ENZENSBERGER Quasi quasi mi rileggo Marx
Articolo trovato su "La Stampa" 8 Dicembre 2008
ENZENSBERGER Quasi quasi mi rileggo Marx Ma il capitalismo non ha alternative:
dalle crisi e' sempre uscito sviluppando la capacita' di adattarsi.
BRAUCK MATTHIAS MATTUSEK Hans MAGNUS Enzensberger, lei ha investito in azioni?
«No, non mi piacciono. E' un gioco che mi annoia. Anche le sale da
gioco mi interessano poco. Non ci resisto a lungo e quando ci vado perdo
tutti i soldi il piu' presto possibile soltanto per potermene andare via prima.
La Borsa e' un po' come un grande casino', se osservata dal punto di vista
dei giocatori - non di certo dalla prospettiva delle banche». Lei e' nato
nel 1929, l'11 novembre. Due settimane dopo il venerdi' nero di Wall Street.
Alla fine della seconda guerra mondiale aveva 16 anni. La generazione
a cui appartiene conosce il caos. Quel che sta accadendo la rende
diffidente? «Beh, ma essere diffidenti va bene. Chi in questo periodo e'
stato scettico se l'e' cavata alla grande. Adesso le banche ci supplicano
''Per favore, abbiate fiducia in noi!''. Tutta questa crisi finanziaria non
e' stata provocata di certo da una carenza di fiducia, quanto piuttosto da una
quasi commovente ingenuita'. Chi ha avuto fiducia nel proprio consulente
finanziario ora e' povero». La sorprende vedere quanto rapida, profonda e
drammatica sia questa crisi? «Piu' che altro mi stupisce vedere quanto le
persone siano choccate da questa crisi. E' curioso vedere questa fantastica
perdita di memoria! Chi conosce un po' la storia dell'economia - e un pizzico
di marxismo non guasta - sa quale ne sia il funzionamento da almeno 200 anni.
John Law nel 1720 ha provocato una enorme bolla con le azioni della sua
Mississippi Company. La Francia allora ha schivato per poco la bancarotta.
E la storia si e' ripetuta nei secoli. La lista e' lunga: Messico,
Asia, Argentina, Giappone. Gia' tutto dimenticato?». Una magra
consolazione. «Questa dinamica e' parte del sistema operativo del
capitalismo, fatto di cicli di boom e di crash, di esaltazione e di panico.
Fino a poco tempo fa dominava l'avidita', ora regna la paura. Nessuno sa
quanto durera'. Non ci troviamo di fronte a un fallimento morale dei
banchieri. E' un po' troppo pretendere che debbano essere proprio i
banchieri i guardiani della morale». Non e' che siamo arrivati alla fine
del capitalismo? Sul tavolo ci sono privatizzazioni di banche, all'improvviso
gli Stati fanno i soccorritori. «E' sempre stato cosi'. New Deal,
keynesismo, programmi congiunturali. . . Da una parte lo Stato e' il
rivale, dall'altra il salvatore. Anche questo e' un ciclo». Rispetto
alla malattia che si e' presa ora l'economia, le crisi precedenti appaiono come
un leggero raffreddore. «Le crisi precedenti erano limitate a poche regioni.
La dimensione della crisi attuale e' globale. Questa e' la cattiva
notizia. Ma il sistema ha imparato dal passato. Nel 1929 i governi
erano come paralizzati. Il G7 non c'era e neanche il Fondo monetario
internazionale. Questa e', per cosi' dire, la buona notizia». Ma la
crisi attuale ha annientato quantita' enormi di capitali. «Non ne sono
cosi' certo. Questo capitale, in realta', non e' mai esistito. Era
soltanto fittizio, proprio come un assegno non coperto». Proviamo a
chiedere all'Enzensberger ex marxista che cosa pensa oggi del capitalismo.
E' arrivato alla fine? Siamo in una situazione pre-rivoluzionaria? «Perche' ex
marxista? Nella mia cassetta degli attrezzi trovo sempre questa o quella leva
proveniente dall'officina del signor Marx che mi sembra ancora utilizzabile.
Ho difficolta' soltanto con il famoso ''soggetto rivoluzionario''.
Nelle piazze e per le strade delle citta' non se ne trova traccia. Solo i
media sembrano crederci, ma del resto a loro servono titoli sparati in prima
pagina. E il titolo migliore e' l'apocalisse: rovina, cambio epocale.
In questi casi ai giornalisti ribolle il sangue». Forse anche ai marxisti.
Come dice Marx, se la miseria aumenta si arriva al tracollo. «Ma siamo
ben lontani da questa situazione. Nessuno sa cosa accadra'. L'unica
cosa certa e' che le spese umane saranno molto alte. Molti dovranno pagare
e questo sara' spiacevole certo, ma e' sempre stato cosi' e fino ad ora questo
mostro proteiforme che chiamiamo capitalismo si e' sempre risollevato da terra.
Perche' ha una capacita' di imparare e adattarsi incredibile, e perche'
non ci sono alternative in vista». Lei stesso un tempo ha creduto in
un'alternativa. «Sono piuttosto negato nelle faccende di fede. Posso
dire che e' emerso che il capitalismo si sposa bene con tutto, con la
democrazia come con la dittatura, con il fascismo o con un partito cinese che
si definisce comunista. A quanto pare, la riproduzione del capitalismo e'
del tutto indifferente al regime politico. E per quanto riguarda le sue
periodiche crisi, beh se non ci fossero state questo sistema economico non
avrebbe mai imparato e non si sarebbe evoluto. Sarebbe passato alla storia
da tempo, come il sistema economico dell'Unione Sovietica. «Chi ha visto
con i propri occhi come sta una societa' che e' veramente a terra sa che cosa
significa: miseria, fame, declassamento sociale. La gente e' scandalizzata
se la crescita economica scende sotto lo zero, quasi si stesse avvicinando la
fine del mondo. E' chiaro che non si vuole sapere come funziona il
capitalismo». Quand'e' che lei lo ha capito? «Credo dopo la guerra, al
mercato nero. Come molti altri, facevo affari con sigarette, pane, burro e
con le armi dei nazisti che gli americani volevano avere come trofeo. Ma
come potenziale carriera o stile di vita mi sembrava davvero poca cosa e cosi'
ho detto addio a questo tipo di attivita'. Stando ai criteri di allora, per
un certo periodo sono stato decisamente ricco ed ero sulla buona strada per
poter diventare milionario. Ma non avevo voglia di passare la mia vita come
una sorta di Paperon de' Paperoni. Il denaro e' bello, ma e' anche un po'
noiosetto». Da un punto di vista politico questo momento potrebbe essere
un'occasione per una rinascita della sinistra. «Quale? Quella di
Lafontaine? Di Chavez? Di Raul Castro? A ogni crisi riecheggiano le solite
profezie, ''ora e' davvero la fine''. Io pero' credo che la festa non sia
per niente finita». Le tendopoli in Nevada o in California preparate per le
tante persone che hanno perso la casa fanno pensare a Furore, il romanzo di
John Steinbeck, e agli Anni Trenta. «Si pensa sempre alla rivoluzione
mondiale perche' e' piu' interessante dell'eterna mediocrita'. Ma non c'e'
una taglia piu' piccola? In questo momento e' il populismo a essere piu' vicino
allo stato delle cose. Per il populismo questo momento e' un'occasione
formidabile». C'e' stato un periodo in cui anche lei ha sognato un
cambiamento radicale. «Chi non lo ha sognato fa venire tristezza. Non
e' un caso se non c'e' un solo partito che non porti su ogni pagina del proprio
programma il riferimento alla giustizia sociale. Nessuno sa di che cosa si
tratti esattamente, ma l'idea che una cosa simile possa esistere non muore mai,
anche se nella storia millenaria dell'umanita' non c'e' mai stato niente di
simile. E nonostante tutti sappiano che al mondo ci sono molte ingiustizie.
A cominciare dal fatto che uno nasce bello e un altro invece brutto,
oppure che c'e' chi e' sano e chi invece e' malato. E' un tratto bello
della nostra specie, il fatto che non si vuole rassegnare all'ingiustizia.
Anche se poi ogni falso profeta cerca di sfruttare questi nostri sogni».
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