Articolo tratto dal quotidiano "La Notte" DEL 16 DICEMBRE 1969
 


CLAMOROSO COLPO DI SCENA NELLE INDAGINI SUI TERRORISTI

UN ANARCHICO
si è ucciso
e altri due
sono a S. Vittore

Il morto è Giuseppe Pinelli di 41 anni: abitava a Milano in via Preneste 2, era sposato con due figlie - Lavorava come ferroviere allo scalo di Porta Garibaldi - Fermato dopo la strage aveva fornito un alibi risultato falso - Al momento decisivo dell'interrogatorio si è buttato da una finestra al 4° piano nel cortile della Questura Centrale: erano le 23.50 - Un'ora dopo è spirato all'ospedale - Gli altri due fermati sono pure anarchici.
 

Un anarchico, fermato per accertamenti sulla strage di Piazza Fontana, si è ucciso questa notte nella sede della centrale di Polizia di via Fatebenefratelli. Altri due anarchici si trovano ancora a S. Vittore e sono al centro delle indagini. Questa la sensazionale svolta che nelle ultime ore ha impresso un nuovo ritmo alle operazioni di ricerca dei responsabili dell'eccidio della Banca Nazionale dell'Agricoltura.
Il suicida è un ferroviere milanese, Giuseppe Pinelli, di 41 anni. E' morto alle 1.40 di stanotte. Al Pronto Soccorso del Fatebenefratelli dove lo avevano portato pochi minuti dopo il drammatico volo dal quarto piano della Questura, il medici lo hanno sottoposto al massaggio cardiaco per oltre un'ora. Il cuore aveva ripreso a battere con una certa frequenza, e c'era ancora una speranza che potesse salvarsi.
Le ferite riportate nella caduta dalla finestra del quarto piano con tuffo di venti metri erano così gravi che il trapasso dell'anarchico sarebbe stato comunque questione di ore.
La notizia del luttuoso episodio avvenuto in Questura è stata oggetto di una conferenza stampa che il dottor Guida (direttore del confino di Ventotene durante il regime fascista, carceriere di molti antifascisti tra cui Pertini, N.d.R.)  ha tenuto verso le 2.30 affiancato dal dottor Allegra capo dell'ufficio politico, dal dottor Calabresi che durante la notte stava interrogando il Pinelli assieme al tenente dei carabinieri Lo Grano, a due sottufficiali della polizia e a uno dei carabinieri.
Giuseppe Pinelli, sposato con Licia Rognini, una donna intelligente e volitiva, che aiutava il bilancio familiare eseguendo lavori di copiatura a casa, aveva due figlie, due belle bambine di 9 e 8 anni e abitava in via Preneste 2, oltre San Siro. Faceva il frenatore allo scalo delle ferrovie della stazione Garibaldi. Era stato fermato venerdì sera, cinque ore dopo il terrificante e barbaro attentato alla Banca Nazionale dell'Agricoltura di Piazza Fontana 4. L'ufficio politico lo teneva sotto controllo da diversi mesi, da quando, cioè, si erano verificati gli attentati alla Fiera Campionaria, alla stazione Centrale e in numerose altre città d'Italia.
Alto un po' più della media, robusto, il volto incorniciato da una barbetta romantica, Giuseppe Pinelli era noto negli ambienti della Questura. Quando scoppiava qualche ordigno, la pratica "Giuseppe Pinelli anarchico individuale"(sic!) saltava subito sul tavolo del funzionario. E gli agenti andavano a prenderlo. Così è stato anche venerdì verso le venti. I poliziotti a caso non lo avevano trovato, ma sapevano dove rintracciarlo. Al circolo anarchico della Ghisolfa. Era seduto al tavolo con alcuni compagni. (in realtà Pinelli venne fermato vicino la sede anarchica di via Scaldasole; questo particolare, ed altri, fanno pensare che, probabilmente  il "cronista" ha confezionato l'articolo sotto dettatura , N.d.R.).
Non si era mostrato sorpreso e aveva seguito gli agenti tranquillamente. Nel passato, a suo carico, non erano state trovate prove inconfutabili che avesse fatto parte delle squadre attive terroristiche (quali squadre?, N.d.R.).  Rispondeva agli interrogatori con calma, pacatezza e a volte sarcasticamente.
In questi tre giorni di permanenza in camera di sicurezza (il fermo di Pinelli era illegale: non solo non c'era una sola prova contro di lui, ma non avrebbe potuto durare più di due giorni la permanenza in questura, N.d.R.) Giuseppe Pinelli non aveva mostrato particolari titubanze. Ha detto il questore dottor Guida: " Su di lui avevamo dei sospetti che, in seguito, si erano fatti più pesanti perché il suo alibi era saltato (falso!, N.d.R.). Il Pinelli aveva detto che venerdì 12 dicembre aveva lavorato fino alle 8 del mattino. Riposatosi fino alle 14.30 si sarebbe poi recato in un bar  dove sarebbe rimasto fino alle 17.30 . Ma le sue dichiarazioni erano state smentite dal barista il quale ci aveva affermato che il Pinelli era sì stato nel locale verso le 14.30, ma si era fermato un minuto o poco più, giusto il tempo di bere un caffè. Ma non è stata solo questa contestazione a farlo crollare. Era fortemente indiziato non solo per venerdì, ma anche per una serie di attentati compiuti sui treni in Italia nel mese di agosto. Il gesto di Pinelli certo a noi non fa piacere.
L'anarchico era stato condotto nell'ufficio del dottor Calabresi verso le 22 e dentro ad aspettarlo, c'era anche il tenente dei carabinieri Lo Grano con un sottufficiale dell'arma e due della polizia.
Più che un serrato fuoco di fila di domande il Pinelli veniva sottoposto a normali contestazioni che tendevano a chiarire importantissimi particolari. Sono sono probabilmente state queste precise domande (quali?, N.d.R.) a far scattare nella mente del Pinelli l'idea del suicidio quale unica possibilità "liberatrice" da una situazione che stava aggravandosi e che poteva inchiodarlo con le spalle al muro con pesantissime responsabilità. "Sei stato tu, confessalo". "Tu conosci gente di questo gruppo X dillo e falla finita ormai sappiamo molte cose". Domande che, legate a quattordici vittime e a 90 feriti avranno senz'altro indotto Giuseppe Pinelli a ritenere che la polizia avesse tra le mani prove e indizi che potevano annientarlo.
Ma, come ha detto il dottor Calabresi, con Pinelli si stava più discutendo che effettuando un massacrante interrogatorio. Lo si voleva lasciare con pause volute di silenzio e di tempo libero affinché pensasse. Una battaglia psicologica, condotta sul filo del tempo, preparata con sottigliezza dalle domande degli inquirenti. Ed è stato verso le 23.50 che il dottor Calabresi e il tenente Lo Grano si sono allontanati dall'ufficio per mettere al corrente del loro lavoro il dottor Allegra, capo dell'ufficio politico. Nella stanza rimanevano Giuseppe Pinelli e i tre sottufficiali. Un' atmosfera tesa, ma, se così si può dire, paradossalmente tranquilla.
Un sottufficiale offriva a Giuseppe Pinelli una sigaretta che l'anarchico accettava e accendeva con mano sicura. Da molte ore quegli uomini fumavano in quella stanza. La finestra veniva socchiusa per consentire un lento ricambio dell'aria troppo viziata e anche surriscaldata. Mancavano pochi minuti alla mezzanotte. Un sottufficiale si metteva accanto alla porta, gli latri si sgranchivano le gambe. Il gesto di Pinelli è stato fulmineo e coglieva tutti di sorpresa, impedendogli qualsiasi tentativo di bloccarlo. Alzatosi di scatto l'anarchico raggiungeva con un balzo felino la finestra, la spalancava e si gettava a capofitto. Il corpo  finiva su una pianta (chi non condivide la "tesi" del suicidio sostiene che Pinelli sia stato ucciso nella stanza dell'interrogatorio per poi gettare il corpo dalla finestra per simulare il suicidio dell'anarchico, ebbene il "cronista" della "Notte", involontariamente, avvalora la tesi dell'assassinio, infatti,  per tutto l'articolo egli parla dell'anarchico chiamandolo con nome e cognome, ma quando si tratta di descrivere il volo dalla finestra usa il termine  il corpo  come se Pinelli fosse già morto quando esce dalla finestra della questura; che si tratti di un lapsus freudiano?, N.d.R.) proprio sotto la finestra, rimbalzava e cadeva più morbidamente sulla terra mossa di un'aiuola.
Immediatamente soccorso (l'ambulanza è stata chiamata prima  dell'ora della caduta, N.d.R.) e condotto con una lettiga al pronto soccorso del Fatebenefratelli, Giuseppe Pinelli vi arrivava cadavere. Con un massaggio al cuore i medici lo rianimavano per quasi mezz'ora. Ma è stato un miracolo tecnico inutile. Giuseppe Pinelli ha portato nella tomba il "perché" del suo folle gesto. Gli inquirenti non hanno avuto la sua confessione. Pesanti indizi, forse anche qualche prova molto indicativa e determinante. Ma le più schiaccianti contestazioni non gli erano state fatte. Si è ucciso sotto il peso di una colpa che non gli concedeva tregua? Si è gettato nel vuoto per disperazione o rimorso? Certo che "pulito" probabilmente non lo era...