CLAMOROSO COLPO DI SCENA NELLE INDAGINI SUI TERRORISTI
UN ANARCHICO
si è ucciso
e altri due
sono a S. Vittore
Il morto è Giuseppe Pinelli
di 41 anni: abitava a Milano in via Preneste 2, era sposato con due figlie
- Lavorava come ferroviere allo scalo di Porta Garibaldi - Fermato dopo
la strage aveva fornito un alibi risultato falso - Al momento decisivo
dell'interrogatorio si è buttato da una finestra al 4° piano
nel cortile della Questura Centrale: erano le 23.50 - Un'ora dopo è
spirato all'ospedale - Gli altri due fermati sono pure anarchici.
Un anarchico, fermato per accertamenti
sulla strage di Piazza Fontana, si è ucciso questa notte nella sede
della centrale di Polizia di via Fatebenefratelli. Altri due anarchici
si trovano ancora a S. Vittore e sono al centro delle indagini. Questa
la sensazionale svolta che nelle ultime ore ha impresso un nuovo ritmo
alle operazioni di ricerca dei responsabili dell'eccidio della Banca Nazionale
dell'Agricoltura.
Il suicida è un ferroviere
milanese, Giuseppe Pinelli, di 41 anni. E' morto alle 1.40 di stanotte.
Al Pronto Soccorso del Fatebenefratelli dove lo avevano portato pochi minuti
dopo il drammatico volo dal quarto piano della Questura, il medici lo hanno
sottoposto al massaggio cardiaco per oltre un'ora. Il cuore aveva ripreso
a battere con una certa frequenza, e c'era ancora una speranza che potesse
salvarsi.
Le ferite riportate nella caduta
dalla finestra del quarto piano con tuffo di venti metri erano così
gravi che il trapasso dell'anarchico sarebbe stato comunque questione di
ore.
La notizia del luttuoso episodio
avvenuto in Questura è stata oggetto di una conferenza stampa che
il dottor Guida (direttore del confino di Ventotene durante il regime fascista,
carceriere di molti antifascisti tra cui Pertini, N.d.R.) ha tenuto
verso le 2.30 affiancato dal dottor Allegra capo dell'ufficio politico,
dal dottor Calabresi che durante la notte stava interrogando il Pinelli
assieme al tenente dei carabinieri Lo Grano, a due sottufficiali della
polizia e a uno dei carabinieri.
Giuseppe Pinelli, sposato con
Licia Rognini, una donna intelligente e volitiva, che aiutava il bilancio
familiare eseguendo lavori di copiatura a casa, aveva due figlie, due belle
bambine di 9 e 8 anni e abitava in via Preneste 2, oltre San Siro. Faceva
il frenatore allo scalo delle ferrovie della stazione Garibaldi. Era stato
fermato venerdì sera, cinque ore dopo il terrificante e barbaro
attentato alla Banca Nazionale dell'Agricoltura di Piazza Fontana 4. L'ufficio
politico lo teneva sotto controllo da diversi mesi, da quando, cioè,
si erano verificati gli attentati alla Fiera Campionaria, alla stazione
Centrale e in numerose altre città d'Italia.
Alto un po' più della
media, robusto, il volto incorniciato da una barbetta romantica, Giuseppe
Pinelli era noto negli ambienti della Questura. Quando scoppiava qualche
ordigno, la pratica "Giuseppe Pinelli anarchico individuale"(sic!) saltava
subito sul tavolo del funzionario. E gli agenti andavano a prenderlo. Così
è stato anche venerdì verso le venti. I poliziotti a caso
non lo avevano trovato, ma sapevano dove rintracciarlo. Al circolo anarchico
della Ghisolfa. Era seduto al tavolo con alcuni compagni. (in realtà
Pinelli venne fermato vicino la sede anarchica di via Scaldasole; questo
particolare, ed altri, fanno pensare che, probabilmente il "cronista"
ha confezionato l'articolo sotto dettatura , N.d.R.).
Non si era mostrato sorpreso
e aveva seguito gli agenti tranquillamente. Nel passato, a suo carico,
non erano state trovate prove inconfutabili che avesse fatto parte delle
squadre attive terroristiche (quali squadre?, N.d.R.). Rispondeva
agli interrogatori con calma, pacatezza e a volte sarcasticamente.
In questi tre giorni di permanenza
in camera di sicurezza (il fermo di Pinelli era illegale: non solo non
c'era una sola prova contro di lui, ma non avrebbe potuto durare più
di due giorni la permanenza in questura, N.d.R.) Giuseppe Pinelli non aveva
mostrato particolari titubanze. Ha detto il questore dottor Guida: " Su
di lui avevamo dei sospetti che, in seguito, si erano fatti più
pesanti perché il suo alibi era saltato (falso!, N.d.R.). Il Pinelli
aveva detto che venerdì 12 dicembre aveva lavorato fino alle 8 del
mattino. Riposatosi fino alle 14.30 si sarebbe poi recato in un bar
dove sarebbe rimasto fino alle 17.30 . Ma le sue dichiarazioni erano state
smentite dal barista il quale ci aveva affermato che il Pinelli era sì
stato nel locale verso le 14.30, ma si era fermato un minuto o poco più,
giusto il tempo di bere un caffè. Ma non è stata solo questa
contestazione a farlo crollare. Era fortemente indiziato non solo per venerdì,
ma anche per una serie di attentati compiuti sui treni in Italia nel mese
di agosto. Il gesto di Pinelli certo a noi non fa piacere.
L'anarchico era stato condotto
nell'ufficio del dottor Calabresi verso le 22 e dentro ad aspettarlo, c'era
anche il tenente dei carabinieri Lo Grano con un sottufficiale dell'arma
e due della polizia.
Più che un serrato fuoco
di fila di domande il Pinelli veniva sottoposto a normali contestazioni
che tendevano a chiarire importantissimi particolari. Sono sono probabilmente
state queste precise domande (quali?, N.d.R.) a far scattare nella mente
del Pinelli l'idea del suicidio quale unica possibilità "liberatrice"
da una situazione che stava aggravandosi e che poteva inchiodarlo con le
spalle al muro con pesantissime responsabilità. "Sei stato tu, confessalo".
"Tu conosci gente di questo gruppo X dillo e falla finita ormai sappiamo
molte cose". Domande che, legate a quattordici vittime e a 90 feriti avranno
senz'altro indotto Giuseppe Pinelli a ritenere che la polizia avesse tra
le mani prove e indizi che potevano annientarlo.
Ma, come ha detto il dottor
Calabresi, con Pinelli si stava più discutendo che effettuando un
massacrante interrogatorio. Lo si voleva lasciare con pause volute di silenzio
e di tempo libero affinché pensasse. Una battaglia psicologica,
condotta sul filo del tempo, preparata con sottigliezza dalle domande degli
inquirenti. Ed è stato verso le 23.50 che il dottor Calabresi e
il tenente Lo Grano si sono allontanati dall'ufficio per mettere al corrente
del loro lavoro il dottor Allegra, capo dell'ufficio politico. Nella stanza
rimanevano Giuseppe Pinelli e i tre sottufficiali. Un' atmosfera tesa,
ma, se così si può dire, paradossalmente tranquilla.
Un sottufficiale offriva a Giuseppe
Pinelli una sigaretta che l'anarchico accettava e accendeva con mano sicura.
Da molte ore quegli uomini fumavano in quella stanza. La finestra veniva
socchiusa per consentire un lento ricambio dell'aria troppo viziata e anche
surriscaldata. Mancavano pochi minuti alla mezzanotte. Un sottufficiale
si metteva accanto alla porta, gli latri si sgranchivano le gambe. Il gesto
di Pinelli è stato fulmineo e coglieva tutti di sorpresa, impedendogli
qualsiasi tentativo di bloccarlo. Alzatosi di scatto l'anarchico raggiungeva
con un balzo felino la finestra, la spalancava e si gettava a capofitto.
Il corpo finiva su una pianta (chi non condivide la "tesi"
del suicidio sostiene che Pinelli sia stato ucciso nella stanza dell'interrogatorio
per poi gettare il corpo dalla finestra per simulare il suicidio
dell'anarchico, ebbene il "cronista" della "Notte", involontariamente,
avvalora la tesi dell'assassinio, infatti, per tutto l'articolo egli
parla dell'anarchico chiamandolo con nome e cognome, ma quando si tratta
di descrivere il volo dalla finestra usa il termine il corpo
come se Pinelli fosse già morto quando esce dalla finestra della
questura; che si tratti di un lapsus freudiano?, N.d.R.) proprio sotto
la finestra, rimbalzava e cadeva più morbidamente sulla terra mossa
di un'aiuola.
Immediatamente soccorso (l'ambulanza
è stata chiamata prima dell'ora della caduta, N.d.R.)
e condotto con una lettiga al pronto soccorso del Fatebenefratelli, Giuseppe
Pinelli vi arrivava cadavere. Con un massaggio al cuore i medici lo rianimavano
per quasi mezz'ora. Ma è stato un miracolo tecnico inutile. Giuseppe
Pinelli ha portato nella tomba il "perché" del suo folle gesto.
Gli inquirenti non hanno avuto la sua confessione. Pesanti indizi, forse
anche qualche prova molto indicativa e determinante. Ma le più schiaccianti
contestazioni non gli erano state fatte. Si è ucciso sotto il peso
di una colpa che non gli concedeva tregua? Si è gettato nel vuoto
per disperazione o rimorso? Certo che "pulito" probabilmente non lo era...