AIDS E SOCIETA' DI CONTROLLO
AIDS E SOCIETA' DI CONTROLLO: UN'EPIDEMIA NELL'EPOCA DEI MEDIA
1. LA COMPARSA DELL'AIDS
Negli ultimi mesi del 1979 alcuni medici statunitensi, prima in California, poi nella zona di New York, osservano nei loro pazienti la diffusione di sintomi simili a quelli della mononucleosi, con rigonfiamento di ghiandole, febbre, dimagrimento, e di un raro tumore della pelle noto come sarcoma di Kaposi. Tutti soffrono di patologie dovute a un grave indebolimento del sistema immunitario. Trattandosi di giovani omosessuali si pensa dapprima ad un'intossicazione dovuta a droghe leggere (chiamate poppers) di largo uso nelle comunità gay, poi alla presenza di un agente infettivo trasmissibile per via sessuale.
Il 3 luglio 1981 il New York Times pubblica un articolo intitolato Cancro raro riscontrato su 41 omosessuali. La nuova patologia viene allora comunemente denominata "gay cancer", e in seguito GRID (Gay Related Immune Deficiency).
Agli inizi del 1982 la malattia viene osservata tra pazienti non omosessuali, ma appartenenti ad un altro gruppo particolare: sono tossicodipendenti da eroina. Ciò fa pensare al sangue come via di trasmissione, e l'ipotesi viene confermata dalla comparsa dei sintomi tra pazienti emofiliaci: si tratta quasi sicuramente di un virus sconosciuto, in quanto altri agenti patogeni (batteri ecc.) non potrebbero propagarsi con i preparati sanguigni necessari a curare l'emofilia. In Florida si osserva un altro gruppo di pazienti che non sembrano condividere abitudini sessuali o l'uso di droghe, ma che hanno un altra caratteristica comune: sono di origine haitiana. Nel frattempo sintomatologie simili erano state registrate in Europa, prima in Danimarca, (settembre 1980) poi in Francia (luglio 1981). Lo stesso accade per alcuni pazienti provenienti dall'Africa, dove emerge che già alcuni anni prima c'erano stati casi sporadici di queste forme morbose.
Nell'estate del 1982 la nuova malattia viene denominata A.I.D.S.: Acquired Immune Deficiency Syndrome. La grande stampa americana comincia ad occuparsene sistematicamente verso la fine del 1982, quella europea a partire dall'estate 1983. La notizia preoccupante della diffusione di una nuova malattia mortale trasmissibile viene alleggerita dal fatto che questa sembra circoscritta ad alcuni gruppi di "devianti".
Nel maggio 1983 i ricercatori dell'Institut Pasteur isolano un virus che chiamano LAV: è il virus che provoca l'AIDS. La paternità della scoperta sarà oggetto di una lunga diatriba con gli statunitensi che pretendono di aver raggiunto per primi questo risultato (il "loro" virus si chiama HTLV-III). Si scoprirà che hanno spacciato per una loro scoperta una "copia" del virus inviatogli dai francesi. Nel 1986 si pone fine alla polemica adottando ufficialmente il nome di HIV (Human Immunedeficiency Virus).
2. ALCUNI CENNI SUGLI ASPETTI MEDICI DELL'HIV-AIDS
Il virus HIV è contenuto in quantità sufficiente a permettere il contagio in quattro liquidi del corpo umano: il sangue, lo sperma, le secrezioni vaginali e il latte materno. In altri, come la saliva, è presente in quantità inferiori, tali da rendere impossibile l'infezione. Le vie di trasmissione del virus sono quindi il rapporto sessuale, lo scambio di sangue (es. trasfusioni di sangue infetto o uso comune di siringhe) e la trasmissione verticale (da madre a figlio durante la gravidanza, il parto o l'allattamento).
Le percentuali di rischio per la trasmissione sessuale sono diverse a seconda del tipo di rapporto: i rapporti anali sono i più rischiosi a causa della maggiore facilità di abrasioni a cui è soggetta la mucosa anale. Inoltre la donna è a maggior rischio rispetto all'uomo. L'infezione da HIV fa quindi parte del gruppo delle malattie virali a trasmissione sessuale come l'Epatite B e l'Epatite C. Tali malattie sono più diffuse rispetto all'AIDS anche perché i virus che le provocano (HBV e HCV) sono più resistenti e concentrati rispetto all'HIV.
Altre forme di contagio, spesso ipotizzate dai media (punture di insetti, baci ecc.) non sono quindi possibili. La persona infettata si dice sieropositiva. Il contagio non è rilevabile da sintomi particolari, ma solo da esami di laboratorio. Il più comune è detto test Elisa, e individua nel sangue gli anticorpi anti-HIV prodotti dal sistema immunitario come risposta all'aggressione virale. Bisogna sottolineare che gli anticorpi non si producono subito dopo l'infezione, ma possono comparire anche dopo sei mesi. Questo periodo in cui una persona sieropositiva (e quindi già contagiosa) non risulta ancora positiva al test è detto "periodo finestra". Per questo motivo è necessario attendere sei mesi dall'ultimo comportamento a rischio per eseguire il test ed avere, in caso negativo, la sicurezza di non essere stati contagiati.
Se invece il test è positivo significa che si è verificato il contagio. In questo caso il virus HIV inizia a riprodursi e per farlo deve agganciarsi alle cellule dove trova il recettore adatto (detto CD4). Tra queste vi sono i linfociti T4 che vengono distrutti nel processo di replicazione dell'HIV. Essendo elementi fondamentali per il funzionamento del sistema immunitario, questo ne rimane danneggiato a tal punto che sopravvengono patologie normalmente neutralizzate con facilità: le più comuni sono la polmonite da Pneumocystis Carinii, la toxoplasmosi, l'infezione da Citomegalovirus, la candidosi, il sarcoma di Kaposi ecc. La sindrome provocata da queste malattie, dette opportunistiche perché sfruttano l'immunodepressione provocata dall'HIV, è ciò che propriamente si definisce AIDS.
La persona sieropositiva può non avere sintomi anche per molti anni. Non è accertato se vi siano persone che rimangono nella fase asintomatica o se il danno immunitario provochi sempre, alla lunga, l'AIDS. Le condizioni di una persona sieropositiva vengono in genere tenute sotto controllo per mezzo di due esami del sangue: il conteggio dei linfociti T4, che misura il danno provocato dall'HIV, e la carica virale, che "conta" le copie del virus presenti nel sangue. In presenza di un basso numero di T4 e di grandi quantità di virus è più probabile che sopravvengano malattie opportunistiche.
Per quanto riguarda la prevenzione il virus HIV è molto debole e può essere eliminato a una temperatura di 60°. Tuttavia la sterilizzazione di strumenti chirurgici dev'essere effettuata a una temperatura di almeno 120° perché vi sono altri virus più resistenti (es. HBV, HCV). Essendo ricoperto da uno strato di sostanza grassa i solventi tipo alcool o varichina lo distruggono. Nel rapporto sessuale il profilattico, se usato bene, è assolutamente sicuro. Non sono corrette le informazioni sparse ad arte da integralisti religiosi che insinuano una scarsa sicurezza dei preservativi (qualcuno ricorderà la sciocchezza diffusa tempo fa sul fatto che il virus avrebbe potuto passare attraverso i pori della gomma).
La medicina non ha ancora trovato il modo di eradicare un virus una volta entrato nel corpo umano. Nel caso dell'HIV, a partire dal 1991 sono stati preparati farmaci che ostacolano la replicazione virale: il primo di questi è l'AZT. Tuttavia il virus sviluppa molto velocemente una resistenza al farmaco utilizzato: è stato osservato ad esempio che nel giro di sei mesi l'AZT diventa del tutto impotente. Le prime terapie efficaci sono datate 1996 quando vengono introdotti i c.d. inibitori della proteasi. Se in precedenza la sopravvivenza media in AIDS era calcolata in nove mesi, grazie alle terapie è attualmente stimata in nove anni. Ma i farmaci vanno cambiati con una certa frequenza, per evitare che il virus diventi resistente, e il loro uso non è semplice: si calcola che più della metà delle persone che iniziano a curarsi interrompe la terapia. I motivi sono molteplici: effetti collaterali, complessità della cura (alcuni "cocktail" comprendono decine di pillole al giorno), problemi per la conservazione dei farmaci (es. necessità di mantenerne alcuni a temperature da frigorifero), ecc.. Quindi le terapie hanno risolto il problema solo in parte.
Nei Paesi "sviluppati" la terapia è a carico del servizio sanitario, mentre per i pazienti che vivono nei Paesi più poveri (il 95% del totale!) c'è un problema in più dal momento che una terapia costa circa 600 Euro al mese e la situazione economica dei loro Paesi rende quasi impossibile l'accesso ai farmaci.
A tutt'oggi la possibilità che venga predisposto un vaccino sembra piuttosto lontana. Vi sono difficoltà per la sperimentazione sia sull'uomo che su animali (oltre all'uomo il virus HIV colpisce soltanto la scimmia, e non i classici animali da laboratorio) e altre legate all'estrema mutabilità del virus HIV (si rischia di approntare un vaccino efficace su ceppi virali che al momento del suo utilizzo non sono già più in circolazione).
Sono state formulate, come vedremo, le ipotesi più fantasiose sulle origini del virus HIV e sul perché l'AIDS si sia diffusa in un particolare momento storico anziché in un altro. E' stato accertato che alcune morti misteriose avvenute in decenni precedenti erano dovute proprio all'AIDS, e quindi non dovrebbe trattarsi di una malattia "nuova" in senso assoluto. E' probabile tuttavia che solo alla fine degli anni '70 abbia trovato il modo di diventare epidemica sfruttando una molteplicità di fattori, come ad esempio la maggiore comunicazione tra zone del mondo, una diversa morale sessuale, il peggioramento della qualità della vita nei continenti più poveri.
3. LA DIFFUSIONE DELL'HIV/AIDS NEL MONDO
Dall'inizio dell'epidemia al 1999 il virus HIV ha infettato 50 milioni di persone (tra cui 4 milioni di bambini) provocando la morte di 16.300.000 persone. 11.200.000 bambini sono rimasti orfani a causa dell'AIDS. Le persone sieropositive viventi nel mondo sono calcolate in 33.600.000, dei quali il 70% vive nell'Africa Subsahariana. Nel Sudafrica si contano 1.500 nuove infezioni al giorno e si prevede che nel giro di dieci anni l'aspettativa di vita crolli da 54 a 37 anni per le donne e da 50 a 38 per gli uomini. Nel Kenya occidentale il 25% delle ragazze tra i 15 e i 19 anni sarebbe sieropositivo. In Zimbabwe si contano 1.200 morti alla settimana e non si trova più posto nei cimiteri. E' preoccupante anche la situazione caraibica, dove però si registrano realtà molto differenziate: di tipo "europeo" quella di Cuba, di tipo "africano" quella di Haiti. Nel continente asiatico si contano 6.500.000 sieropositivi e una veloce diffusione del virus HIV in India e Cina. In Italia i morti per AIDS dall'inizio dell'epidemia sono circa 30.000.
4. LA "PESTE DEL 2000"
Nel 1977 la scrittrice statunitense Susan Sontag, ammalatasi di cancro, scriveva Illness as Metaphore, dove descriveva gli aspetti culturali della malattia e denunciava la colpevolizzazione dei malati. Alcuni anni dopo, all'inizio dell'era AIDS, Susan Sontag scriverà:
Parte del peso che gravava sul cancro è stato assunto da una malattia la cui carica di stigmatizzazione, la cui capacità di creare identità negata, è di gran lunga maggiore. Sembra che le società abbiano bisogno di una Malattia da identificare con il Male, che ricopra di biasimo le proprie vittime, ma che sia difficile essere ossessionati da più di una malattia alla volta.
Vi sono certamente all'epoca in cui l'AIDS fa la sua comparsa alcuni aspetti politici contingenti che ne favoriscono il grande risalto subito attribuitole dai media. Dopo il grande terremoto libertario degli anni '60 e '70 siamo agli albori del reaganismo, quel mix tra moralismo repressivo e neoliberismo che prende le sue mosse proprio all'inizio degli anni '80 per espandersi in tutto il mondo occidentale. Reagan è stato governatore della California e ha un conto in sospeso con le grandi comunita' gay di San Francisco e Los Angeles. La sua campagna elettorale ha come piatti forti la lotta alla droga e all'immoralità, per cui la diffusione del gay cancer diventa anche un elemento forte di propaganda politica.
Ma sarebbe estremamente riduttivo individuare in questi aspetti il motivo per cui l'AIDS è diventata la malattia simbolo della nostra epoca. C'è ben altro.
L'AIDS e' innanzi tutto, a differenza del cancro, una malattia contagiosa. E il concetto di contagio non poteva non influire sulla concezione complessiva del rapporto con l'altro. L'AIDS ci ha costretto a pensare a questo rapporto come un possibile fattore di rischio, in un periodo in cui, dopo l'esaurirsi dei grandi movimenti di liberazione, già si parlava di riflusso e di ritorno al privato; tutto ciò amplificato dal coinvolgimento nella trasmissione del virus di due elementi così forti a livello simbolico come il sesso e il sangue. Ad essi si richiama infatti il concetto di contaminazione, spesso utilizzato dai teorici della razza per descrivere i pericoli del contatto con le etnie inferiori o impure. Si legge ad esempio in Mein Kampf:
Parallelamente al contagio politico e morale del popolo si verificava un non meno spaventoso avvelenamento del suo corpo fisico. La sifilide cominciò a diffondersi sempre di più (...) La colpa contro la razza e il sangue è il peccato originale di questo mondo, e la fine di un'umanità che vi si abbandoni.
Un altra ragione dell'impatto così dirompente dell'AIDS è che questa nuova minaccia emerge proprio quando le malattie infettive sembravano sul punto di scomparire dalla nostra società, ormai sconfitte dai progressi della medicina; pochi anni prima (1977) il vaiolo era stato dichiarato ufficialmente estinto e si parlava dell'influenza come dell'ultima grande epidemia.
L'AIDS riporta invece la possibilità della morte per malattia tra le giovani generazioni, e non nei Paesi poveri del Sud del mondo, ma nel bel mezzo dell'Occidente ricco e progredito. Crolla il mito di una medicina onnipotente, in grado ormai di instaurare uno stato di ?salute assoluta?. Ci si ricorda, come già si accennava, che la medicina è tuttora incapace di eradicare un virus dall'organismo umano.
Tutto ciò produce effetti di enorme rilievo nell'immaginario collettivo: si ripetono fenomeni già visti in occasione delle grandi epidemie dei secoli passati a cui se ne aggiungono altri totalmente nuovi.
Fra i primi, come accade per tutti fenomeni inspiegabili, la ricerca di cause irrazionali, come l'intervento di un Dio che punisce i comportamenti immorali degli uomini. I fanatici religiosi vi hanno voluto vedere un castigo per la dissolutezza dei costumi, ma vi sono altre ?versioni laiche" accreditate da coloro che hanno voluto vedere nell'epidemia la conferma delle proprie convinzioni e la "colpa dell'altro": gli animalisti hanno ipotizzato un passaggio del virus dalla scimmia all'uomo attraverso la sperimentazione su questi animali; gli antimilitaristi hanno richiamato l'attenzione sulla possibilità che la ricerca di nuove armi biologiche abbia creato in laboratorio un virus mutante; gli ambientalisti hanno messo in evidenza i danni prodotti dalla devastazione delle zone di presunta provenienza dell'HIV:
La comparsa dell'AIDS, di Ebola e di chissà quanti altri agenti scaturiti dalla foresta pluviale sembra essere una naturale conseguenza della distruzione della biosfera tropicale. Sono virus, questi, che emergono da zone ecologicamente disastrati del pianeta. (...) In un certo senso si può dire che la terra stia creando una risposta immunitaria alla razza umana.
Infine, coloro che sono contrari all'immigrazione hanno espresso la certezza che il virus HIV avesse origine proprio nei Paesi poveri da cui provengono gli immigrati. Dunque, come sempre, si tratta di uno ?strano virus venuto d'altrove": dove ?altrove? non è solo un luogo geografico, ma è tutto ciò che ci è estraneo. E allora si cerca di colui che ha portato la malattia ?tra noi": si legge ne I Promessi Sposi:
Il Tadino e il Ripamonti vollero notare il nome di chi ce la portò il primo, e altre circostanze della persona e del caso: e infatti, nell'osservare i principi di una vasta mortalità (?) nasce una non so quale curiosità di conoscere que' primi e pochi nomi che poterono esser notati (?). L'uno e l'altro storico dicono che fu un soldato italiano al servizio di Spagna; nel resto non sono ben d'accordo, neppur sul nome (?). Sia come sia, entrò questo fante sventurato e portator di sventura, con un gran fagotto di vesti comprate o rubate a soldati alemanni; andò a fermarsi in una casa di suoi parenti, nel borgo di porta orientale, vicino ai cappuccini; appena arrivato, s'ammalò; fu portato allo spedale; dove un bubbone che gli si scoprì sotto un'ascella mise chi lo curava in sospetto di ciò ch'era infatti; il quarto giorno morì.
Ed ecco la versione moderna, a metà tra ricerca epidemiologica e leggenda metropolitana:
Al centro di questo diagramma di contatti omosessuali si trovava un giovane: Gaetan Dugas. Fu soprannominato ?il paziente zero". Quest'uomo, commissario di bordo dell'Air Canada, omosessuale attivo e passivo, avrebbe contagiato, direttamente o per interposta persona, almeno 40 dei 248 malati americani diagnosticati prima dell'aprile del 1982. (?) Steward in congedo, Dugas poteva spostarsi in aereo gratuitamente. Grande viaggiatore, bel ragazzo, e poco avaro del suo fascino, aveva seminato la malattia e la morte in tutti i suoi scali, alla cadenza di circa 250 partner all'anno. Gli investigatori constatarono con orrore che egli era stato certamente contagioso prima di presentare il minimo sintomo. (?) Colpito nel giugno 1980 da un sarcoma di Kaposi, identificato nel novembre 1982 come ?untore" e informato del rischio che faceva correre ai suoi partner, Dugas non volle cambiare il suo modo di vivere. Fino alla sua morte, avvenuta il 30 marzo 1984, quando aveva 32 anni, ebbe rapporti sessuali senza alcuna misura di protezione.
La concezione della malattia come di una calamità portata dall'esterno è una costante: la sifilide, comparsa improvvisamente nel 1494 nelle file dell'esercito del Re di Francia Carlo VIII che combatteva in Italia, venne chiamata ?Mal de Naples? dai francesi e ?Mal Francese" dalle popolazioni del Regno di Napoli. E' vero peraltro che l'incontro tra civilità diverse, come nel caso della scoperta dell'America e delle successive esplorazioni, ha sempre portato con sé anche uno scambio di agenti patogeni con conseguenze talora devastanti, come nel caso di popolazioni precolombiane decimate da malattie quasi innocue per gli europei come il raffreddore o il morbillo. Lo straniero è quindi il primo nemico; ecco ancora una citazione manzoniana:
La città già agitata ne fu sottosopra: i padroni delle case, con paglia accesa, abbruciacchiavano gli spazi unti; i passeggieri si fermavano, guardavano, inorridivano, fremevano. I forestieri, sospetti per questo solo, e che allora si conoscean facilmente al vestiario, venivano arrestati nelle strade dal popolo e condotti alla giustizia.
L'irruzione di un'epidemia e la presunta presenza "tra noi" di coloro che ne sono portatori incide profondamente nel rapporto tra l'individuo e il potere. L' emergenza impone la massima coesione del corpo sociale al fine di liberarsi del malvagio invasore.
E ancora:
S'era visto di nuovo, o questa volta era parso di vedere, unte muraglie, porte d'edifizi pubblici, usci di case, martelli. Le nuove di tali scoperte volavan di bocca in bocca; e, come accade più che mai, quando gli animi son preoccupati, il sentire faceva gli effetti del vedere. Gli animi, sempre più amareggiati dalla presenza de' mali, irritati dall'insistenza del pericolo, abbracciavano più volentieri quella credenza: che la collera aspira a punire: e come osservò acutamente, a questo stesso proposito, un uomo d'ingegno, le piace più d'attribuire i mali a una perversità umana, contro cui possa fare le sue vendette, che di riconoscerli da una causa, con la quale non ci sia altro da fare che rassegnarsi.
E come si accennava insieme a paure antiche e a vecchi fantasmi, l'AIDS ha in sé elementi di straordinaria modernità: Grmek sottolinea le analogie tra il virus HIV, un ?germe diabolico, scaltro e maligno, [che] mette fuori uso le difese immunitarie dell'organismo disorganizzandone in questo modo la polizia interna", e i virus informatici, che si propagano tra le macchine disorganizzando l'intero sistema di elaborazione dei dati. Un altro elemento che lega la diffusione dell'HIV alle caratteristiche della società di fine millennio è il ruolo degli odierni mezzi di trasporto e comunicazione: alcuni autori hanno sottolineato come la rapidità con la quale sembrano essersi diffuse alcune malattie, prima limitate ad aree geografiche circoscritte e comunque estranee ai Paesi ricchi, poteva essere possibile solo grazie alla facilità con la quale chiunque oggi può raggiungere ogni parte del mondo
Un virus ?caldo? proveniente dalla foresta pluviale vive a circa 24 ore di aereo da quasi tutte le città del mondo, e tutte le città del mondo sono collegate da una serie di rotte aeree. Una volta che il virus penetra nella rete, una giornata può bastargli per raggiungere qualunque metropoli -Parigi, Tokio, New York, Los Angeles- ovunque ci sia un aeroporto.
Un ulteriore aspetto di modernità dell'AIDS è il fatto che fino a pochi anni prima della sua diffusione la scienza non sarebbe stata neppure in grado di individuarne le cause e le caratteristiche, ed è noto infatti come alcuni casi sporadici verificatisi nei decenni precedenti non erano stati sufficientemente compresi.
Una volta la malattia era definita per mezzo dei sintomi clinici o delle lesioni patologiche (...) Niente del genere, né sintomi clinici né lesioni osservabili mediante gli strumenti di una volta, caratterizza l'AIDS. Non è una malattia nel senso che i medici davano a questo termine prima della metà del XX secolo. I malati colpiti dal virus HIV soffrono e muoiono presentando segni e lesioni tipici di altre malattie. Queste malattie opportunistiche sono la sola realtà che poteva essere osservata e concettualizzata dai medici ancora solo una ventina di anni fa.
Ne consegue quindi la necessità di servirsi di sofisticati esami di laboratorio per individuare l'avvenuta infezione e monitorare i vari stadi della malattia. Nel 1953 lo scrittore di fantascienza Robert Sheckley, in uno dei più famosi racconti di fantascienza, descriveva l'"alienometro", uno strumento usato per misurare il grado di sanità mentale dei cittadini di una terrificante società del futuro:
Una persona il cui indice risulti superiore al sette è da considerarsi potenzialmente pericolosa. (...) Per legge è obbligata a denunciare il proprio numero indice e a riportarlo entro il sette sottoponendosi poi a un periodo condizionale di prova (...) In corrispondenza del numero dieci la scala graduata porta una sottile linea rossa. Per chi oltrepassa questa linea le terapie correnti sono inutili. L'interessato deve immediatamente sottoporsi all'Alterazione Chirurgica oppure alla terapia presso l'Accademia
Dunque per la prima volta una malattia a trasmissione sessuale, potenzialmente mortale, incurabile fa la sua irruzione nel ?villaggio globale? dominato dai media: sono loro a indirizzare sapientemente le paure collettive; pensiamo alla folle definizione di "peste del 2000", che ha diffuso la convinzione della pericolosità dei rapporti sociali, lavorativi, amicali con le persone sieropositive; pensiamo all'uso ossessivo della locuzione ?a rischio" che diventerà di uso comune: voli a rischio per lo sciopero, derby a rischio per l'ordine pubblico e così via.
Ancora una volta dunque, ma con mezzi infinitamente più pervasivi e potenti che nel passato, si sono suscitate e governate le preoccupazioni collettive contro l'estraneo.
Credo infatti che l'effetto combinato di tutti i fattori sopra ricordati abbia caratterizzato l'AIDS, fin dai suoi esordi, soprattutto come la malattia delle ?categorie a rischio?.
Dimostrando una squisita predilezione per lo humour nero, gli epidemiologi americani chiamarono i gruppi particolarmente esposti all'AIDS il club delle quattro H: ?homosexuals, heroin addicts, Haitians, hemophiliacs?. Alcuni collocavano al quarto posto le ?hookers? (le prostitute), facendo salire a cinque il numero delle fatidiche H.
Non si tratta dell'invenzione di un reporter di qualche giornale scandalistico, ma di una definizione coniata ?dagli epidemiologi americani?. Rileva giustamente Jonathan Mann:
L'epidemiologia è uno strumento potente, ma comporta presunzioni e limiti di non secondaria importanza, poiché l'applicazione dei metodi epidemiologici e classici all'HIV/AIDS prevede che il "rischio" venga definito in termini di comportamenti e cause determinanti a livello individuale. L'epidemiologia è stata finora incapace di sviluppare modelli e metodi adatti a scoprire le dimensioni sociali che influenzano e condizionano fortemente il comportamento individuale
La traduzione mediatica del discorso epidemiologico, centrato sull'individuo anziché sul contesto sociale, ha poi fatto sì che presso l'opinione pubblica venissero presentate come decisive ai fini del contagio caratteristiche come la scelta sessuale, la nazionalità, la professione, le abitudini, e quindi, in definitiva, l'appartenenza a determinate categorie. E' dunque a partire dalle prime rilevazioni epidemiologiche che i media diffondono il concetto di "categoria a rischio".
Categorie non a caso tutte già portatrici di una pesante stigmatizzazione sociale ad eccezione degli emofiliaci che ricoprono il ruolo di vittime innocenti degli altri gruppi. L'idea che il deviante fosse da isolare perché contagioso era troppo allettante e anche prima dell'era AIDS si potevano leggere singolari teorie in proposito.
Non va sottovalutato il fatto che l'invenzione del concetto di "categoria a rischio" è un potente ostacolo alla prevenzione, prima di tutto perché fa ritenere che l'AIDS riguardi solo gruppi delimitati e quindi non "la gente normale": se ad esempio si fossero definiti come fattore di rischio i rapporti anali non protetti anziché l'omosessualità, probabilmente anche molte coppie "normali" avrebbero percepito la necessità di proteggersi dal pericolo dell'infezione.
La stigmatizzazione provoca poi un forte arroccamento dei gruppi discriminati portandoli a negare l'esistenza stessa del problema: al momento delle citate campagne stampa sul gay cancer ad esempio le comunità gay non credettero all'esistenza della malattia, ritenendola l'ennesima invenzione omofoba. In Francia nacque la definizione SIDA= Syndrome imaginaire pour dècourager les amoreux. Solo in seguito, i medici e i legali delle associazioni gay sarebbero diventati i primi protagonisti delle campagne di prevenzione.
Inoltre la stigmatizzazione spinge le persone che hanno avuto comportamenti a rischio a non rivolgersi alle strutture sanitarie per accertare le propri condizioni, così come costringe le persone sieropositive a nascondere la propria condizione per evitare discriminazioni. Da ciò si capisce quali effetti devastanti abbia avuto per la prevenzione sia primaria che secondaria.
Dall'invenzione delle "categorie a rischio" discendono altre conseguenze: se infatti la malattia è portata tra noi da gruppi particolari, ben definiti, non è necessario cambiare i nostri comportamenti, ma è sufficiente evitare contatti con gli appartenenti a questi gruppi. Per maggior sicurezza non solo contatti sessuali ma anche sociali, dal momento che i media periodicamente danno spazio a teorie che ipotizzano la loro pericolosità.
La soluzione è dunque obbligata: l'isolamento di tutti coloro che appartengono alle "categorie a rischio". Isolamento come esclusione: licenziamento dal lavoro, necessità di abbandonare la propria abitazione o addirittura la città di residenza, di iscrivere i figli ad un'altra scuola. Isolamento come reclusione: è il caso del giovane livornese condannato a 14 anni per omicidio per aver infettato la moglie; e trattandosi di un diritto indisponibile come la salute, a niente vale, in processi come questi, dimostrare che l'altro coniuge fosse a conoscenza della sieropositività dell'altro e quindi conseziente a rapporti non protetti; ed è il caso anche dei ricoverati in apposite case alloggio (per lo più gestite dal volontariato e quindi fuori dal circuito sanitario ordinario). Ma l'individuazione di un'istituzione totale specifica ha assunto più che altro la forma della creazione di un ulteriore livello di scatole cinesi all'interno delle istituzioni già esistenti, carcere (vedi Opera) od ospedali (sezioni speciali all'interno dei reparti di malattie infettive). E tutto sommato gli aspetti legati alle procedure di reclusione-esclusione sono rimasti abbastanza marginali.
L'aspetto centrale è a mio giudizio quello della "visibilità": trattandosi, come si diceva, di una malattia che presuppone un lunghissimo periodo asintomatico, e riconoscibile attraverso segni clinici precisi solo nella sua fase terminale, nasce il problema dell'individuazione del potenziale portatore del virus.
Si è quindi contrapposto a un diritto alla visibilità rivendicato dagli attivisti e dalle persone sieropositive un dovere di visibilità imposto dalla società. Mentre le persone sieropositive chiedevano di poter affermare la propria condizione senza subire discriminazioni di sorta, si è invece tentato di imporre l'obbligo di manifestarsi per poter essere tenuti a distanza, scaricando su chi è già contagiato tutto il peso di una prevenzione concepita come autoisolamento, come colpevolizzazione, come rinuncia alla vita sociale, affettiva, sessuale Si è proposta l'obbligatorietà dei test di sieropositività, irrazionale tentativo di introdurre una sorta di lasciapassare costituito dal referto dell'esame. Una moderna versione del campanaccio che nei secoli passati annunciava la vicinanza di un lebbroso.
A quale logiche corrisponde l'imposizione di una visibilità alle persone sieropositive?
LE PROCEDURE LEGATE ALL'AIDS: UN TENTATIVO DI INTERPRETAZIONE
Sulle procedure originate dall'epidemia di AIDS credo che sia decisivo il contributo di Michel Foucault, che nei propri scritti ha dedicato molto spazio alle grandi epidemie della storia. A partire da Foucault vorrei qui tratteggiare, in maniera molto abbozzata, due possibili direzioni in cui sviluppare una discussione su questi temi, o forse tre proposte di lettura. Il primo spunto di discussione è quello relativo alla discriminazione delle persone sieropositive come "pratica di divisione" in senso foucaultiano:
Nella seconda parte del mio lavoro ho studiato l'oggettivazione del soggetto in ciò che chiamerei «pratiche di divisione». Il soggetto risulta diviso sia al proprio interno che dagli altri. Ed è questo processo a oggettivarlo. Le separazioni tra il folle e il normale, il malato e il sano, il criminale e il «bravo ragazzo» ne sono degli esempi.
Foucault intende dire che nel momento in cui si definisce una devianza automaticamente si viene a costituire una soggettività interna ai dispositivi di potere che ha contenuti esattamente opposti. Nel nostro caso andando a stigmatizzare atteggiamenti sessualmente "disordinati", si afferma una morale sessuale che privilegia la famiglia mononucleare rigida come elemento fondamentale di una società massificata e consumista.
L'individuo ha il dovere di mantenere il suo corpo produttivo e riproduttivo, e l'ossessione per la produttività è condivisa da tutte le culture dominanti: da quella borghese, a quella cattolica, all'etica del lavoro socialista. Il terzo spunto di discussione riguarda proprio L'uso del proprio corpo nella sessualità, ma anche ad esempio per quanto concerne l'uso di droghe, è quindi un nodo fondamentale nel rapporto tra individuo e potere. Per questo a partire dalle grandi civiltà dell'antichità il sesso è stato oggetto di quelle che Foucault chiama tecnologie del sé, e a partire dal XIX secolo anche di tutta una serie di politiche di gestione della popolazione:
L'estrema valorizzazione medica della sessualità nel XIX secolo credo tragga il suo principio proprio dalla posizione privilegiata della sessualità, che sta appunto tra organismo e popolazione, tra corpo e fenomeni globali. Da qui inoltre emerge l'idea medica secondo cui la sessualità, quand'è indisciplinata e irregolare, ha sempre due ordini di effetti. Il primo sul corpo, sul corpo indisciplinato, il quale viene immediatamente colpito da tutte le malattie individuali che il dissoluto sessuale attira a sé. Ad esempio, un bambino che si masturba troppo sarà malato per tutta la vita. Si tratta qui della sanzione disciplinare a livello del corpo. Ma nello stesso tempo una sessualità dissoluta, pervertita, ha degli effetti a livello della popolazione. Chi si è traviato sessualmente si presume infatti che avrà una discendenza perturbata, per generazioni e generazioni
L'individuazione di categorie che la loro malattia "se la sono cercata" riafferma il dovere di mantenere il proprio corpo in condizioni di poter assolvere alle necessità della produzione e della riproduzione.
Va sottolineato che in tutti i sistemi sanitari si sta cercando di scavare un solco tra patologie per cui il paziente ha diritto all'assistenza e altre per cui questo diritto viene negato, in quanto la condizione patologica sarebbe dovuta ad un atteggiamento "irresponsabile" del malato. E' il caso per esempio del rifiuto opposto da alcune compagnie assicurative a rimborsare fumatori ammalatisi di cancro.
Il secondo spunto di discussione è quello che prende in esame le procedure originate dall'AIDS come segnale del passaggio tra due forme diverse di società, la società disciplinare e la società di controllo. Si possono distinguere nella storia tre grandi epidemie: la lebbra, nel Medioevo, è la prima di queste:
A partire dall'Alto Medioevo fino al termine delle Crociate, i lebbrosari avevano moltiplicato le loro città maledette su tutta la superficie dell'Europa. Secondo Mathieu Paris, in tutto il mondo cristiano ce ne sarebbero stati non meno di diciannovemila. (...) Per un milione e mezzo di abitanti, nel XII Secolo, l'Inghilterra e la Scozia avevano aperto duecentoventi lebbrosari
Il lebbroso è esiliato o rinchiuso. La lebbra ha dunque "suscitato i rituali di esclusione, che hanno fornito fino a un certo punto il modello e quasi la forma generale della grande Carcerazione". Ecco invece il regolamento di una città colpita dalla peste, alcuni secoli più tardi:
Chiusura della città e del territorio agricolo circostante, interdizione di uscirne sotto pena della vita, uccisione di tutti gli animali randagi, suddivisione della città in quartieri separati, dove viene istituito il potere di un intendente. Il giorno designato si ordina che ciascuno si chiuda nella propria casa; proibizione di uscirne sotto pena della vita. Il sindaco va di persona a chiudere, dall'esterno, la porta di ogni casa, porta con sé la chiave, che rimette all'intendente di quartiere (...) Ogni famiglia avrà fatto le sue provviste, ma per il vino e il pane saranno state preparate, tra la strada e l'interno delle case, delle piccole condutture in legno, che permetteranno di fornire a ciascuno la sua razione (...). Spazio tagliato con esattezza, immobile, coagulato. Ciascuno è stivato al suo posto. E se si muove, ne va della vita. Contagio o punizione. (...) Ogni giorno, anche il sindaco passa per la strada di cui è responsabile. si ferma davanti ad ogni casa; fa mettere tutti gli abitanti alle finestre (...), chiama ciascuno per nome (...) Ciascuno chiuso nella sua gabbia, ciascuno alla sua finestra, rispondendo al proprio nome, mostrandosi quando glielo si chiede: è la grande rivista dei vivi e dei morti
A differenza della lebbra, che è "separazione", la peste ha invece contribuito al perfezionamento degli schemi disciplinari:
Questo spazio chiuso, tagliato con esattezza, sorvegliato in ogni suo punto, in cui gli individui sono inseriti in un posto fisso, in cui i minimi movimenti sono controllati, e tutti gli avvenimenti registrati, in cui un ininterrotto lavoro di scritturazione collega il centro alla periferia, in cui il potere si esercita senza interruzioni, secondo una figura gerarchica continua, in cui ogni individuo è costantemente reperito, esaminato e distribuito tra i vivi, gli ammalati e i morti -tutto ciò costituisce un modello di dispositivo disciplinare. Alla peste risponde l'ordine (...) esso prescrive a ciascuno il suo posto, a ciascuno il suo corpo, a ciascuno la sua malattia e la sua morte.(...) Contro la peste che è miscuglio, la disciplina fa valere il suo potere che è di analisi
E l'AIDS? Qui purtroppo dobbiamo proseguire da soli. Si può rilevare, come si è già accennato, che nell'epoca dell'AIDS si sono rivisti vecchi rituali di reclusione/esclusione ma che questi non hanno assunto una particolare rilevanza. Né sono comparse nuove istituzioni totali che abbiano costituito lo spazio chiuso specifico riservato ai malati di AIDS. Una possibile spiegazione, fornitaci da Deleuze, è che le forme "ultrarapide" di controllo all'aria aperta stanno rimpiazzando le vecchie discipline operanti in sistemi chiusi:
Ci troviamo in una crisi generalizzata di tutti gli ambienti di reclusione: prigione, ospedale, fabbrica, scuola e famiglia. (...) Per esempio, nella crisi dell'ospedale come ambiente di reclusione, la settorializzazione, il "day hospital", l'assistenza domiciliare possono sia segnare nuove libertà, ma anche prender parte a meccanismi di controllo che possono competere con le forme più dure di reclusione.
Già si è detto sulla centralità dei test di laboratorio rispetto al sintomo: l'esame continuo ha forse sostituito la reclusione, il certificato con il risultato del test può essere inteso come password? La lunga citazione che segue ha il senso di una proposta per l'approfondimento di questi temi:
Kafka, che si trovava già a cavallo dei due tipi di società, ha descritto ne "Il Processo" le forme giuridiche più temibili: l'assoluzione apparente nelle società disciplinari (tra due reclusioni) e il differimento illimitato delle società del controllo (in variazione continua). Le società disciplinari hanno due poli: la firma che indica l'individuo e il numero di matricola che indica la sua posizione in una massa. Nelle società del controllo, al contrario, l'essenziale non è più né una firma né un numero, ma una cifra. La cifra è una password, mentre le società disciplinari sono regolate da parole d'ordine (...) Non c'è bisogno della fantascienza per concepire un meccanismo di controllo che dia in ogni momento la posizione di un elemento in un ambiente aperto, animale in una riserva, uomo in un'impresa (collare elettronico). Felix Guattari immagina una città incui ciascuno può lasciare il suo appartamento, la sua strada, il suo quartiere grazie alla sua carta elettronica (dividuale) che faccia alzare questa o quella barriera, e allo stesso modo la carta può essere respinta quel giorno o entro la tal ora; ciò che conta non è la barriera ma il computer che ritrova la posizione di ciascuno, lecita o illecita, e opera una modulazione di qualcosa. (...) Può darsi che vecchi mezzi improntati alle antiche società di sovranità riappaiano sulla scena, ma con gli adattamenti necessari. Ciò che conta è che noi siamo all'inizio di qualcosa
ARRIVANO LE TERAPIE, L'AIDS NON FA PIU' NOTIZIA
Nel 1996, con l'introduzione degli inibitori della proteasi, l'AIDS non è più una malattia incurabile. La sua forza simbolica è fortemente attenuata, anche se come abbiamo visto le terapie non sono risolutive e l'obiettivo dell'eradicazione del virus dall'organismo umano, a cui anni fa gli scienziati miravano, non è più considerato raggiungibile a breve o media scadenza. L'attenzione dedicatale dai media, che negli anni precedenti aveva assunto le caratteristiche di una vero e proprio tormentone, lascia il campo a una totale indifferenza. La ricerca scientifica e la medicina riprendono la loro "centralità" e parallelamente si riducono i finanziamenti per la prevenzione e l'accoglienza. I reparti ospedalieri previsti per affrontare l'emergenza, ma soprattutto per assecondare interessi speculativi, rimangono desolatamente vuoti o non vengono neppure costruiti. Il pubblico dimentica l'emergenza, con il risultato di un forte abbassamento della soglia di attenzione. Si legge sui giornali che "diminuiscono i casi di AIDS" e si pensa ad una riduzione dell'incidenza del virus HIV. In realtà per effetto dei farmaci meno pazienti raggiungono la fase di AIDS conclamata, ma i contagi aumentano; e aumentano soprattutto tra le persone che continuano a non ritenersi coinvolte dal problema in quanto non appartenenti alle vecchie "categorie a rischio".
Per il resto, l'AIDS è sempre più un flagello del "Terzo Mondo" e si aggiunge a tanti altri che non fanno più notizia. E' praticamente un meccanismo di controllo demografico e di rafforzamento della subalternità dei Paesi poveri rispetto ai Paesi ricchi: si pensi ad esempio a quelle nazioni dove le classi di età che dovrebbero amministrare, insegnare, governare, dirigere sono state decimate dall'epidemia e dove si trovano solo vecchi e orfani. La lotta contro l'AIDS è quindi oggi soprattutto la lotta per l'accesso alle terapie contro gli interessi delle multinazionali farmaceutiche Ma è anche l'affermazione di una prevenzione possibile. Scriveva Jonathan Mann:
Focalizzarsi solo sulla riduzione del rischio individuale è risultato insufficiente, poiché si escludono i rapporti sociali di donne, uomini e bambini nel mondo che precludono la possibilità di modificare i comportamenti a rischio. Questo è il limite dell'approccio tradizionale della Sanità Pubblica: considerare le malattie come eventi dinamici, ma che avvengono in un contesto sociale ritenuto statico come se invece non fossero condizionate fortemente da quel contesto.
La prevenzione non può essere attuata se non rimuovendo le barriere economiche, culturali, politiche e religiose che che ostacolano il libero accesso ad una sessualità protetta, che negano la libertà di scelta sessuale e in particolare la libertà contrattuale della donna rispetto al partner, che ostacolano il diritto alla salute e all'informazione. Per questo battere l'epidemia significa, innanzi tutto, rivoluzionare gli equilibri del "nuovo ordine mondiale", imponendo la cooperazione come modello generale di relazione tra aree diverse.
Andrea Grillo
Fonte
|