Terrorismo e violenza
A margine del dibattito su Terrorismo e Violenza
I recenti arresti di presunti brigatisti (sarebbe il caso di ricordare a scribacchini e politicanti cha siamo ancora in uno stato di diritto dove vige la presunzione di innocenza, e fino a che una persona, imputata per il tale o talaltro reato, non sia stato condannato con sentenza definitiva, è da considerarsi innocente, e se questo vale per politici o industriali deve valere per tutti gli altri, extra-comunitari e terroristi compresi),arresti che si aggiungono ad una serie di pacchi bombe inviati ad uffici pubblici e caserme dei carabinieri, hanno riportato in auge il problema del terrorismo, e, di conseguenza, hanno innescato un rovente dibattito.
Questo dibattito riguarda il rapporto tra il "movimento" e la violenza. O più in generale dell'uso della violenza nella (lotta) politica. Il tutto condito dalla usuale richiesta di "condannare ogni forma di violenza" nonché di "isolare i violenti".
Mi pare che alla base di tutto ciò vi sia una notevole dose di ipocrisia.
La violenza e la politica sono da sempre strettamente intrecciate. Nel momento in cui Romolo uccide Remo, istituisce il proprio regno sulla città di Roma. L'atto politico fondante è quindi l'omicidio (il fratricidio, nella fattispecie).
Lo Stato è, scientificamente parlando, nella sua essenza, l'organizzazione della violenza. Basta dare un rapido sguardo alla storia dell'ultimo secolo per vedere quanto questa affermazione sia vera.
La società, così come attualmente è strutturata , non mi pare sia nonviolenta. Le carceri sono violenza, le caserme sono violenza, le fabbriche sono violenza, per non parlare dei manicomi.
I rapporti economici sono violenti, l'economia è violenza (come definire i 20 milioni di morti che ci verificano ogni anno a causa di malattia, denutrizione causati dalla povertà, o meglio dire dalla inequa distribuzione della ricchezza?)
E' violenza anche la mistificazione della realtà, la ignoranza spacciata per conoscenza, il lavaggio del cervello e il terrorismo psicologico.
Detto questo, mi pare del tutto ovvio che chi si riconosce, o avvalla, o è compartecipe di tutto ciò, non abbia alcun diritto di fare la morale ad altri, o pretendere da altri i comportamenti che evita accuratemente di seguire lui stesso. Che è appunto quella cosa che va sotto il nome di ipocrisia.
Che gli inviti ad essere "non violenti" vengano dal Potere e dai suoi sicofanti, è cosa che dovrebbe insospettire qualsiasi persona dotata di buon senso.
Ed è considerazione abbastanza ovvia che questi siano inviti retorici, tesi a criminalizzare e circoscrivere il dissenso, soprattutto nel momento in cui questo sembra poter portare dalla propria parte, o almmeno influenzare, larghi strati della società.
Ma queste considerazioni, per quanto giuste e necessarie, non ci esimono dal pronunciarci sulla questione della violenza.
Come detto sopra, la violenza è un fatto e non lo si può ignorare. Se lo si ignora, si finisce per avvallarlo.
Ogni forma di lotta è, in qualche misura, violenta, compresi gli scioperi della fame di gandiana memoria, i quali in effetti si basano su un ricatto morale, ovvero o tu fai come dico io , oppure io mi faccio morire facendo ricadere su di te la colpa.
Nelle proteste sociali, scioperi picchetti o altro, vi è sempre stata una certa quantità di violenza, che magari poi col tempo si è isituzionalizzata ed è stata svuotata di significato, ma questa violenza era (ed è ) necessaria in quanto si opponeva alla violenza dei rapporti economici vigenti all'interno della fabbriche e degli altri luoghi di lavoro che poi si traducevano in cariche della polizia, pistolettate sugli scioperanti e quant'altro.
Temo proprio che il problema della violenza non sia risolvibile. Sicuramente non nei termini che sono prospettati mediamente. Tu fai il nonviolento, non dici nulla che ci disturbi,e lasci fare a noi.
Quando si lotta per un obiettivo si decidono i mezzi per ragiungere quell'obiettivo. I mezzi devono quindi essere efficaci, e devono essere coerenti con il fine proposto. Se il mio fine è di raggiungere (una società basata sul massimo della libertà e dell'eguaglianza reali, non posso pensare di raggiungerla con metodi che vadano contro a questi due fini. quindi non posso pensare di raggiungerla attraverso delle strutture clandestine (che pressuppongono quindi la specializzazione e la separatezza tra autonominate avanguardie e"massa"). e attraverso quella che è nei fatti una strategia di terrorismo, laddove il termine terrorismo sta a significare esattamente il suo significato, cioè l'instillare il terrore.
Il che è sempre stato il fine del Potere, di qualsiasi potere. Non è un caso che la "minaccia terroristica" venga agitata ai 4 venti, molto al di là della sua reale consistenza, perché avere una opinione pubblica spaventata, in preda appunto al "terrore" è la condizione primaria per l'esistenza del Potere medesimo (oltre alla possibilità di introdurre leggi restrittive e demonizzare qualsivoglia tipo di opposizione).
Da ciò ne consegue che, chi si apposta dietro un angolo, armato, ad aspettare qualcuno che, tra l'altro, non può difendersi, chi manda pacchetti incendiari o piazza ordigni esplosivi, al di là di come si qualifichi e di quali siano i suoi scopi (tra l'altro da verificare, ma questo è secondario) fa, nei fatti, soltanto il gioco di quel potere che dice di combattere.
Che poi la situazione attuale sia molto differente da quella degli anni 70, è stato talmente detto e ridetto, ed è anche cosa talmente evidente, che non mi pare il caso di sottolineare ulteriormente.
E' altrettanto evidente che Il movimento o meglio quell'insieme di gruppi e associazioni, e spesso, singoli individui non appartenenti ad alcun gruppo organizzato che si sono mobilitati negli ultimi 2-3 anni, hanno sicuramente più subito che non praticato la violenza, come dimostrano le giornate di Genova del 2001, le torture di Bolzaneto e della Scuola Diaz, o l'uccisione di Dax e il conseguente massacro all'ospedale S.Paolo.
Infine, sulla richiesta di "ripudiare la violenza" due parole devono essere dette, per chiarire concetti e smentire luoghi comuni ideologici.
Come detto sopra, a ripudiare la violenza dovrebbe essere, innanzitutto, chi la esercita quotidianamente. La legittimità dell'utilizzo delle violenza dipende unicamente dalla sua necessità.
Questo è quanto qualsiasi persona dotata di buon senso pensa. A questo si può aggiungere che è sempre preferibile il convincimento attraverso il dialogo, l'esposizione delle proprie ragioni, il confronto anche duro con posizioni diverse, che l'aggressione fisica e psicologica.
In altri termini, è legittimo il ricorso alla violenza per legittima difesa, quando non vi siano altri mezzi e quando il non ricorrere alla violenza porterebbe dei danni e delle violenze maggiori che non l'utilizzo della stessa. Si pensi per esempio alla scelta di "pacificazione" dei socialisti con i fascisti nel momento in cui le squadracce di Balbo e Farinacci devastavano l'Italia, che portò alla marcia su Roma con tutte le cosneguenze del caso, o il rifiuto di Allende di armare la popolazione nel Cile del 73, che facilitò il colpo di Stato di Pinochet, con tutti i suoi orrori.
Potremmo sintetizzare con un "buoni sì, ma non fessi!"
PABLO
|