Questa guerra è ingiusta perché è una guerra

Tra Saddam e Wolfowitz di Noam Chomsky



Chiunque si preoccupi un minimo dei diritti umani e della giustizia dovrebbe essere felice della cattura di Saddam Hussein, e dovrebbe aspettare con ansia che sia giudicato da un tribunale internazionale. Saddam dovrebbe essere processato per atrocità come l'eccidio dei curdi del 1988 ma anche, e soprattutto, per il massacro degli sciiti che avrebbero potuto rovesciare il suo regime nel 1991. All'epoca, Washington e i suoi alleati avevano 'un'unanime convinzione: quali che fossero le sue colpe, il leader iracheno dava più garanzie di quelli che avevano subìto la sua repressione', scriveva Alan Cowell sul New York Times. Lo scorso dicembre, il ministro degli esteri britannico Jack Straw ha reso pubblico un dossier sui crimini di Saddam che si riferiva quasi interamente al periodo in cui gli Stati Uniti e la Gran Bretagna lo sostenevano con decisione. Ovviamente il rapporto non citava questo sostegno. Questi comportamenti riflettono un difetto radicato nella nostra cultura. A volte viene chiamato 'dottrina del cambiamento di corso' e gli Usa l'invocano ogni due o tre anni. La dottrina consiste nel dire: 'Certo, in passato abbiamo commesso degli errori per ingenuità o superficialità. Ma ora è tutto cambiato, non perdiamo tempo a discutere di queste faccende noiose'. È una dottrina disonesta e vigliacca, ma ha i suoi vantaggi: ci difende dal pericolo di capire cosa sta succedendo sotto i nostri occhi. Gli idealisti senza passato Per esempio, il motivo dichiarato dall'amministrazione americana per entrare in guerra contro l'Iraq era quello di voler salvare il mondo da un tiranno che produceva armi di distruzione di massa e aveva rapporti con il terrorismo. Ora nessuno ci crede più. La nuova spiegazione è che abbiamo invaso l'Iraq per riportare la democrazia in quel paese e per democratizzare l'intero Medio Oriente. A volte la ripetizione di questa tesi raggiunge un livello di rapito entusiasmo. Il mese scorso, per esempio, il commentatore del Washington Post David Ignatius ha definito l'invasione dell'Iraq 'la più idealistica delle guerre moderne'. Ignatius è rimasto colpito da Paul Wolfowitz, 'il più idealista dell'amministrazione Bush', descritto come un vero intellettuale 'il cui cuore sanguina per l'oppressione del mondo arabo e sogna di liberarlo'. Forse questo può aiutarci a capire la carriera di Wolfowitz. Quando era ambasciatore in Indonesia durante la presidenza Reagan, appoggiò il dittatore Suharto ' uno dei più brutali sterminatori del secolo. Come responsabile del dipartimento di stato per gli affari asiatici, Wolfowitz organizzò il sostegno a feroci dittatori come Chun, in Corea del Sud, e Marcos, nelle Filippine. Ma tutto ciò diventa irrilevante in base alla comoda dottrina del cambiamento di corso. Il cuore di Wolfowitz sanguina per le vittime dell'oppressione, e se la sua storia dimostra il contrario è solo acqua passata. Il capitolo più recente della carriera di Wolfowitz è il suo rapporto Determination and findings sui generosi appalti per la ricostruzione dell'Iraq, da cui sono stati esclusi tutti i paesi che hanno osato assumere la posizione della maggioranza dei loro cittadini. Wolfowitz ha giustificato la decisione 'per motivi di sicurezza', motivi che non riusciamo a vedere. Ora le multinazionali americane Halliburton e Bechtel saranno libere di 'competere' in Iraq con le vivaci democrazie dell'Uzbekistan e delle Isole Salomone, ma non con quelle dei paesi più industrializzati. L'elemento più importante è il fatto che il disprezzo per la democrazia mostrato da Washington è stato accompagnato da un coro di elogi per il suo desiderio di democrazia. Essere riusciti a ottenere un risultato del genere è un'impresa ammirevole, difficile perfino per uno stato totalitario. Gli iracheni conoscono bene il rapporto tra conquistatori e conquistati. Gli inglesi crearono l'Iraq a proprio beneficio. Era la politica delle 'facciate arabe' ' creare regimi deboli possibilmente parlamentari, che in realtà consentissero agli inglesi di governare. Chi si sarebbe mai aspettato che gli Stati Uniti avrebbero permesso la nascita di uno stato indipendente iracheno, soprattutto ora che si sono riservati il diritto di creare basi militari permanenti nel cuore della regione che produce la maggiore parte del petrolio del mondo, e hanno imposto un regime economico che nessuno stato sovrano accetterebbe mai, mettendo il paese in mano a grandi aziende occidentali' Nel corso della storia, le azioni più indegne e vergognose sono state sempre accompagnate da dichiarazioni di nobili intenti, e dalla retorica della libertà. Se fossimo onesti, non potremmo che confermare il commento di Thomas Jefferson sulla situazione dei suoi tempi: 'Non crediamo che Bonaparte abbia combattuto semplicemente per la libertà dei mari, più di quanto crediamo che l'Inghilterra stia combattendo per la libertà dell'umanità. L'obiettivo è sempre lo stesso: conquistare il potere, la ricchezza e le risorse di altri paesi'.
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L'articolo che segue non è recentissimo, ma ci è parso comunque utile pubblicarlo.

Il futuro dell'Iraq in vendita
di Herbert Docena
Il 23 e il 24 ottobre, a Madrid gli Stati Uniti prenderanno parte alla Conferenza Internazionale di Donatori per l'Iraq. Vi parteciperanno anche i ricchi Paesi creditori, il Fondo Monetario Internazionale (FMI) e la Banca Mondiale (BM). Il FMI, la Banca Mondiale e le Nazioni Unite avevano già previsto che le spese per la ricostruzione dell' Iraq per i prossimi quattro anni sarebbero state pari a 36 miliardi di dollari, oltre ai 19 miliardi per altre spese non militari calcolati dal regime di occupazione americano(1). Con poche altre possibilità, gli americani opteranno per una colletta. Banca Mondiale e le Nazioni Unite avevano già previsto che le spese per la ricostruzione dell' Iraq per i prossimi quattro anni sarebbero state pari a 36 miliardi di dollari, oltre ai 19 miliardi per altre spese non militari calcolati dal regime di occupazione americano(1). Con poche altre possibilità, gli americani opteranno per una colletta. Questo incontro potrebbe essere un punto di svolta dell'occupazione, perchè, o gli Stati Uniti riusciranno a racimolare qualcosa, o non potranno piè permettersi di restare in Iraq. D'altro canto, la decisione dei paesi donatori di tirare fuori i soldi dipende da se questa appropriazione economica di un paese occupato da unilaterale diventerà multilaterale. Il petrolio non c'entra niente Gli Stati Uniti sono ora costretti a far ricorso ai Paesi creditori, inclusi Francia e Germania, paesi oppositori della guerra, e agli Istituti Finanziari Internazionali (IFI), perchè non sanno dove altro andare. In un primo momento gli Stati Uniti avevano due opzioni: andare dai contribuenti iracheni, o da quelli americani. Un paio di settimane dopo l'annuncio di Bush della fine delle ostilità in Iraq, gli Stati Uniti hanno fatto in modo di far passare la Risoluzione ONU n. 1483, che ha creato il cosiddetto Fondo di Sviluppo delle Nazioni Unite. Con questo fondo, tutti gli introiti, passati e futuri, del petrolio iracheno, e i beni di proprietà dell'ex governo iracheno sparsi in tutto il mondo, sarebbero messi sotto il diretto controllo degli Stati Uniti, come deciso dal FMI e dalla BM, due istituzioni in cui gli Stati Uniti hanno un potere considerevole. La risoluzione è passata al Consiglio di Sicurezza dell'ONU perchè gli Stati Uniti hanno rassicurato Russia, Francia e Cina che tutti i contratti da loro firmati sotto il programma petrolio in cambio di cibo durante le sanzioni al regime, saranno onorati dalle autorità di occupazione e da qualunque futuro governo ad interim.(2) Il Fondo di Sviluppo vuole finanziare la riabilitazione di tutto quello che è stato distrutto dalla guerra. Comunque, la scelta delle società di intraprendere la ricostruzione finora è stata riservata esclusivamente agli Stati Uniti. E siccome molti contratti sono negoziati su una base cost-plus , il prezzo della "ricostruzione" è tutto nelle mani della società che se ne occupa. In altre parole, i fondi che saranno dati alla Kellog, Brown & Root per riparare i pozzi di petrolio e i macchinari iracheni, ad esempio, saranno finanziati dagli introiti del petrolio iracheno a un prezzo deciso proprio dalla Kellog, Brown & Root. Pagare per essere derubati? Oltre che per finanziare la ricostruzione, il Fondo servirà agli USA anche per emettere obbligazioni del governo statunitense e per finanziare direttamente gli investimenti delle società1 in Iraq. Secondo un comunicato stampa della US Export and Import Bank, che ha il compito ufficiale di promuovere gli affari americani oltreoceano, il Fondo sarà anche usato per prestare denaro a quelle compagnie americane che vogliono fare affari in Iraq. Le banche private che non vogliono correre rischi non concederebbero volentieri un prestito a chi vorrebbe investire in Iraq, paese ormai logorato dalla guerra. Ma grazie al Fondo di Sviluppo, ci saranno molti soldi per le persone coraggiose, avventurose o semplicemente a caccia dell'affare.(3) E in Iraq ci sono molti affari. Il Ministro delle Finanze del Consiglio di Governo iracheno al-Kelani, accuratamente scelto dagli stati Uniti, ha annunciato lo scorso 21 settembre che tutti i beni e le società statali irachene, esclusa l'industria del petrolio, saranno liquidate. Gli acquirenti avranno diritto al 100% della proprietà del loro acquisto, pieno rimpatrio dei profitti e tassazione minima (4). Vista l'attuale condizione irachena, i prodotti in offerta saranno molto economici. Ma tra un paio d'anni, cià che è stato comprato a prezzi molto bassi, usando gli introiti del petrolio iracheno, potrà essere venduto con un buon guadagno. Usare i beni iracheni per la ricostruzione significa che gli Iracheni stessi pagheranno per ricostruire cià che gli americani hanno distrutto. Questa è una violazione della Convenzione di Ginevra, che sancisce inequivocabilmente che assistenza umanitaria, sussidi, ricostruzione e altre spese per lo sviluppo sono obbligo morale e giuridico delle forze di occupazione. Usare i soldi iracheni per finanziare il progetto di massiccia privatizzazione del loro sistema economico, implica che gli stessi iracheni pagheranno le società statunitensi perchè comprino i loro beni. Petrolio inaffidabile Ma il petrolio iracheno, anche se decisamente abbondante, non è sufficiente, almeno per il momento. Per il dispiacere di chi ha voluto questa guerra, il petrolio dei pozzi iracheni è bastato solo a riempire circa un milione di barili al giorno, molto meno di quanti ne erano stati previsti dagli Stati Uniti (5).Gli analisti dicono che ci vorrebbero ancora diciotto mesi prima che la produzione possa raggiungere il livello del periodo prebellico, tre milioni di barili al giorno, e che ci vorrà ancora piè tempo per superarlo. E se il ritmo dei sabotaggi agli oleodotti non diminuisce, a questo bisogna aggiungere ancora un paio d'anni. Notizia peggiore è che le grandi multinazionali del petrolio si tengono a distanza. "Deve esserci una sicurezza adeguata, un'autorità legittima e un processo legittimo. con i quali potremmo negoziare accordi che durerebbero anni." Ha detto Sir Philip Watts, presidente della Royal Dutch/Shell. Quando ci sarà un'autorità legittima in Iraq, noi lo sapremo e la riconosceremo(6)". Dal comportamento dell'industria petrolifera si vedrà se Watts considera legittimo il Consiglio di Governo iracheno scelto dagli Stai Uniti, di cui un membro è già stato ucciso dalla resistenza. Nel tentativo di risolvere i propri problemi di liquidità, gli Usa stanno pensando di trasformare i prossimi introiti del petrolio iracheno in titoli trasferibili che oggi potrebbero essere venduti a prezzi scontati (7). Ci sono tutti i presupposti perchè questa sia una misura controversa, non solo perchè cià potrebbe voler dire che gli Stati Uniti resteranno nel Paese per molto tempo, ma anche perchè, come è successo per altre decisioni, pone il problema di se gli Stati Uniti hanno il diritto di prendere delle decisioni che di solito sono riservate ai governi legittimi e sovrani. Il piè importante dibattito sulla sicurezza nazionale Se l'invasore non puà contare sul paese invaso per finanziare l'occupazione, allora potrà sicuramente contare sui propri contribuenti, visto che l'invasione è stata fatta soprattutto nel loro interesse. Non in questo caso. L'amministrazione Bush ha appena apportato un taglio di 1,8 mila miliardi di dollari alle tasse dei contribuenti piè ricchi, ma non puà permettersi di spendere 20 miliardi di dollari per il popolo che ha appena liberato. Proprio la scorsa settimana, i repubblicani hanno invalidato i tentativi dei democratici di finanziare la guerra aumentando le tasse ai contribuenti piè benestanti (8), parte dei quali trarrà un buon profitto dal boom post-bellico in Iraq. Il vicepresidente Dick Cheney, che si dice abbia spinto l'intelligence a ingigantire le scoperte in Iraq, ha ancora interessi finanziari all'interno della società Halliburton, secondo quanto è stato dichiarato ufficialmente dal Servizio informativo del Congresso (9). Questi tagli alle tasse e le spese di guerra sempre piè alte dovrebbero essere messe nel contesto del deficit di bilancio e della bilancia commerciale, che sta affrontando attualmente la debole economia statunitense. Il deficit della bilancia commerciale tocca ora i pericolosi cinque punti percentuali e sta ancora aumentando. Il buco di bilancio è stato una veloce inversione di tendenza rispetto al trend positivo degli anni passati. A un livello di cinque miliardi di dollari il mese, il costo mensile dell'occupazione irachena, esclusa la ricostruzione, si sta già avvicinando a quello del Vietnam. (10) Se Bush non è ancora stato politicamente rovinato dalle armi di distruzione di massa che devono ancora essere trovate, o dal problema della fuga di notizie dell'intelligence, potrebbe essere proprio la questione del finanziamento a fargli perdere il controllo sul legislativo. Ai democratici è data la possibilità di aprire un dibattito al Congresso proprio dalla richiesta di finanziamenti da parte di Bush, che non si è rivelata essere proprio una passeggiata. Sarebbe "il dibattito piè importante sulla sicurezza nazionale avuto in questa generazione"(11). é un dibattito in cui Bush potrebbe non spuntarla. Toccate il loro petrolio ma non le nostre tasse. I politici americani, soprattutto quelli del partito al potere, tremano all'idea che gli Stati Uniti devono pagare per sistemare proprio quello che hanno distrutto in Iraq. I repubblicani sono convinti che gli Stati Uniti non abbiano alcun obbligo nei confronti degli iracheni e che i fondi americani usati per la ricostruzione del paese devono essere considerati prestiti, non donazioni. In effetti, se questa proposta dovesse essere approvata, e le possibilità sono molte, gli iracheni prenderanno del denaro in prestito dagli Stati Uniti, e vi pagheranno le società statunitensi che ricostruiranno praticamente tutto il loro Paese, dalle strade alle scuole, ai generatori elettrici. Usando il denaro preso in prestito dagli americani, gli iracheni pagheranno quelle stesse società che non avrebbero guadagnato nulla se non ci fosse stata la guerra in Iraq. Il senatore Byron Dorgan, che probabilmente non è stato informato in modo adeguato sulla situazione petrolifera, insiste dicendo che gli USA "non dovrebbero farsi carico dell'intero peso" L'Iraq ha petrolio a sufficienza per pagare parte degli oneri della ricostruzione.(12)" Il segretario della difesa Donald Rumsfeld è piè risoluto. "Non credo che sia nostro compito ricostruire quel paese dopo trent'anni di controllo centralizzato di tipo stalinista." Ha detto, come se i danni non avessero niente a che fare con i missili cruise e l'embargo decennale. "Le infrastrutture di quel paese non sono state danneggiate in nessun modo dalla guerra" sostiene Rumsfeld. (13) Comunque se i contribuenti non pagheranno il conto della guerra, sarebbe un disastro. Avendo calcolato il costo della guerra e della ricostruzione, William Nordhaus, economista della Yale University, aveva avvertito molto prima della guerra che "se i contribuenti americani si rifiuteranno di pagare il conto per assicurare un lungo periodo di prosperità all'Iraq, l'America probabilmente si lascerà dietro montagne di macerie e un gran numero di persone adirate.(14)" Pagare per la democrazia Ma per ora gli Stati Uniti non se ne vanno. Avendo chiesto fondi al popolo iracheno, ora liberato, e agli ipotetici liberatori, i contribuenti americani, e non avendo ancora abbastanza soldi, ora gli Stati Uniti si rivolgeranno alle Nazioni Unite, ai ricchi paesi creditori e alle istituzioni finanziarie internazionali (IFI), per far soldi alla svelta. In una bozza di risoluzione ONU che è stata proposta dal Consiglio di Sicurezza me che è stata censurata dal solitamente arrendevole Segretario Generale Kofi Annan, gli Stati Uniti "fanno appello agli Stati membri e alle IFI per intensificare gli sforzi per assistere il popolo iracheno nella ricostruzione e nello sviluppo della sua economia". Inoltre "invitano gli Stati membri e le organizzazioni coinvolte a soddisfare i bisogni del popolo iracheno, fornendo le risorse necessarie per il ripristino e la ricostruzione delle infrastrutture economiche irachene." La stessa risoluzione chiede anche alle Nazioni Unite di finanziare il processo elettorale iracheno. "Si chiede al Segretario Generale di garantire che le risorse delle Nazioni Unite e delle organizzazioni associate siano disponibili su richiesta del Consiglio di Governo iracheno per istituire in Iraq un sistema elettorale.". Questa guerra è stata fatta per donare agli iracheni la democrazia, ha precedentemente detto Bush. Con questa risoluzione, gli Stati Uniti stanno ora chiedendo agli altri di pagare per questo regalo. Una fetta di torta Le ultime relazioni comunque indicano che gli Stati Uniti si sono imbattuti in un'opposizione cos³ ferma da parte dell'ONU che ora stanno pensando di abbandonare del tutto la risoluzione.(15) Questo lascia agli Stati Uniti solo l'opzione di Madrid. A Madrid, gli Stati Uniti cercheranno di corteggiare sia i paesi che si erano opposti all'invasione sia le IFI, come la Banca Mondiale, che si è vantata del suo ruolo di finanziare la ricostruzione di zone colpite da conflitti come il Mozambico, l'Uganda, Timor Est, e la Palestina - raccogliendone i frutti sotto forma di pagamento di interessi. Nel chiedere i fondi, gli Stati Uniti hanno solo bisogno di convincere questi paesi e queste istituzioni che il loro denaro sarà speso bene. Finora, la situazione non sembra incoraggiante. Ai primi di ottobre, si era detto che l'Unione Europea stava pensando di dare solo 250 miseri milioni di dollari, che non sono neanche l'1% del totale richiesto e stando a quel che si dice i funzionari americani sono scioccati dalla cifra. Da parte sua , il Canada sta disponendo di dare 200 milioni di dollari. (16) Sembra che solo il Giappone darà una somma relativamente alta, cinque miliardi di dollari; i giapponesi sono stati molto schietti per quanto riguarda le loro ragioni: hanno fiducia nel petrolio mediorientale.(17) Tuttavia, se mettiamo insieme tutte queste cifre, abbiamo ancora una cifra insignificante se paragonata ai 36 miliardi di dollari richiesti. Questa situazione potrebbe comunque cambiare con una semplice promessa. "Dovete offrirgli una fetta di torta." Ha consigliato il politico francese ed ex rappresentante speciale delle Nazioni Unite in Kosovo Bernard Kouchner. (18) Con cento miliardi di dollari o piè in ballo - è uno dei programmi di ricostruzione piè redditizi da decenni(19) - si dovrà dividere una grande torta. Non è un ballo di beneficenza Stando al Wahington Post, Germania, Francia e altri potenziali donatori hanno detto a lungo che daranno i loro soldi solo se le loro società avranno qualche opportunità in piè di poter partecipare alla multimiliardaria ricostruzione postbellica in Iraq. Saranno piè disposti a tirar fuori i soldi se gli verrà assicurato che le loro società in Iraq non saranno tenute fuori dalle società statunitensi.(20) In altre parole, i potenziali donatori a Madrid firmeranno assegni solo se verrà assicurato alle loro società di essere invitate al taglio della torta. Finora, si sono accontentati solo delle briciole. Le leggi americane sull' approvvigionamento decretano che i contratti governativi per l'Iraq possono essere affidati solo alle società statunitensi che, a loro volta, sono libere di subappaltare, se lo ritengono utile. Decine e decine di società di tutto il mondo hanno ricoperto la Halliburton e la Bechtel di offerte di subappalto, nelle direzioni generali ma anche negli uffici in Medio Oriente di queste due società.(21) Questo è il metodo utilizzato finora dalle società non americane per partecipare all'azione. Questa attuale divisione del bottino comunque potrebbe cambiare, se alcuni governi riusciranno a battersi per avere piè concessioni in cambio di denaro per lo sforzo dell'occupazione. Di sicuro, i paesi creditori insisteranno per avere un buon vantaggio dai loro soldi. L'incontro di Madrid non sarà un ballo di beneficenza. Unilaterale o multilaterale? I soldi che porteranno a Madrid i negoziatori dei governi donatori, comunque, non saranno i loro e neanche quelli delle società, ma quelli dei loro contribuenti. L'incontro di Madrid è un tentativo degli USA di passare la patata bollente dai contribuenti americani a, per dire, quelli francesi giapponesi e tedeschi. Chiedere prestiti al Fondo monetario internazionale e alla Banca mondiale per conto del popolo iracheno passerà i debiti alle future generazioni irachene, che quindi saranno indebitate con le IFI e saranno soggette alle loro condizioni. Dal peso che sosterranno loro, altri trarranno profitti. Se gli Stati Uniti continueranno a credere che l'occupazione irachena continui ad essere redditizia, dipende da quanto segue: quanto velocemente i pozzi petroliferi iracheni potranno tornare a produrre soldi, la volontà dei contribuenti americani di separarsi dai loro soldi e la sollecitudine dei paesi donatori di versare fondi. Gli iracheni non figurano in nessun modo nell'equazione. Fare affidamento sul petrolio oggi è praticamente impossibile. In questo quadro, la seconda possibilità potrebbe ancora essere valida, ma non per Bush, vista la sua fama di campione in tagli alle tasse dei ricchi e visto che l'economia sotto la sua presidenza è debole e tormentata dal deficit. Quindi la terza potrebbe essere l'unica opzione disponibile rimasta. Ma la possibilità che i donatori diano miliardi di dollari, a sua volta, sembra dipendere esclusivamente da se gli Stati uniti chiuderanno la loro stretta presa sulle possibilità di fare affari in Iraq o se la allenteranno. Il problema di Madrid quindi è se questa continuerà ad essere un'appropriazione di risorse unilaterale o multilaterale. E siccome i paesi donatori daranno i soldi dei loro contribuenti, il problema a Madrid sarà anche se i contribuenti di tutto il mondo vorranno - di fronte alla riluttanza dei liberatori - finanziare quest'appropriazione multilaterale. Una cosa è sicura: l'unica cosa che permetterà di continuare l'occupazione ora è la prospettiva del guadagno economico. Questa è stata una guerra per scelta, non per necessità, e i sondaggi di opinione rivelano sempre piè che la gente pensa che è stata una scelta sbagliata. Senza la certezza di fondi e dell'appoggio dell'opinione pubblica, le truppe americane e il personale della Halliburton a un certo punto dovranno fare i bagagli. Senza i soldi per portare avanti l'occupazione, ci sono molte possibilità che le iniziative condotte dagli Stati Uniti in Iraq potrebbero disfarsi, non a Bagdad, ma a Madrid. Fonti:
(1) New York Times, 2 ottobre 2003
(2) Michael Renner, "The Other Looting," Foreign Policy in Focus, luglio 2003.
(3) Steve Kretzmann e Jim Vallete, "Operation Oily Immunity", CommonDreams.org, 23 luglio 2003
(4) The Independent, 22 settembre 2003
(5) Houston Chronicle, 22 settembre 2003
(6) Financial Times, 24 luglio 2003
(7) Los Angeles Times, 11 luglio 2003
(8) Washington Post, 3 ottobre 2003
(9) Washington Post, 26 settembre
(10) USA Today, 8 settembre 2003
(11) Christian Science Monitor, 7 ottobre 2003
(12) Financial Times, 3 ottobre 2003
(13) Seattle Times, 11 settembre 2003
(14) Yale Herald, 15 novembre 2002
(15) New York Times, 8 ottobre 2003
(16) New York Times, 2 ottobre 2003
(17) Financial Times, 6 ottobre 2003
(18) International Herald Tribune, 18 marzo 2003
(19) New York Times, 11 aprile 2003
(20) Washington Post, 26 giugno 2003
(21) New York Times, 21 maggio 2003
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Documento originale Herbert Docena fa parte di Focus on the Global Iraq's future is up South, un'organizzazione di ricerca e di for grabs sostegno con sede a Bangkok (www.focusweb.org) Lo si può contattare all'indirizzo herbert@focusphilippines.org

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