiusi in casa, sarebbero stati depressi, e non avremmo avuto l'opportunità di fare tutto quello che stiamo facendo, che tentiamo di fare per la costruzione di questo Messico di cui parlavo prima.



MONTEMAYOR



Grazie a tutti voi per essere qui, grazie a Paco Ignatio e Bruno Arpaia per le loro parole. Non è poco, in fondo, lo sforzo, la fatica che ha fatto Paco Ignatio Taibo per essere qui con noi, con voi questa notte a parlare di libri, ha fatto un viaggio di più di seimila chilometri per arrivare qua, insomma, siamo molto amici, siamo praticamente dei fratelli, ma lui viene qui in Italia con un ruolo di mio padrino, però, al di là del fatto che siamo in Italia, è un padrino mafioso, ...non è un padrino mafioso... Paco dice di sì. E' un padrino generoso, non tanto perché viene qui a proteggere e a promuovere ed ad aiutare questi libri, quanto perché viene qui a proteggere, ad aiutare a muovere la voce dei popoli del Messico, dei popoli indigeni, voci che risuonano in questi due libri. Il romanzo "Guerra nel paradiso" si riferisce alla guerra indigena, alla rivolta indigena nello stato di Guerrero negli anni settanta, mentre il saggio uno strano saggio, per certi versi, si riferisce alle lotte dell'EZLN nel Chiapas del 1994. E quindi in apparenza almeno sono due libri distinti, due libri differenti fra loro, che parlano di due storie, di due momenti diversi, ma la realtà è che si tratta di due libri che parlano di una sola, identica lotta, solo colta in due momenti differenti, in due luoghi differenti. Ho visto in Europa, e non solo in Italia, parlo dell'Europa intera, che la storia non è .....



(nuova cassetta)...o a ditte specializzate...forse il presente è talmente pieno di cose che gli europei non sentono il bisogno di fare i conti col passato, ma non sono più tanto sicuro se gli antichi greci, gli antichi romani fanno ancora parte dell'Europa, o se l'Europa non è piuttosto a questo punto un altro mondo, ma la mia formazione è iniziata sui classici Latini e Greci, e mi sto rendendo conto che gli antichi Greci, gli antichi Latini avevano un senso della storia che ormai non appartiene più alla mentalità, al modo di vivere, alla formazione dell'Europa di oggi. Gli antichi Greci e gli antichi Romani pensavano sempre che il loro passato potesse essere il loro futuro, ad esempio l'età di Augusto, l'età dei cesari, che si apre con Augusto, presenta proprio la coscienza che il passato sarà il presente, scusatemi se adesso non parlerò in italiano, ma addirittura in latino: Virgilio disse (citazione in latino di Montemayor, traduzione di Carlo Oliva- "L'ultima età contenuta nel vaticinio della Sibilla di Cuma è arrivata, è arrivata di nuovo, sono arrivati di nuovo i regni di Saturno" - questo significa che con Augusto ritorna l'antica età dell'oro, quindi presenta il passato mitico come presente e questo significa che per gli antichi romani il passato non stava semplicemente lì, dietro, alle spalle, ma era una potenzialità del futuro.

E allora, i popoli indigeni del Messico anche loro pensano in questa maniera. Allora, il passato, il presente il futuro, per gli indigeni del Messico sono come delle sfere che si uniscono, si allontanano, si ricongiungono, in una specie di danza armoniosa. Le lotte campesine del 1705, del 1706, del 1712 si uniscono e convivono con le lotte campesine del 1840 o con le lotte campesine del 1994. E allora loro da cinquecento anni stanno combattendo perché vengano riconosciuti i loro diritti culturali, agrari, giuridici, economici, linguistici, e ogni venticinque o trent'anni devono tornare a combattere per esigere le stesse cose, sanno che la lotta dei loro nonni, dei loro padri è la loro stessa lotta, e, forse, con ogni probabilità, sarà la lotta dei loro nipoti e dei nipoti dei loro nipoti, nel mio romanzo "Guerra nel paradiso", Lucio Cabanas afferma nel 1970, che sta combattendo, lui e i campesinos contro gli stessi eserciti che anno combattuto nell'ottocento e all’inizio del novecento.

Dico questo non perché me lo sia immaginato, ma perché lui indubbiamente disse queste parole, ai villaggi e ai campesinos che combattevano…E diceva così perché era il modo migliore per far capire a queste persone che stavano combattendo la stessa lotta di sempre. Non si trattava insomma della formulazione di un’idea ingenua, si trattava di realismo, perché voleva dire la stessa lotta dei nostri nonni, dei nostri padri non è terminata, non si è conclusa, e dovrà essere la nostra. Il nonno di Lucio Cabanas, che era un generale zapatista che aveva combattuto, che combatté in quegli stessi luoghi dove combatteva Lucio Cabanas, all’inizio del secolo, durante la grande rivoluzione messicana, quella di Emiliano Zapata. Dal 1996 ad oggi, i superstiti delle forze di Lucio Cabanas, i discendenti di chi combatteva con Lucio Cabanas, hanno ripreso a combattere negli stessi luoghi, nelle stesse montagne del Guerrero in cui aveva combattuto negli anni settanta la guerriglia di Cabanas. Allora questo significa che tra gli Zapatisti di fine novecento e gli Zapatisti degli inizi del secolo c’è la lotta degli Zapatisti di Lucio Cabanas nello stato di Guerrero.

Non si tratta di una lotta, di una propensione alla guerra che nasca da un culto alla morte tipicamente messicano, né da un destino fatale, nasce da situazioni sociali molto concrete, da problemi sociali molto concreti, che possono sintetizzarsi nella richiesta di rispetto per le minoranze indigene del Messico. Tutte le volte che le popolazioni indigene del Messico si sollevano in armi per esigere il rispetto dei propri diritti, sia agrari, linguistici, economici, gli eserciti, siano quelli del Re di Spagna, siano quelli del Messico, della Repubblica messicana dell’ottocento piuttosto che di questo secolo, e dell’oggi, le affrontano militarmente, le reprimono, le annichiliscono. E una volta che vengano annientati, come se calasse su di loro un tremendo inverno, staranno lì aspettando una nuova primavera e una nuova estate per risorgere e prendere di nuovo le armi e ricominciare la stessa lotta di sempre. E questa nuova primavera ritorna ogni venticinque o trent’anni. Ogni venticinque o trent’anni i popoli campesinos e indigeni del Messico tornano a prendere le armi.

Il compagno che ci ha introdotti questa sera diceva che il movimento Zapatista era come un sogno, non è così, il sogno è l’intervallo che passa tra una sollevazione e l’altra. Allora, che cosa succede tra una sollevazione e l’altra, qual è il sogno che passa tra una sollevazione armata e l’altra: quello che passa si chiama fame, miseria, emarginazione, repressione, discriminazione. Tutte queste cose la società moderna le chiama stabilità sociale, tutte queste cose la società moderna le chiama legalità, in realtà tutto questo è una violenza totale, una violenza sociale, una violenza sociale che al concludersi del proprio ciclo provoca una situazione di rivolta sociale e spesso un sollevamento armato. Questo sollevamento armato non da inizio nella realtà a un momento di violenza sociale, è piuttosto uno sforzo per ristabilire un’autentica legalità, un’autentica pace sociale. E questi sollevamenti armati non sono l’inizio di una fase, questo vorrei che lo ascoltaste con molta attenzione, … questi sollevamenti non sono il risultato dell’opera di Emiliano Zapata, non dipendono dalla volontà di un Lucio Cabanas, non dipendono dalla volontà di un comandante Marcos, ma sono il risultato dell’azione di un intero popolo, di una comunità. Insomma di volta in volta, il Regno di Spagna, il primo Governo Messicano indipendente, o il Governo del Messico di oggi cercano in tutti i modi di convincerci che i sollevamenti armati dipendono dalla volontà e dall’azione di singoli leader, e allora per i governi messicani questi sono i leader colpevoli, per gli osservatori occidentali benevoli questi sono i nuovi eroi, ma, come ben diceva Bertolt Brecht, Alessandro Magno non arrivò da solo fino al Gange, tutti gli anonimi soldati che lo accompagnarono, che arrivarono fino al Gange, fu allo stesso titolo conquistatori.

Quando il Governo messicano riuscì ad assassinare Emiliano Zapata, non riuscì a porre fine allo zapatismo, quando il Governo messicano riuscì ad uccidere Lucio Cabanas, il protagonista di “Guerra nel paradiso”, non riuscì però a porre fine alla guerriglia nello stato di Guerrero e se mai riuscirà a porre fine al subcomandante Marcos non sarà riuscito a porre fine agli zapatisti del Chiapas. C’è un eroe collettivo regionale che è l’autentico fondamento della lotta, della battaglia. E forse anche la resistenza rurale italiana durante la seconda guerra mondiale contro i ? fascisti ci parla anche lei di un eroe collettivo e non di una singola testa, come quella di Lucio Cabanas, di Emiliano Zapata del subcomandante Marcos. Da dove viene questa forza delle grandi regioni agricole? Non proviene da un'elaborazione, da una radicalizzazione ideologica, viene dalla tremenda spinta delle circostanze in cui sono costretti a vivere queste popolazioni.

Spiegare la natura di questo eroe collettivo, spiegare la forza, questa collettività del sorgere delle comunità è lo scopo che io mi sono prefisso quando ho scritto i due libri di cui parliamo questa sera. Il mio amico Paco Ignatio Taibo dice che noi di Chihuahua siamo dei ladri di cavalli. Lo stato di Chihuahua è lo stato più esteso del Messico ed è nel nord del Paese, è formato da giganteschi deserti, da sterminate pianure , da enormi montagne, luoghi vuoti dove spesso è difficilissimo vedere passare un'altra persona. A volte può succedere che una mucca piuttosto che un cavallo vadano persi e chi li trova se li porta a casa.

Il mio amico Paco Ignatio Taibo confonde il furto con le azioni di un buon samaritano. A volte invece che mucche o cavalli si perdono o si ritrovano antichi soldati greci o romani che sbagliarono pianura e con le loro armi, con le loro lance, coi loro scudi arrivarono fino in Chihuahua. Visto che non c’è nessuna precedente tradizione di cultura locale, deserto, noi del Chihuahua senza alcun trauma culturale possiamo prendere, rubarci, o samaritarci, consiglia Paco, anche questi antichi guerrieri latini o greci. Se io fossi nato invece che in Chihuahua nello stato di Yucatan, con il peso enorme delle antiche civiltà meso americane maya, avrei speso una fortuna in psicoanalisi, in psicoanalisti per capire perché invece di diventare un esperto di civiltà maya ero diventato un latinista o un grecista. Il professor Oliva sa, e molti altri di voi qui presenti, sanno che l’Iliade termina con la riflessione di Achille davanti alla propria morte e non con la caduta di Troia.

Quindi la storia del cavallo di legno che viene introdotto dentro le mura di Troia grazie all’astuzia di Ulisse non è raccontata nell’Iliade ma in altri libri. Questo cavallo non lo abbiamo rubato noi di Chihuahua.

Questo cavallo dopo esser essercelo fregato, il cavallo di Troia, lo teniamo in un vigneto e campo di mele dalle parti di Parral, che è la città del Chihuahua dove sono nato io, e proprio lì a Parral c'era un professore di latino e greco di Genova, che insegnava a tutti quelli che potevano essere interessati al latino e al greco questi antichi idiomi. Questo professore genovese si chiama Federico Ferregai e oggi come oggi insegna lingue all'università di ?, sempre nel Chihuahua.

E lì, proprio il professor Ferrogai mi diede le prime lezioni, mi insegnò i rudimenti di latino e greco, e mi diede anche le prime lezioni di strategia militare. Non vi annoierò ancora molto, ma vorrei terminare spiegando quali insegnamenti di strategia militare ho appreso co n questa storia del cavallo di Troia.

Paco Ignatio Taibo ha già parlato del romanzo, io ho già detto qualcosa sulla storia sotterranea che unisce i due libri, adesso sarà il caso che dica due cose sul Chiapas.

Devo ripetere che gli Zapatisti del Chiapas sono gli eredi di una lunga tradizione di lotte indigene, lunga secoli, di lotte indigene nel Messico. Nei primi giorni del gennaio 1994, quindi subito dopo la sollevazione zapatista catturarono tre zapatisti nella regione di ?, li catturarono, li legarono, e li legarono, e li lasciarono per parecchie ore nella piazza principale del paese. Un mio amico dell'etnia Tzetzal mi disse; - è ovvio che l'abbiano fatto, perché proprio in ? avevano già catturato e legato nella piazza principale il re indio - e io gli domandai: - chi è il re indio, di cosa stai parlando? - e lui disse: - Il re indio, Juan Lopez - E chi è Juan Lopez? Juan Lopez è stato il primo teztzal che si sia sollevato contro il governo, contro l'esercito del governo, contro l'esercito del Guatemala, contro l'esercito del re e contro l'esercito del Messico. Dico - Quindi ha dovuto combattere contro tre eserciti. -. No, è sempre lo stesso esercito.

Io dissi: - l'esercito del governo, l'esercito del Guatemala e l'esercito del re sono tre eserciti. Non essere stupido, è sempre lo stesso esercito con nomi diversi.Ha sempre combattuto la stessa lotta c contro lo stesso nemico. E ricordate che Lucio Cabanas in "Guerra nel Paradiso" dice che stanno combattendo contro l'esercito dell'ottocento, contro l'esercito di inizio secolo e contro l'esercito di oggi. E allora, - domandai - quando ha iniziato a lottare, a combattere Juan Lopez?

Juan Lopez iniziò a combattere contro l'unico esercito con tanti nomi nel 1702, poi nel 1712, poi mise altre due o tre date, e l'ultima volta che lo videro era nel 1945. E terminò dicendomi: - ora che si sono sollevati gli zapatisti non tarderà ad apparire un'altra volta. Tutte le volte che Juan Lopez si riposa, il popolo Maya dorme. Tutte le volte che Juan Lopez si sveglia, il popolo Maya lotta.

Tutte le volte che il popolo Maya inizia a lottare, l'esercito lo combatte, lo contrasta con la tecnica via via perfezionata. Prima che ci sia lo spazio per le domande vorrei spiegare qual è la strategia militare oggi dell'esercito messicano. Quando iniziò la guerriglia nel Chiapas, nel '94, il responsabile delle forze miliari messicane dichiarò a dei giornalisti alcune cose, diede alcune definizioni dell'EZLN che sono assolutamente la chiave per dire qual è la trategia militare che ha adottato lo stato messicano. Gli chiesero cos'era l'EZLN, e lui rispose con poche parole, ma con assoluta precisione. "In primo luogo è un piccolo gruppo d'individui, molto ben armati e molto ben addestrati, ma son pochi.

Attorno a questo gruppo principale c'è una fascia più ampia di persone indigene che il nucleo originario dell'EZLN ha armato ed addestrato, ma che non sono nè così ben preparati nè così ben armati come il nucleo centrale. Attorno a questi c'è un'altra fascia, diciamo pure, più ampia, molto più numerosa, molto più popolosa, che non ha armi, che non ha addestramento, che non ha nessuna struttura militare, ma che è la grande area dei simpatizzanti e dei sostenitori, e si tratta di numerose e numerose comunità diffuse in tutto il Chiapas, ma ripeto, non armate e non preparate militarmente.

In termini militari questo vuol dire che c'è un nucleo militarizzato forte, protetto da un anello protettivo, da uuna sorta di cordone sanitario di miliziani armati e in qualche modo addestrati, e da un anello, un cordone sanitario di miliziani più sommariamente armati e addestrati e protetti, alla fine, da un'enorme fascia di simpatizzanti.

Al di là di questo, che era la struttura evidente, la teoria di questo militare era che il nucleo centrale era collegato strettamente con un altro anello, un anello invisibile, politico, laddove, invece, l'anello dei miliziani e dei simpatizzanti erano invece la parte visibile. L'idea di questo anello invisibile, noi lo chiameremmo il grande vecchio in Italia, dipende dal fatto che da cinquecento anni il governo messicano rifiuta di accettare come spiegazione di questi sollevamenti delle cause sociali, e quindi tendono sempre ad attribuire i motivi delle rivolte indigene a volontà individuali magari imperscrutabili. Questo anello invisibile, di cui parlava il militare, poteva essere di tre origini: uno di gruppi addirittura interni allo stesso potere centrale messicano; il secondo dipendere in realtà dal narcotraffico; il terzo possibile anello invisibile era la Chiesa . Dei tre possibilità hanno deciso che la più funzionale era la Chiesa.

E allora per battere una volta per tutte la guerriglia, la strategia doveva essere prima eliminare l'anello invisibile che univa il nucleo alla Chiesa, il secondo eliminare la base sociale, poi eliminare la fascia dei miliziani per arrivare a fare i conti con il nucleo duro degli zapatisti.

Una guerra così concepita non ha bisogno di arrivare nella Selva Lacandona con un cannone e dire "buongiorno, io sono la guerra", e sparare con un cannone., una guerra così piuttosto deve cercare di arrivare nel silenzio, senza dichiararsi come una guerra, senza che nessuno se ne accorga, e senza sparare un solo colpo.

L'anello invisibile fu spazzato via facendo saltare ad esempio la connessione con la Chiesa e mettendo la parola fine alla CONAI, che era il coordinamento delle trattative che era stato messo in piedi per condurre il colloquio con gli zapatisti, e neutralizzando il Vescovo di San Cristobal de las Casas in questo modo. CONAI e vescovado di San Cristobal de las Casas erano quelli che rendeva possib ile l'accesso nel territorio del Chiapas, laddove si stava conducendo la guerriglia, o quanto meno le operazioni dell'EZLN alle organizzazioni non governative, sia messicane che internazionali, ai giornalisti di tutto il mondo, oltre che messicani e agli osservatori.

Chiudere la porta d'accesso, che era garantita dal CONAI e dal vescovado a tutte queste entità esterne era fondamentale per non lasciar più entrare osservatori che potessero poi raccontare.

E tutto questo lo hanno fatto, lo hanno ottenuto, senza bisogno di sparare un sol colpo di fucile... (fine cassetta)

...Gruppi indigeni paramilitari docili, favorevoli al governo, loro sì hanno utilizzato le armi, hanno sparato. Questi gruppi paramilitari indigeni, armati e addestrati dall'esercito, coperti da polizia ed esercito, sono loro che hanno sterminato, ucciso bruciato campi e case ed espulso migliaia di famiglie dalla zona del Chiapas così facendo l'esercito non ha dovuto sparare un solo proiettile. Contro l'anello dei miliziani agisce l'accerchiamento militare che ogni mese conduce a termine più di cento operazioni militari che servono a bloccare il passaggio tanto di informazioni, come di persone, come di alimenti, medicinali o armi. In questa maniera stanno neutralizzando l'anello dei miliziani vicini all'EZLN senza sparare un solo proiettile. Il governo messicano ha destinato milioni di dollari allo sviluppo di comunità vicine al governo dove crescono le bande paramilitari e ancora questo senza sparare un solo colpo. Ha aperto nella Selva strade asfaltate, in terra battuta, cammini che permetto il trasferimento di reparti corazzati dell'esercito (carri) che permettono di controllare il territorio, di provocare gli zapatisti, ancora senza sparare un solo colpo; il bilancio dell'attività degli ultimi due anni è migliaia di case incendiate, migliaia le famiglie espulse dai loro luoghi di vita, migliaia di raccolti bruciati o rubati, tenute bruciate centinaia di morti, feriti o desaparecidos . La grande maggioranza dei messicani, la maggioranza delle organizzazioni non governative messicane e internazionali, la maggioranza dei giornalisti di tutto il mondo pensa che la guerra nello stato del Chiapas sia sospesa , la guerra sta avanzano, procede; una cosa è dire che si riannodi il dialogo un'altra cosa è dire che si sospende la guerra. Questi due libri sono letteratura, sono saggistica, sono storia sicuramente però in questi tempi in cui la banca mondiale il FMI riconoscono che la povertà su scala planetaria sta crescendo velocemente dobbiamo riconoscere che sta sorgendo una nuova idea di essere umano: questa nuova idea consiste nel pensare che ci siano esseri umano prescindibli, cioè non necessari. "La guerra nel paradiso" e Chiapas una rivoluzione indigena" sono due libri che vogliono riaffermare con tutta la forza che in qualunque posto qualunque guerra per la dignità umana è una guerra per tutti gli uomini. Questa è la voce che arriva ora dal Messico, questa è la voce che Paco Ignacio Taibo ha accompagnato per un toto di giorni dopo seimila chilometri di viaggio.

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