Chiesa e dittatura franchista



A PROPOSITO DI CHIESA E RIVOLUZIONE SOCIALE: SPAGNA 1936-1939

Che la chiesa cattolica elevi strepitanti proteste, sostenendo d'essere stata vittima d'una e vera propria persecuzione proprio laddove per secoli si è distinta quale feroce persecutrice, ovvero nella Spagna erede dei re castigliani promotori delle reconquista, della cacciata degli ebrei e dei moriscos, dello sterminio degli indios nonché fautori della peggiore politica inquisitoria nei confronti degli eretici, che la chiesa cattolica strepiti, si diceva, potrebbe sembrare un brano tratto dal teatro dell'assurdo, uno scherzo di cattivo gusto o un tentativo penoso di attirare l'attenzione dopo decenni di fondamentale quiescenza. Purtroppo il vaticano parla seriamente e seriamente vorrebbe consegnare alla storia la favola di un feroce massacro, perpetrato a danno dei religiosi da parte di barbariche orde di anarchici, comunisti, massoni e anticlericali in genere durante la rivoluzione sociale (termine che preferiamo a quello più accomodante di guerra civile) che si compì in Spagna dopo la sollevazione militare, per altro pienamente appoggiata dalla chiesa iberica, capeggiata da Francisco Franco e dagli altri generali golpisti. Ma andiamo per ordine. Per comprendere la posizione della chiesa cattolica in Spagna, e comprendere altresì lo scarso consenso popolare di cui godeva, è necessario partire da più lontano, per lo meno dalla seconda metà dell'Ottocento, senza scomodare tempi ulteriormente antecedenti come si accennava in precedenza.
Fin dal XV secolo la chiesa aveva rivestito un'importanza politica e sociale no indifferente, come si può facilmente riscontrare nella classificazione degli spagnoli in base al concetto di "hispanidad", secondo il quale solo chi era figlio di spagnoli e professava la confessione cattolica poteva godere di tutti i diritti. Il clero iberico, ad eccezione di quello basco, sostenne apertamente la sollevazione militare adducendo due ordini di motivi: in primo luogo temeva una possibile rivoluzione comunista e quindi considerava i militari un valido argine contro tale pericolo; in secondo luogo, anche se non dichiarandolo apertamente, sperava di aumentare il proprio potere politico e culturale servendosi dell'esercito.
Mentre la stampa internazionale connotava la guerra civile spagnola come uno scontro fra democrazia e fascismo, la chiesa cattolica ne offrì una visione assai diversa, presentandola quale una nuova crociata nel corso della quale i sostenitori della civiltà, vale a dire i difensori della fede, avevano il compito di arrestare l'avanzata dei nuovi mori infedeli, rappresentati dal comunismo e dal laicismo: "buoni spagnoli" fronteggiavano quindi "cattivi spagnoli" che avevano rinnegato la loro hispanidad. Sebbene quindi alle anime belle l'odio dei repubblicani verso la chiesa possa apparire eccessivo, tanto che molti religiosi vennero uccisi o picchiati, conventi e chiese dati alle fiamme o semplicemente spogliati dei loro arredi sacri e trasformati in edifici civili, non bisogna dimenticare che la chiesa stessa non solo aveva alle spalle una lunga tradizione di crudeltà e ferocia (basti pensare alla straordinaria efficienza dell'Inquisizione spagnola) ma a tale tradizione non volle rinunciare neppure nel 1936: si trattò di un atteggiamento di generale appoggio ai movimenti fascisti, dall'Italia alla Germania nazista, sino alla Croazia degli Ustascia di Ante Pavelic, dove religiosi si segnalarono quali comandanti di campi di sterminio. La chiesa si era fieramente opposta a qualsivoglia tentativo di riforma, soprattutto in quegli ambiti, quale quello dell'educazione e dell'istruzione, entro i quali deteneva un potere pressoché assoluto. Il caso del pedagogo Francisco Ferrer s'era rivelato emblematico. La chiesa vide nella Repubblica una minaccia soprattutto per il proprio monopolio nel campo dell'istruzione.
Significativa fu una frase che il fondatore dell'Opus Dei, costituitasi nel 1928 con il duplice fine di ricercare la perfezione cristiana e diffonderla "nell'esercizio delle professioni secolari" (vale a dire strappare i lavoratori alle nefande ingerenze delle dottrine anarchiche e marxiste), Escrivà de Balaguer, soleva ripetere di frequente:"Dateci i bambini fra i 5 e i 10 anni e saranno per sempre nostri". La battaglia contro il laicismo, la scienza, l'educazione razionalista aveva mietuto vittime illustri nel campo anticlericale, in primo luogo il pedagogista Francisco Ferrer, fucilato il 13 ottobre 1909 nel castello del Montjuich a Barcellona in quanto ritenuto il promotore della sollevazione popolare che aveva insanguinato la città nell'ultima settimana del luglio precedente. In realtà, sebbene Ferrer fosse del tutto estraneo alla vicenda, che per di più aveva come cause la sostanziale miseria e l'elevato grado di sfruttamento del proletariato catalano, lo si volle eliminare in quanto pericoloso concorrente nel campo dell'istruzione proprio di santa madre chiesa: lo scuole fondate da Ferrer, così come quelle organizzate dalla CNT, non erano tollerabili in un paese che faceva della religione la sua forma culturale privilegiata.
Inoltre parecchi vescovi, ben lungi dal seguire i dettami del Vangelo, s'era procurati cospicue fortune gestendo le più svariate attività economiche come nel caso del primate di Saragoza. Franco ed i generali contarono, per portare a compimento il proprio progetto, su tre fattori fondamentali: l'esercito, inteso come organizzazione dei quadri ufficiali e delle truppe professionali della legione straniera; l'aiuto militare e politico di Hitler e Mussolini; il sostegno della chiesa, sia quella spagnola che le gerarchie vaticane.
Contrariamente a quel che si crede, le forze politiche della destra spagnola, come la Falange, non godettero mai della fiducia del caudillo, che anzi le osteggiò e le controllò meticolosamente temendone la pericoloso concorrenza nella gestione del potere. Tramontati dopo il 1945 i suoi padrini nazi-fascisti, fondò il proprio quasi quarantennale regime sull'indissolubile binomio esercito-chiesa cattolica. Tale binomio fu testimoniato, nel corso della rivoluzione sociale, da due elementi ben definiti e concretamente operanti:
innanzitutto la centralità del corpo dei requetès, ovvero i carlisti della Navarra, entro il quale la presenza di religiosi, anche combattenti, fu massiccia e continua; l'impiego di molti sacerdoti, monaci e monache, rimaste nei territori controllati dai repubblicani, quali elementi essenziali della cosiddetta quinta colonna ( il termine ha tale origine: poiché erano quattro le colonne delle forze nazionaliste che marciavano, nell'autunno del 1936, verso Madrid, e poiché esse mostravano una qualche difficoltà ad occupare la capitale, ad onta della propaganda franchista, il caudillo stesso affermò che una quinta colonna combatteva nascosta fra le fila del nemico in aiuto della vera Spagna, elemento del tutto veritiero e documentabile).
Il movimento dei Requetès, cattolico tradizionalista, era l'erede diretto di quel "carlismo" che aveva combattuto a più riprese contro la monarchia illegittima nel corso del secolo XIX. Il carlismo ebbe origine nel 1833 quando il pretendente al trono, Don Carlos, fratello del re Ferdinando VII, fu escluso dalla successione a vantaggio della nipote Isabella, che divenne regina alla morte del padre, legittimando il titolo grazie all'abrogazione, avvenuta nel 1789, della legge salica. Appoggiato dai tradizionalisti, sostenitori dell'assolutismo, che vedevano in Isabella la rappresentante delle forze liberali, Don Carlos scatenò una sanguinosa guerra civile (1833-1839) che terminò con la sua sconfitta e il suo esilio. Morto Don Carlos (1855), i figli ed il nipote riorganizzarono il movimento, impegnandosi in una seconda guerra civile (1873-1875) egualmente disastrosa. I l carlismo si trincerò allora dentro le campagne della Navarra, dove continuò ad avere seguito, tanto da strutturarsi durante gli anni venti del novecento in un vero movimento politico, con tanto di milizie paramilitari, riconoscibili del tradizionale basco rosso e dalla croce che sostituiva i gradi militari. Scomparso ogni erede di Don Carlos, spostarono le loro rivendicazioni politiche sul programma che aveva sempre contraddistinto la propaganda carlista: la restaurazione della monarchia assoluta, la centralità della chiesa nell'educazione del popolo, l'eliminazione del sistema parlamentare, la ricostruzione degli antichi "fueros", le autonomie feudali gestite dai nobili e dai curati. Avversi ad ogni forma di modernismo, combatterono ferocemente come alleati di Franco, che vedevano come condottiero della nuova "cruzada" che avrebbe riportato la Spagna all'antico splendore guerriero.
La straordinaria importanza dell'elemento religioso, cattolico naturalmente, è testimoniato dagli slogan con i quali la propaganda nazionalista presentò le ragioni del sollevamento militare agli occhi del mondo: si trattava di una nuova Cruzada, non più contro i mori, che anzi a migliaia combattevano nei reparti della legione straniera, ma contro i nuovi infedeli, ovvero una variegata categoria, los rojos, che comprendeva anarchici, socialisti, comunisti, repubblicani, liberi pensatori, massoni, anticlericali e persino cattolici dissidenti, come nel caso del clero basco massacrato dagli stessi nazionalisti con il beneplacito della chiesa cattolica (vedasi l'occupazione di Bilbao nel giugno del 1937 o il precedente bombardamento che l'aviazione del III Reich compì a Guernica, città santa dei baschi, il 27 aprile dello stesso anno). Tutti questi elementi ampiamente noti e documentati conducono ad una sola considerazione: che la chiesa cattolica non fu innocente spettatrice del massacro spagnolo, e quindi vittima di chissà quale brutalità, ma fu parte in causa, decisamente schierata, entro un conflitto che aveva voluto ed appoggiato. Eminenti intellettuali cattolici, al pari di Maritain e Bernanos, denunciarono l'ambiguità del vaticano nel sostenere quelli che reputavano feroci assassini, ovvero i militari e movimenti politici reazionari della Spagna, ricordando anche l'abbraccio mortale con un paese, la Germania, governato da un'altra banda di criminali di pari valore. Nelle migliaia di esecuzioni che insanguinarono la Spagna fra il 1939 ed il 1950 la chiesa continuò ad avere una parte di primo piano: nei tribunali militari, che giudicavano e condannavano con sbrigativa procedura coloro che erano stati in qualche modo compromessi con la repubblica, i religiosi non mancavano mai, a testimonianza dell'asse esercito-cattolicesimo di cui si è in precedenza parlato.
Ora pare veramente fuori luogo sostenere che, seppure indubbiamente qualche moto spontaneo popolare contro edifici religiosi e religiosi in carne ed ossa vi sia stato, la chiesa sia stata fatta oggetto di una persecuzione: la chiesa aveva scelto di combattere e da una parte ben determinata e pertanto subì le conseguenze di tale scelta. Come nei secoli bui del Medio Evo, allorquando il papato ambiva al potere politico ed entrò in conflitto con l'Impero e le monarchie nazionali, tanto che illustri intellettuali, al pari di Dante, sottolinearono la necessità che la chiesa si limitasse a proporsi quale autorità puramente spirituale, garante del messaggio della salvezza portato dalla predicazione di Cristo, così in Spagna il vaticano decise di impegnarsi sul terreno politico brandendo la spada e bandendo un'ennesima crociata. Che i soldati di Cristo, come amava definirli Ignazio di Loyola, fondatore dei gesuiti, potessero cadere in battaglia era un fatto del tutto scontato. Del resto, proprio nell'epoca subito precedente la rivoluzione sociale, come si è in precedenza ricordato, venne fondata in Spagna l'Opus Dei, da subito sostegno del franchismo e della cruzada.
E se Franco è morto, tanto da offrire agli occhi del mondo l'illusione che il regime da lui edificato sia definitivamente tramontato, l'Opus Dei gode di ottima salute: molto probabilmente vorrebbe riscrivere la storia per evidenti e scontati motivi IL TESTAMENTO DI FRANCO

Il 20 novembre 1975, dopo alcuni mesi di malattia che l'avevano sottratto alle scene della politica mondiale, Franco moriva ponendo fine alla sua lunga dittatura, sopravvissuta a quelle più potenti di chi l'aveva aiutato a prendere il potere in Spagna. Il capo del governo, Carlos Arias Navarro, diede lettura nella medesima giornata del testamento del caudillo. Il documento rivelava, più che le ultime volontà di colui il quale aveva governato per 36 anni il paese, le preoccupazioni di una classe dirigente che, non desiderando certo rinunciare alla propria funzione di potere, si rendeva conto che nell'Europa che si andava costituendo non v'era più posto per regimi di stampo totalitario: il problema era quindi preparare il trapasso alla democrazia senza tuttavia che le strutture di dominio della Spagna nazionalista fossero scompaginate. Dopo 30 anni le due Spagne, eredi della guerra civile e di un processo di rinnovamento mai seriamente avvenuto, sono ancora una di fronte all'altra ed il testamento del caudillo pare essere ancora il documento di riferimento della destra spagnola: l'integrità del paese, contro ogni pretesa di autonomia, la centralità della confessione cattolica, la missione civilizzatrice della nazione, vero baluardo dell'occidente contro qualsiasi forma di barbarie. Spagnoli, nell'ora in cui mi accingo a rendere la vita all'Altissimo e a comparire dinnanzi al suo inappellabile giudizio, chiedo a Dio che mi accolga benignamente alla sua presenza, dopo che ho desiderato vivere e morire da cattolico. Nel nome di Cristo mi onoro ed è risieduta la mia volontà di essere fedele figlio della chiesa, nel cui seno mi accingo a morire. Chiedo perdono a tutti, come di cuore perdono tutti quelli che si dichiararono miei nemici sebbene io non li considerassi come tali. Credo e voglio che averne avuti se non fra coloro che lo furono della Spagna, che amo sin questo ultimo momento e che promisi di servire sino all'ultimo alito di vita che è ormai prossimo. Desidero ringraziare quanti hanno collaborato con entusiasmo, con forza ed abnegazione di rendere la Spagna unita, grande e libera. Per l'amore che provo verso la nostra patria vi chiedo di preservarvi nell'unità e nella pace e che rendiate al futuro re di Spagna Don Juan Carlos di Borbone il medesimo affetto e la medesima lealtà che mi avete dimostrato e reso, in ogni circostanza, il medesimo appoggio che da parte vostra è sempre arrivato. Non dimenticate che i nemici della Spagna e della civiltà cristiana sono vigili. Vigilate anche voi e per tale scopo mettete da parte, di fronte ai supremi interessi della patria e del popolo spagnolo, qualsiasi tornaconto personale. Non smettete di promuovere la giustizia sociale e la cultura per tutti gli uomini della Spagna e fate del vostro meglio per realizzare tale obiettivo. Mantenete l'unità delle regioni spagnole pur esaltando la loro ricca molteplicità come fonte della saldezza dell'unità della patria. Vorrei, da ultimo, unire i nomi di Dio e della Spagna e abbracciare tutti per gridare uniti per l'ultima volta, mentre scende l'ombra della morte:
ARRIBA ESPANA! VIVA ESPANA!

Chi parla nel documento? Franco? E a chi parla l'autore, o gli autori, del medesimo. Quel 20 novembre del 1975, il caudillo è in coma da molte settimane, irrimediabilmente minato da un tumore. Quindi, se egli stesso è l'estensore del testamento, deve averlo redatto molto prima, quando ancora le condizioni di salute glielo permettevano. Di contro, l'estensore potrebbe essere benissimo costituito da elementi del governo e della classe politica franchista, preoccupati della successione e della piega che il paese avrebbe dovuto prendere. In un caso e nell'altro s'avverte la necessità di stabilire una continuità con quasi 40 anni di potere: i nemici di un tempo sono ancora vigili, e sono tali perché nemici della nazione e non del regime, che anzi si compiace di perdonare cristianamente coloro che tali si sono dichiarati, il nuovo re deve essere obbedito ed aiutato con la stessa solerzia e la stessa lealtà dimostrata al caudillo (il che equivale a dire che il re medesimo deve comportarsi come Franco), l'unità nazionale, sancita dalla comune fede cattolica, non può essere messa in dubbio, giacchè non può essere messa in dubbio piuttosto la fede cattolica quale unica fonte di comportamento morale. Naturalmente si offrono anche ipocrite aperture di vago sapore democratico: la giustizia sociale, che suona più come una sorta di richiesta di perdono alla falange brutalmente ricondotta sotto l'egida del totalitarismo franchista e che della giustizia sociale era stata paladina nel suo programma populista, le differenze regionali che diventano una ricchezza della nazione. Ma nel finale l'obiettivo della continuità si rivela appieno, sia nell'ennesimo richiamo a Dio, sia nell'evidenziazione dei motti della Spagna nazionalista: ARRIBA ESPANA, VIVA ESPANA, non senza aver prima adombrato in quel costante rammentare la fine incombente l'urlo tragico e terrificante dele forze nazionaliste durante la guerra civile: VIVA LA MUERTE!

È interessante notare come una certa vulgata storicistica molto in voga consideri che dopo la seconda guerra mondiale i regimi dittatoriali europei siano sopravvissuti solo nell'URSS e nei suoi stati satelliti mentre l'occidente avrebbe decisamente imboccato la strada della democrazia. Il franchismo godette di una sorta di benevola impunità soprattutto dopo l'entrata della Spagna nel sistema del Patto Atlantico. Eppure la dittatura del caudillo costituì una "bottega degli orrori" che nulla ebba da invidiare al III Reich, con l'aggiunta di combinare il peggio dei totalitarismi novecenteschi all'esecrabile tradizione dell'ancient regime pre-rivoluzione francese, fondato sull'esecrabile alleanza trono-altare. Pur non compiendo mai alcun passo nella direzione di un riconoscimento ufficiale, Franco fu di fatto un re senza corona: il cerimoniale, l'abbigliamento, l'atteggiamento della casta di governo lo testimoniano abbondantemente.
Didascalie delle immagini:

per le prime due che riproducono Franco:
L'idea che animava la destra spagnola in tutte le sue componenti era quella di ricostituire l'antico impero coloniale fondandosi sui medesimi valori che già avevano informato le imprese dei conquistadores: forza militare, nobiltà terriera e cattolicesimo, come evidenzia il manifesto a lato nel quale Franco, il Caudillo, rappresentante della forza militare, pare farsi da parte per lasciar posto al Cristo del Sacro Cuore, vero signore della cristianità di cui la Spagna costituisce l'ultimo erede e baluardo. Per quella in bianco e nero:

Giuramento dei vescovi spagnoli davanti a Franco Per quella seppia:

Miliziani del movimento dei Requetès benedetti da un sacerdote, in divisa e non con la tonaca, a testimonianza della militanza attiva dei religiosi, prima di entrare in battaglia