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I NEOFASCISTI
Noi crediamo che non si debba dimenticare che cosa sia stato il fascismo e perche'sia stato giusto prendere le armi contro di esso.Ed e' a questo scopo che proponiamo la lettura dei documenti che seguono.
Si tratta di due articoli tratti da "La difesa della razza", un giornale del regime fascista che era portavoce del razzismo piu' estremo, quel razzismo che e' alla base dell'olocausto, dello sterminio di milioni di persone che avevano la sola colpa di non essere "ariane". L'autore degli articoli e' Giorgio Almirante, tristemente famoso nel dopoguerra per aver fondato e diretto per molti anni il MSI.Il suo pupillo , Fini e' il segretario di AN.
Il fascismo non e' finito, ha solo cambiato volto
NE' CON 98 NE' CON 998
Di Giorgio Almirante.
E' escluso in ogni caso per gli ebrei l'insegnamento nelle scuole di ogni ordine e grado. Il Ministro dell'Educazione Nazionale ha istituito cattedre per gli studi sulla razza nelle principali Universita'.
Il Gran Consiglio.
Occore dire che l'Italia non ha ancora la sua scuola. C'e' stato, in alcuni periodi, l'affermarsi di questo o quel cenacolo di cultura, c'e' stato il fiorire di qualche grande maestro; ma una scuola italiana, da quando l'Italia politicamente esiste, non e' mai esistita.
Siamo rimasti chiusi, dal '61 in qua, in un circolo vizioso, che partiva da una cultura serva di quello straniero da cui le armi ci avevano liberato, per giungere ad una scuola incapace di "far gli italiani"; e da una scuola procedente con metodi e mentalita' estranei al nostro genio, ripiegava su una cultura sempre piu' bastarda.
I grandi nomi di Carducci e di Pascoli polarizzarono sul principio del secolo, l'attenzione di quanti rivolsero il pensiero alle sorti della scuola italiana; si nutri' allora la generosa illusione che un nuovo Umanesimo si affacciasse alle porte dell'Europa e che in Italia se ne trovasse il seme. Ma la nostra scuola, che pure avrebbe dovuto esserne il terreno fecondo, non educava italianamente. Era il tempo in cui il Bertana insegnava che nelle tragedie d'Alfieri nulla c'era che non fosse francese, il tempo in cui il mito di Croce pesava sulla corrente concezione della storia; il tempo di una cultura bastarda, mezza tedesca e mezza francese di una pedanteria verniciata di sufficienza e di "savoir faire".
Il tempo di un avvenierismo impotente, poiche' incapace di affondar le radici nel nostro suolo; il tempo del tradizionalismo di marca peggiore, poiche' riflettente le tradizioni altrui e ben poco delle nostre La guera fece opera santa. La rivoluzione potenzio' quest'opera. Ripulirono, svecchiarono, sveltirono, rinvigorirono la nostra scuola e la nostra cultura: in una parola, dettero la loro sostanza, sostanza di sangue e di volonta', genuina sostanza. Ma abbiamo chiesto troppo alla guerra e alla rivoluzione. Abbiamo atteso da loro, per anni, il miracolo; abbiamo atteso che esse sole ricreassero la cultura e la scuola italiana, quando esse non potevano che contribuire, sia pure con forza gigantesca, alla tanto auspicata creazione, o rinascita.
Ho assistito, ed ho preso parte, in questi ultimi anni, ai convegni dei Littoriali della Cultura e dell'Arte. E sempre ho sentito risuonare sotto forme diverse, la stessa domanda: "puo' una rivoluzione politica sostanziare di se' una nuova cultura?"; o, piu' pressantemente e precisamente: "Avra' il Fascismo la sua cultura? e quando e come l'avra'?"
Erano giovani che si ponevano, in perfetta buona fede, queste domande. Erano giovani che avevan tutta l'aria di attender la risposta da un oracolo divino, poiche' dai banchi delle commissioni - in quanto commissioni" e in quanto formate da uomini necessariamente lontani da questi problemi, che soltanto la giovane generazione sente con drammatica evidenza - una risposta soddisfacente non poteva davvero venire.
Erano giovani che discutevano, e nella discussione esaurivano la loro ansia di sapere; e non si accorgevano che quel discutere era gia' qualche cosa, era talvolta moltop, per la vittoria della causa da essi propugnata; non si accorgevano, parlando di guerra e di rivoluzione come astratte entita', che la guerra erano loro, che la rivoluzione erano loro, che da loro in quanto sanamente e sinceramente fascisti, doveva nascere la nostra scuola, la nostra cultura.
Queste cose, in parte, furon gia' dette: e a taluno forse sapranno d'imparaticcio. Ma furon dette assai male. Non si disse: i giovani hanno il dovere di creare la nostra nuova cultura; ma: la cultura del tempo fascista nascera' dai giovani. Ora, non si tratta di una generazione spontanea, e neppure di faticosissimo parto; poiche' il parto presuppone un ben maturo e ben formato embrione. Si tratta di riconoscer noi stessi, di ricostruire noi stessi; dico noi, tutti, vecchi e giovani, poiche' la giovinezza degli anni non si identifica con la giovinezza dello spirito e della mente; e i nati-vecchi pullulano, purtroppo, ovunque; e anche in casa nostra.
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Il razzismo e' il piu' vasto e coraggioso riconoscimento di se' che l'Italia abbia mai tentato. Chi teme, ancor oggi, che si tratti di un'imitazione straniera (e i giovani non mancano, nelle file di questi timorosi) non si accorge di ragionare per assurdo: poiche' e' veramente assurdo sospettare che un movimento inteso a dare agli italiani una coscienza di razza - cioe' qualche cosa come un nazionalismo potenziato del cinquecento per cento - possa condurre ad un asservimento ad ideologie straniere. Si e' parlato di razzismo spirituale.
Attenzione. Chi parla cosi' ha tutta l'aria di voler rientrare nelle ingloriose file di coloro che, sotto la minaccia delle sanzioni, esaltavano l'imperialismo dello spirito, o, colti dal terrore del manganello, si professavano spiritualmente fascisti.
E' meglio parlare di razzismo integrale, nel quale, come in ogni creazione di Mussolini, teoria e pratica si armonizzano in una chiara e realistica visione dell'umanita'. Si parte dal fatto biologico fondamentale - esistenza della razza italiana - e si giunge al gigantesco fatto politico: esistenza e potenziamento dell'Impero italiano. Ecco un circolo, ma non vizioso; e in esso rientra, come necessario tramite tra scienza e politica, la cultura, la nostra cultura.
Ed e' ora assolutamente necessario, piu' che mai necessario, il sorgere di una nostra scuola.
Abbiamo udito, in questi giorni, in seguito alla totale eliminazione degli ebrei dalle scuole italiane, qualche timido lamento. L'operazione chirurgica e' stata pronta e spietata; e qualche animuccia debole se n'e' spaurita. "Vita Universitaria" - per esempio - organo ufficiale dell'Universita' di Roma - si affretta a riconoscere "che oggi non sara' facile coprire tutte le cattedre con elementi scientificamente ben preparati; e forse, in alcune materie, non sara' possibile per alcuni anni"; e si preoccupa degli " immediati e passeggeri (bonta' sua!) danni" che l'esclusione dei giudei dalle Universita' italiane potra' arrecare.
A parte la discutibilissima inopportunita' di simili affermazioni, oggi che tanto si parla di un necessario prestigio di razza; vorremmo sapere quale ne sia la fondatezza.
Due, infatti, sono i casi. O la questione razziale, in Italia, vien concepita come un semplice avvicendarsi di posti e di cariche; e allora pur deplorando nell modo piu' vivo chi cosi' la concepisce - siamo disposti a concepire le ansie indicibili di quei poveri Rettori che di punto in bianco son costretti a sostituire 98 (diconsi novantotto) chiarissimi titolari di altrettante cattedre. O si capisce, e pre un Rettore non dovrebbe esser troppo lo sforzo, che l'impostazione del problema razzista implica il totale risanamento della Nazione dai germi che tentavano corromperla, e allora non ci si dovrebbe avvilire, come italiani, come fascisti e come professori, a chiamar danno - sia pure "passeggero" - quella che e' una salutare, una benedetta liberazione. Supponiamo, per assurdo, il peggiore dei casi.
Supponiamo che non solo quei 98 non siano - come fa supporre "Vita universitaria" e come ci rifiutiamo di credere - degnamente sostituibili; ma che non siano sostituibili affatto.
Supponiamo che, per dannata ipotesi, non un assistente, non un incaricato, non un libero docente sia in grado di salire su una di quelle 98 cattedre. Ebbene? Avra' perduto qualcosa per questo, la nostra cultura? No; perche' quei 98 professori erano ebrei, quindi non erano italiani, quindi non appartenevano che in apparenza, ai puri e semplici effetti amministrativi, alla scuola italiana. Erano un corpo gia' avulso da quello della nostra vita culturale; adesso tale separazione e' stata sanzionata dalla legge. Ed e' divenuto legalmente necessario colmare dei vuoti che culturalmente e politicamente gli interessati avrebbero dovuto provvedere a colmare gia' da un pezzo.
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Siamo dunque all'alba di una nuova scuola italiana. Sara', finalmente, la nostra scuola? Le condizioni necessarie ci sono; Perche' intervengano anche le sufficienti, e la gran macchina si metta in moto, occorre che, per quel che concerne i nuovi insegnamenti e i nuovi insegnanti nelle Universita' italiane, non si proceda con la tecnica dell'intarsio, inserendo il nuovo nel vecchio, , in modo da creare, con nomi nuovi, una situazione in tutto simile alla precedente. E' un grande, un arioso affresco murale, quello che dobbiamo dipingere; e raschiata a dovere la parete da tutti i residui del passato, bisogna su di essa far sorgere, far vivere , l'armonia mirabile di una scuola italiana, in tutta l'altezza del termine.
Il Ministro dell'Educazione ha annunciato l'istituzione di cattedre di razzismo in tutte le facolta' universitarie. Il provvedimento e' salutare.
Ma non puo' essere che un primo provvedimento. In quel modo, infatti, gli studenti in Lettere, i futuri professori - quelli da cui, in fin dei conti, dipende l'avvenire, della scuola italiana - potranno penetrare i principi razzisti, e farsene gli assertori; se si continuera' a insegnar loro la storia letteraria, la nostra storia letteraria, alla maniera di Croce; se dalle cattedre di storia si continuera' a presentare l'Impero romano come un fenomeno europeo e il nostro risorgimento come un portato della Rivoluzione francese? Come potranno gli studenti di diritto intender la portata delle nuove leggi razziste se il problema della cittadinanza verra' loro presentato alla maniera tradizionale (e non nostra)? Come potranno i futuri medici comprendere le basi scientifiche del razzismo, se i santoni della biologia nazionale non desisteranno dal predicar loro in nome di principi fondamentalmente antirazzisti?
Lo stesso discorso vale - naturalmente - per i libri di testo. A proposito dei quali occorre por mente a due gravissimi pericoli. Il primo e' che gli autori ebrei cacciati dalla porta rientrino dalla finestra, attraverso un semplice mutamento di nomi sulle copertine; il che - tanto perche' non ci si accusi di correre all'assalto dei mulini a vento - si e' gia' verificato ed e' gia' stato segnalato, sul "Tevere".
Il secondo e' che non si faccia, e sollecitamente, la necessaria pulizia anche fra i libri di autori ariani. Era in atto un processo di ebraizzazione della scuola italiana; e lo si e' tempestivamente troncato. Troncato alla radice; ma alcune propaggini - quelle costituite dai cosiddetti ebraizzati - sono rimaste in vita e a vivere, e peggio, a generare, continueranno, se non si provvede in tempo.
La scuola italiana non si fa con 98 nuove cattedre, ne' con 998.
Si fa mettendo l'italianita' alla base di ogni insegnamento.
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