Caffè e povertà in NIcaragua



Caffè e povertà in Nicaragua.
MATAGALPA, agosto 2002.
"Una tranquilla cittadina collinare cresciuta attorno alla prospera industria del caffè".
Così viene definita in una guida turistica Matagalpa, capoluogo del distretto omonimo nel Nicaragua nord-occidentale, conosciuta come la perla del norte, elogiata per le splendide montagne verdi e per la frescura del clima.
Oggi, il contrasto fra le aspettative del turista e la realtà dei fatti non potrebbe essere più drammatica.
Nell'ultimo anno lo scenario è mutato radicalmente e la popolazione matagalpina ha subito un impoverimento tanto rapido quanto devastante.
Una situazione della quale il principale responsabile è proprio il caffè, che da prospera industria si è improvvisamente trasformato in colossale sventura, portando alla rovina l'economia della regione.
Alle origine della crisi il crollo del prezzo del caffè sui mercati internazionali, determinato in primo luogo dalla decisione della Banca Mondiale di incentivare la produzione del caffè nei paesi del Sud Est asiatico, dove il costo del lavoro è inferiore.
In un paese come il Nicaragua, dove una scatola di antibiotici costa come il salario di una settimana di lavoro, dove il 75% delle famiglie vive sotto la soglia di povertà, la gravissima crisi dell'industria cafetalera esplosa l'anno scorso in tutta l'America Centrale non può che avere effetti sociali devastanti.
E' stato calcolato che la canasta basica, ovvero la somma di tutti i beni di cui un nicaraguense ha bisogno per alimentarsi e sopravvivere appena dignitosamente, ha un costo di 2100 cordobas al mese.
Questo significa che, per vivere e alimentarsi, ciascun nicaraguense ha bisogno di una cifra corrispondente a cinque dollari al giorno, in un paese con i salari più bassi dell'America latina, in cui il 50% della popolazione dispone di meno di un dollaro al giorno.
Margarita Lopez, del sindacato ATC (Asociacion Trabajadores del Campo) di Matagalpa spiega che "su trentamila contadini impiegati nelle piantagioni di caffè del dipartimento di Matagalpa, solo il 20% sta attualmente lavorando, ricevendo il salario minimo di ventidue cordoba al giorno".
Ventidue cordoba equivalgono a un dollaro e mezzo, ben distante da quello che può essere definito un salario decente.
E tuttavia sono ventidue cordoba che possono marcare la differenza tra uno scarso piatto di riso e un piatto vuoto.
Nell'ultimo mese nei municipi di San Ramon e La Dalia undici bambini sono morti a causa dello stato di denutrizione.
I loro genitori e fratelli sono tra coloro che hanno perso il lavoro a causa della crisi del caffé.
Di fronte alla crisi del settore cafetalero, il governo nicaraguense è impotente.
O addirittura indisponente quando, per bocca del ministro Augusto Navarro cerca di minimizzare l'emergenza facendo notare che la morte di sette bambini è semplicemente da imputare al fatto che "la mortalità infantile è alta in tutto il paese".
Le banche intanto continuano a negare i finianziamenti necessari per far ripartire la produzione, le imprese riducono o bloccano del tutto la produzione e mandano a casa i lavoratori.
Uno studio realizzato dalla Comisión Económica para América Latina y el Caribe (Cepal) ha rilevato che "il settore del caffé in America Centrale affronta una crisi senza precedenti", a causa del crollo del prezzo del caffè sul mercato internazionale.
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La situazione è a tal punto disperata da far ritenere impensabile una ripresa e "impone di identificare nuove opzioni agricole per l'America Centrale".
Ma intanto a pagare il prezzo più alto della crisi sono i contadini, braccianti che da generazioni si spaccano la schiena per un tozzo di pane e per il profitto di altri.
Sulla strada tra Matagalpa, San Ramon e La Dalia i lavoratori disoccupati, senza salario e senza alimenti per le proprie famiglie, hanno dato vita ai plantones, una forma di protesta pacifica che finora non ha dato risultati.
Gruppi di persone sempre più numerosi si vanno formando ai bordi della strada aspettando un aiuto che non arriva.
La maggior parte dei contadini che si incontrano nei plantones ha iniziato a lavorare nelle fincas del caffè in giovanissima età, tredici o quattordici anni.
Hanno contribuito ad arricchire il paese quando il caffè era ancora un buon affare.
Ora sono abbandonati al loro destino, condannati a mendicare per sopravvivere.
Tutti hanno perso il lavoro a causa della crisi del caffè.
"Se qualcuno non ci aiuta i nostri bambini moriranno presto di fame.
Si ammalano e non ci sono soldi per le medicine.
Andiamo avanti con acqua, caffè e guineo", una specie di banana che viene mangiata bollita.
"Dicono di noi che stiamo qui sulla strada a mendicare perché non vogliamo lavorare.
Non è vero, non vogliamo elemosina, vogliamo lavoro".
Attualmente sono presenti 123 plantones, per un totale di cinquemila persone.
Di queste cinquemila, almeno la metà sono bambini, in pericolo di vita per insufficenza alimentare.
Molti sono già in stato avanzato di denutrizione.
Se a Matagalpa la situazione è particolarmente grave, disoccupazione e povertà stanno aumentando in tutto il Nicaragua.
L'inflazione continua salire e le privatizzazioni e i tagli alle spesa pubblica stanno aggravando una situazione insostenibile e potenzialmente esplosiva.
Gli alimenti non mancano sui banchi dei mercati.
Quello che manca alle famiglie è il denaro per acquistarli.
Ma i nicaraguensi difficilmente si lasciano abbattere dalla disperazione.
Donne, uomini e bambini prendono d'assalto gli autobus e cercano di vendere a prezzi irrisori un refresco fatto in casa, una torta de leche, una gaseosa.
Sempre più spesso ci si imbatte in un ragazzino che chiede ai rari turisti "un pesito por favor".
Alla fine della giornata avrà portato a casa una somma maggiore di quella che un nicaraguense può guadagnare nelle fincas di Matagalpa, o nelle bananeras di Chinandega, o nelle fabbriche taiwanesi delle zone franche.
Enrico Zacchetti
enrico.zacchetti@repo21.net
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