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Questa guerra è ingiusta perché è una guerra |
Tra Saddam e Wolfowitz di Noam Chomsky
Chiunque si preoccupi un minimo dei diritti umani e della giustizia dovrebbe essere felice della cattura di Saddam Hussein, e dovrebbe aspettare con ansia che sia giudicato da un tribunale internazionale.
Saddam dovrebbe essere processato per atrocità come l'eccidio dei curdi del 1988 ma anche, e soprattutto, per il massacro degli sciiti che avrebbero potuto rovesciare il suo regime nel 1991. All'epoca, Washington e i suoi alleati avevano 'un'unanime convinzione: quali che fossero le sue colpe, il leader iracheno dava più garanzie di quelli che avevano subìto la sua repressione', scriveva Alan Cowell sul New York Times.
Lo scorso dicembre, il ministro degli esteri britannico Jack Straw ha reso pubblico un dossier sui crimini di Saddam che si riferiva quasi interamente al periodo in cui gli Stati Uniti e la Gran Bretagna lo sostenevano con decisione. Ovviamente il rapporto non citava questo sostegno. Questi comportamenti riflettono un difetto radicato nella nostra cultura. A volte viene chiamato 'dottrina del cambiamento di corso' e gli Usa l'invocano ogni due o tre anni.
La dottrina consiste nel dire: 'Certo, in passato abbiamo commesso degli errori per ingenuità o superficialità. Ma ora è tutto cambiato, non perdiamo tempo a discutere di queste faccende noiose'. È una dottrina disonesta e vigliacca, ma ha i suoi vantaggi: ci difende dal pericolo di capire cosa sta succedendo sotto i nostri occhi.
Gli idealisti senza passato
Per esempio, il motivo dichiarato dall'amministrazione americana per entrare in guerra contro l'Iraq era quello di voler salvare il mondo da un tiranno che produceva armi di distruzione di massa e aveva rapporti con il terrorismo.
Ora nessuno ci crede più. La nuova spiegazione è che abbiamo invaso l'Iraq per riportare la democrazia in quel paese e per democratizzare l'intero Medio Oriente. A volte la ripetizione di questa tesi raggiunge un livello di rapito entusiasmo. Il mese scorso, per esempio, il commentatore del Washington Post David Ignatius ha definito l'invasione dell'Iraq 'la più idealistica delle guerre moderne'.
Ignatius è rimasto colpito da Paul Wolfowitz, 'il più idealista dell'amministrazione Bush', descritto come un vero intellettuale 'il cui cuore sanguina per l'oppressione del mondo arabo e sogna di liberarlo'.
Forse questo può aiutarci a capire la carriera di Wolfowitz. Quando era ambasciatore in Indonesia durante la presidenza Reagan, appoggiò il dittatore Suharto ' uno dei più brutali sterminatori del secolo. Come responsabile del dipartimento di stato per gli affari asiatici, Wolfowitz organizzò il sostegno a feroci dittatori come Chun, in Corea del Sud, e Marcos, nelle Filippine. Ma tutto ciò diventa irrilevante in base alla comoda dottrina del cambiamento di corso.
Il cuore di Wolfowitz sanguina per le vittime dell'oppressione, e se la sua storia dimostra il contrario è solo acqua passata.
Il capitolo più recente della carriera di Wolfowitz è il suo rapporto Determination and findings sui generosi appalti per la ricostruzione dell'Iraq, da cui sono stati esclusi tutti i paesi che hanno osato assumere la posizione della maggioranza dei loro cittadini.
Wolfowitz ha giustificato la decisione 'per motivi di sicurezza', motivi che non riusciamo a vedere. Ora le multinazionali americane Halliburton e Bechtel saranno libere di 'competere' in Iraq con le vivaci democrazie dell'Uzbekistan e delle Isole Salomone, ma non con quelle dei paesi più industrializzati.
L'elemento più importante è il fatto che il disprezzo per la democrazia mostrato da Washington è stato accompagnato da un coro di elogi per il suo desiderio di democrazia. Essere riusciti a ottenere un risultato del genere è un'impresa ammirevole, difficile perfino per uno stato totalitario.
Gli iracheni conoscono bene il rapporto tra conquistatori e conquistati. Gli inglesi crearono l'Iraq a proprio beneficio. Era la politica delle 'facciate arabe' ' creare regimi deboli possibilmente parlamentari, che in realtà consentissero agli inglesi di governare.
Chi si sarebbe mai aspettato che gli Stati Uniti avrebbero permesso la nascita di uno stato indipendente iracheno, soprattutto ora che si sono riservati il diritto di creare basi militari permanenti nel cuore della regione che produce la maggiore parte del petrolio del mondo, e hanno imposto un regime economico che nessuno stato sovrano accetterebbe mai, mettendo il paese in mano a grandi aziende occidentali'
Nel corso della storia, le azioni più indegne e vergognose sono state sempre accompagnate da dichiarazioni di nobili intenti, e dalla retorica della libertà. Se fossimo onesti, non potremmo che confermare il commento di Thomas Jefferson sulla situazione dei suoi tempi: 'Non crediamo che Bonaparte abbia combattuto semplicemente per la libertà dei mari, più di quanto crediamo che l'Inghilterra stia combattendo per la libertà dell'umanità. L'obiettivo è sempre lo stesso: conquistare il potere, la ricchezza e le risorse di altri paesi'.
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L'articolo che segue non è recentissimo, ma ci è parso comunque utile pubblicarlo.
Il futuro dell'Iraq in vendita
di Herbert Docena
Il 23 e il 24 ottobre, a Madrid gli Stati Uniti prenderanno parte alla Conferenza Internazionale di Donatori per l'Iraq. Vi parteciperanno anche i ricchi
Paesi creditori, il Fondo Monetario Internazionale (FMI) e la Banca Mondiale (BM). Il FMI, la Banca Mondiale e le Nazioni Unite
avevano già previsto che le spese
per la ricostruzione dell' Iraq
per i prossimi quattro anni
sarebbero state pari a 36 miliardi
di dollari, oltre ai 19 miliardi
per altre spese non militari
calcolati dal regime di
occupazione americano(1). Con
poche altre possibilità, gli
americani opteranno per una
colletta.
Banca Mondiale e le Nazioni Unite
avevano già previsto che le spese
per la ricostruzione dell' Iraq
per i prossimi quattro anni
sarebbero state pari a 36 miliardi
di dollari, oltre ai 19 miliardi
per altre spese non militari
calcolati dal regime di
occupazione americano(1). Con
poche altre possibilità, gli
americani opteranno per una
colletta.
Questo incontro potrebbe essere un punto di svolta dell'occupazione,
perchè, o gli Stati Uniti riusciranno a racimolare qualcosa, o non
potranno piè permettersi di restare in Iraq. D'altro canto, la
decisione dei paesi donatori di tirare fuori i soldi dipende da se
questa appropriazione economica di un paese occupato da unilaterale
diventerà multilaterale.
Il petrolio non c'entra niente
Gli Stati Uniti sono ora costretti a far ricorso ai Paesi creditori,
inclusi Francia e Germania, paesi oppositori della guerra, e agli
Istituti Finanziari Internazionali (IFI), perchè non sanno dove
altro andare. In un primo momento gli Stati Uniti avevano due
opzioni: andare dai contribuenti iracheni, o da quelli americani.
Un paio di settimane dopo l'annuncio di Bush della fine delle
ostilità in Iraq, gli Stati Uniti hanno fatto in modo di far passare
la Risoluzione ONU n. 1483, che ha creato il cosiddetto Fondo di
Sviluppo delle Nazioni Unite. Con questo fondo, tutti gli introiti,
passati e futuri, del petrolio iracheno, e i beni di proprietà
dell'ex governo iracheno sparsi in tutto il mondo, sarebbero messi
sotto il diretto controllo degli Stati Uniti, come deciso dal FMI e
dalla BM, due istituzioni in cui gli Stati Uniti hanno un potere
considerevole.
La risoluzione è passata al Consiglio di Sicurezza dell'ONU perchè
gli Stati Uniti hanno rassicurato Russia, Francia e Cina che tutti i
contratti da loro firmati sotto il programma petrolio in cambio di
cibo durante le sanzioni al regime, saranno onorati dalle autorità
di occupazione e da qualunque futuro governo ad interim.(2)
Il Fondo di Sviluppo vuole finanziare la riabilitazione di tutto
quello che è stato distrutto dalla guerra. Comunque, la scelta delle
società di intraprendere la ricostruzione finora è stata riservata
esclusivamente agli Stati Uniti. E siccome molti contratti sono
negoziati su una base cost-plus , il prezzo della "ricostruzione" è
tutto nelle mani della società che se ne occupa. In altre parole, i
fondi che saranno dati alla Kellog, Brown & Root per riparare i
pozzi di petrolio e i macchinari iracheni, ad esempio, saranno
finanziati dagli introiti del petrolio iracheno a un prezzo deciso
proprio dalla Kellog, Brown & Root.
Pagare per essere derubati?
Oltre che per finanziare la ricostruzione, il Fondo servirà agli USA
anche per emettere obbligazioni del governo statunitense e per
finanziare direttamente gli investimenti delle società1 in Iraq.
Secondo un comunicato stampa della US Export and Import Bank, che ha
il compito ufficiale di promuovere gli affari americani oltreoceano,
il Fondo sarà anche usato per prestare denaro a quelle compagnie
americane che vogliono fare affari in Iraq. Le banche private che
non vogliono correre rischi non concederebbero volentieri un
prestito a chi vorrebbe investire in Iraq, paese ormai logorato
dalla guerra. Ma grazie al Fondo di Sviluppo, ci saranno molti soldi
per le persone coraggiose, avventurose o semplicemente a caccia
dell'affare.(3)
E in Iraq ci sono molti affari. Il Ministro delle Finanze del
Consiglio di Governo iracheno al-Kelani, accuratamente scelto dagli
stati Uniti, ha annunciato lo scorso 21 settembre che tutti i beni e
le società statali irachene, esclusa l'industria del petrolio,
saranno liquidate.
Gli acquirenti avranno diritto al 100% della proprietà del loro
acquisto, pieno rimpatrio dei profitti e tassazione minima (4).
Vista l'attuale condizione irachena, i prodotti in offerta saranno
molto economici.
Ma tra un paio d'anni, cià che è stato comprato a prezzi molto
bassi, usando gli introiti del petrolio iracheno, potrà essere
venduto con un buon guadagno.
Usare i beni iracheni per la ricostruzione significa che gli
Iracheni stessi pagheranno per ricostruire cià che gli americani
hanno distrutto. Questa è una violazione della Convenzione di
Ginevra, che sancisce inequivocabilmente che assistenza umanitaria,
sussidi, ricostruzione e altre spese per lo sviluppo sono obbligo
morale e giuridico delle forze di occupazione. Usare i soldi
iracheni per finanziare il progetto di massiccia privatizzazione del
loro sistema economico, implica che gli stessi iracheni pagheranno
le società statunitensi perchè comprino i loro beni.
Petrolio inaffidabile
Ma il petrolio iracheno, anche se decisamente abbondante, non è
sufficiente, almeno per il momento. Per il dispiacere di chi ha
voluto questa guerra, il petrolio dei pozzi iracheni è bastato solo
a riempire circa un milione di barili al giorno, molto meno di
quanti ne erano stati previsti dagli Stati Uniti (5).Gli analisti
dicono che ci vorrebbero ancora diciotto mesi prima che la
produzione possa raggiungere il livello del periodo prebellico, tre
milioni di barili al giorno, e che ci vorrà ancora piè tempo per
superarlo. E se il ritmo dei sabotaggi agli oleodotti non
diminuisce, a questo bisogna aggiungere ancora un paio d'anni.
Notizia peggiore è che le grandi multinazionali del petrolio si
tengono a distanza. "Deve esserci una sicurezza adeguata,
un'autorità legittima e un processo legittimo. con i quali potremmo
negoziare accordi che durerebbero anni." Ha detto Sir Philip Watts,
presidente della Royal Dutch/Shell. Quando ci sarà un'autorità
legittima in Iraq, noi lo sapremo e la riconosceremo(6)". Dal
comportamento dell'industria petrolifera si vedrà se Watts considera
legittimo il Consiglio di Governo iracheno scelto dagli Stai Uniti,
di cui un membro è già stato ucciso dalla resistenza.
Nel tentativo di risolvere i propri problemi di liquidità, gli Usa
stanno pensando di trasformare i prossimi introiti del petrolio
iracheno in titoli trasferibili che oggi potrebbero essere venduti a
prezzi scontati (7). Ci sono tutti i presupposti perchè questa sia
una misura controversa, non solo perchè cià potrebbe voler dire che
gli Stati Uniti resteranno nel Paese per molto tempo, ma anche
perchè, come è successo per altre decisioni, pone il problema di se
gli Stati Uniti hanno il diritto di prendere delle decisioni che di
solito sono riservate ai governi legittimi e sovrani.
Il piè importante dibattito sulla sicurezza nazionale
Se l'invasore non puà contare sul paese invaso per finanziare
l'occupazione, allora potrà sicuramente contare sui propri
contribuenti, visto che l'invasione è stata fatta soprattutto nel
loro interesse.
Non in questo caso. L'amministrazione Bush ha appena apportato un
taglio di 1,8 mila miliardi di dollari alle tasse dei contribuenti
piè ricchi, ma non puà permettersi di spendere 20 miliardi di
dollari per il popolo che ha appena liberato.
Proprio la scorsa settimana, i repubblicani hanno invalidato i
tentativi dei democratici di finanziare la guerra aumentando le
tasse ai contribuenti piè benestanti (8), parte dei quali trarrà un
buon profitto dal boom post-bellico in Iraq. Il vicepresidente Dick
Cheney, che si dice abbia spinto l'intelligence a ingigantire le
scoperte in Iraq, ha ancora interessi finanziari all'interno della
società Halliburton, secondo quanto è stato dichiarato ufficialmente
dal Servizio informativo del Congresso (9).
Questi tagli alle tasse e le spese di guerra sempre piè alte
dovrebbero essere messe nel contesto del deficit di bilancio e della
bilancia commerciale, che sta affrontando attualmente la debole
economia statunitense. Il deficit della bilancia commerciale tocca
ora i pericolosi cinque punti percentuali e sta ancora aumentando.
Il buco di bilancio è stato una veloce inversione di tendenza
rispetto al trend positivo degli anni passati. A un livello di
cinque miliardi di dollari il mese, il costo mensile
dell'occupazione irachena, esclusa la ricostruzione, si sta già
avvicinando a quello del Vietnam. (10)
Se Bush non è ancora stato politicamente rovinato dalle armi di
distruzione di massa che devono ancora essere trovate, o dal
problema della fuga di notizie dell'intelligence, potrebbe essere
proprio la questione del finanziamento a fargli perdere il controllo
sul legislativo. Ai democratici è data la possibilità di aprire un
dibattito al Congresso proprio dalla richiesta di finanziamenti da
parte di Bush, che non si è rivelata essere proprio una passeggiata.
Sarebbe "il dibattito piè importante sulla sicurezza nazionale avuto
in questa generazione"(11). é un dibattito in cui Bush potrebbe non
spuntarla.
Toccate il loro petrolio ma non le nostre tasse.
I politici americani, soprattutto quelli del partito al potere,
tremano all'idea che gli Stati Uniti devono pagare per sistemare
proprio quello che hanno distrutto in Iraq. I repubblicani sono
convinti che gli Stati Uniti non abbiano alcun obbligo nei confronti
degli iracheni e che i fondi americani usati per la ricostruzione
del paese devono essere considerati prestiti, non donazioni.
In effetti, se questa proposta dovesse essere approvata, e le
possibilità sono molte, gli iracheni prenderanno del denaro in
prestito dagli Stati Uniti, e vi pagheranno le società statunitensi
che ricostruiranno praticamente tutto il loro Paese, dalle strade
alle scuole, ai generatori elettrici. Usando il denaro preso in
prestito dagli americani, gli iracheni pagheranno quelle stesse
società che non avrebbero guadagnato nulla se non ci fosse stata la
guerra in Iraq.
Il senatore Byron Dorgan, che probabilmente non è stato informato in
modo adeguato sulla situazione petrolifera, insiste dicendo che gli
USA "non dovrebbero farsi carico dell'intero peso" L'Iraq ha
petrolio a sufficienza per pagare parte degli oneri della
ricostruzione.(12)"
Il segretario della difesa Donald Rumsfeld è piè risoluto. "Non
credo che sia nostro compito ricostruire quel paese dopo trent'anni
di controllo centralizzato di tipo stalinista." Ha detto, come se i
danni non avessero niente a che fare con i missili cruise e
l'embargo decennale. "Le infrastrutture di quel paese non sono state
danneggiate in nessun modo dalla guerra" sostiene Rumsfeld. (13)
Comunque se i contribuenti non pagheranno il conto della guerra,
sarebbe un disastro. Avendo calcolato il costo della guerra e della
ricostruzione, William Nordhaus, economista della Yale University,
aveva avvertito molto prima della guerra che "se i contribuenti
americani si rifiuteranno di pagare il conto per assicurare un lungo
periodo di prosperità all'Iraq, l'America probabilmente si lascerà
dietro montagne di macerie e un gran numero di persone adirate.(14)"
Pagare per la democrazia
Ma per ora gli Stati Uniti non se ne vanno. Avendo chiesto fondi al
popolo iracheno, ora liberato, e agli ipotetici liberatori, i
contribuenti americani, e non avendo ancora abbastanza soldi, ora
gli Stati Uniti si rivolgeranno alle Nazioni Unite, ai ricchi paesi
creditori e alle istituzioni finanziarie internazionali (IFI), per
far soldi alla svelta.
In una bozza di risoluzione ONU che è stata proposta dal Consiglio
di Sicurezza me che è stata censurata dal solitamente arrendevole
Segretario Generale Kofi Annan, gli Stati Uniti "fanno appello agli
Stati membri e alle IFI per intensificare gli sforzi per assistere
il popolo iracheno nella ricostruzione e nello sviluppo della sua
economia". Inoltre "invitano gli Stati membri e le organizzazioni
coinvolte a soddisfare i bisogni del popolo iracheno, fornendo le
risorse necessarie per il ripristino e la ricostruzione delle
infrastrutture economiche irachene."
La stessa risoluzione chiede anche alle Nazioni Unite di finanziare
il processo elettorale iracheno. "Si chiede al Segretario Generale
di garantire che le risorse delle Nazioni Unite e delle
organizzazioni associate siano disponibili su richiesta del
Consiglio di Governo iracheno per istituire in Iraq un sistema
elettorale.". Questa guerra è stata fatta per donare agli iracheni
la democrazia, ha precedentemente detto Bush. Con questa
risoluzione, gli Stati Uniti stanno ora chiedendo agli altri di
pagare per questo regalo.
Una fetta di torta
Le ultime relazioni comunque indicano che gli Stati Uniti si sono
imbattuti in un'opposizione cos³ ferma da parte dell'ONU che ora
stanno pensando di abbandonare del tutto la risoluzione.(15) Questo
lascia agli Stati Uniti solo l'opzione di Madrid.
A Madrid, gli Stati Uniti cercheranno di corteggiare sia i paesi che
si erano opposti all'invasione sia le IFI, come la Banca Mondiale,
che si è vantata del suo ruolo di finanziare la ricostruzione di
zone colpite da conflitti come il Mozambico, l'Uganda, Timor Est, e
la Palestina - raccogliendone i frutti sotto forma di pagamento di
interessi. Nel chiedere i fondi, gli Stati Uniti hanno solo bisogno
di convincere questi paesi e queste istituzioni che il loro denaro
sarà speso bene.
Finora, la situazione non sembra incoraggiante. Ai primi di ottobre,
si era detto che l'Unione Europea stava pensando di dare solo 250
miseri milioni di dollari, che non sono neanche l'1% del totale
richiesto e stando a quel che si dice i funzionari americani sono
scioccati dalla cifra. Da parte sua , il Canada sta disponendo di
dare 200 milioni di dollari. (16) Sembra che solo il Giappone darà
una somma relativamente alta, cinque miliardi di dollari; i
giapponesi sono stati molto schietti per quanto riguarda le loro
ragioni: hanno fiducia nel petrolio mediorientale.(17) Tuttavia, se
mettiamo insieme tutte queste cifre, abbiamo ancora una cifra
insignificante se paragonata ai 36 miliardi di dollari richiesti.
Questa situazione potrebbe comunque cambiare con una semplice
promessa. "Dovete offrirgli una fetta di torta." Ha consigliato il
politico francese ed ex rappresentante speciale delle Nazioni Unite
in Kosovo Bernard Kouchner. (18) Con cento miliardi di dollari o piè
in ballo - è uno dei programmi di ricostruzione piè redditizi da
decenni(19) - si dovrà dividere una grande torta.
Non è un ballo di beneficenza
Stando al Wahington Post, Germania, Francia e altri potenziali
donatori hanno detto a lungo che daranno i loro soldi solo se le
loro società avranno qualche opportunità in piè di poter partecipare
alla multimiliardaria ricostruzione postbellica in Iraq. Saranno piè
disposti a tirar fuori i soldi se gli verrà assicurato che le loro
società in Iraq non saranno tenute fuori dalle società
statunitensi.(20) In altre parole, i potenziali donatori a Madrid
firmeranno assegni solo se verrà assicurato alle loro società di
essere invitate al taglio della torta.
Finora, si sono accontentati solo delle briciole. Le leggi americane
sull' approvvigionamento decretano che i contratti governativi per
l'Iraq possono essere affidati solo alle società statunitensi che, a
loro volta, sono libere di subappaltare, se lo ritengono utile.
Decine e decine di società di tutto il mondo hanno ricoperto la
Halliburton e la Bechtel di offerte di subappalto, nelle direzioni
generali ma anche negli uffici in Medio Oriente di queste due
società.(21) Questo è il metodo utilizzato finora dalle società non
americane per partecipare all'azione.
Questa attuale divisione del bottino comunque potrebbe cambiare, se
alcuni governi riusciranno a battersi per avere piè concessioni in
cambio di denaro per lo sforzo dell'occupazione. Di sicuro, i paesi
creditori insisteranno per avere un buon vantaggio dai loro soldi.
L'incontro di Madrid non sarà un ballo di beneficenza.
Unilaterale o multilaterale?
I soldi che porteranno a Madrid i negoziatori dei governi donatori,
comunque, non saranno i loro e neanche quelli delle società, ma
quelli dei loro contribuenti. L'incontro di Madrid è un tentativo
degli USA di passare la patata bollente dai contribuenti americani
a, per dire, quelli francesi giapponesi e tedeschi. Chiedere
prestiti al Fondo monetario internazionale e alla Banca mondiale per
conto del popolo iracheno passerà i debiti alle future generazioni
irachene, che quindi saranno indebitate con le IFI e saranno
soggette alle loro condizioni. Dal peso che sosterranno loro, altri
trarranno profitti.
Se gli Stati Uniti continueranno a credere che l'occupazione
irachena continui ad essere redditizia, dipende da quanto segue:
quanto velocemente i pozzi petroliferi iracheni potranno tornare a
produrre soldi, la volontà dei contribuenti americani di separarsi
dai loro soldi e la sollecitudine dei paesi donatori di versare
fondi. Gli iracheni non figurano in nessun modo nell'equazione. Fare
affidamento sul petrolio oggi è praticamente impossibile. In questo
quadro, la seconda possibilità potrebbe ancora essere valida, ma non
per Bush, vista la sua fama di campione in tagli alle tasse dei
ricchi e visto che l'economia sotto la sua presidenza è debole e
tormentata dal deficit. Quindi la terza potrebbe essere l'unica
opzione disponibile rimasta.
Ma la possibilità che i donatori diano miliardi di dollari, a sua
volta, sembra dipendere esclusivamente da se gli Stati uniti
chiuderanno la loro stretta presa sulle possibilità di fare affari
in Iraq o se la allenteranno. Il problema di Madrid quindi è se
questa continuerà ad essere un'appropriazione di risorse unilaterale
o multilaterale. E siccome i paesi donatori daranno i soldi dei loro
contribuenti, il problema a Madrid sarà anche se i contribuenti di
tutto il mondo vorranno - di fronte alla riluttanza dei liberatori -
finanziare quest'appropriazione multilaterale.
Una cosa è sicura: l'unica cosa che permetterà di continuare
l'occupazione ora è la prospettiva del guadagno economico. Questa è
stata una guerra per scelta, non per necessità, e i sondaggi di
opinione rivelano sempre piè che la gente pensa che è stata una
scelta sbagliata. Senza la certezza di fondi e dell'appoggio
dell'opinione pubblica, le truppe americane e il personale della
Halliburton a un certo punto dovranno fare i bagagli. Senza i soldi
per portare avanti l'occupazione, ci sono molte possibilità che le
iniziative condotte dagli Stati Uniti in Iraq potrebbero disfarsi,
non a Bagdad, ma a Madrid.
Fonti:
(1) New York Times, 2 ottobre 2003
(2) Michael Renner, "The Other Looting," Foreign Policy in Focus,
luglio 2003.
(3) Steve Kretzmann e Jim Vallete, "Operation Oily Immunity",
CommonDreams.org, 23 luglio 2003
(4) The Independent, 22 settembre 2003
(5) Houston Chronicle, 22 settembre 2003
(6) Financial Times, 24 luglio 2003
(7) Los Angeles Times, 11 luglio 2003
(8) Washington Post, 3 ottobre 2003
(9) Washington Post, 26 settembre
(10) USA Today, 8 settembre 2003
(11) Christian Science Monitor, 7 ottobre 2003
(12) Financial Times, 3 ottobre 2003
(13) Seattle Times, 11 settembre 2003
(14) Yale Herald, 15 novembre 2002
(15) New York Times, 8 ottobre 2003
(16) New York Times, 2 ottobre 2003
(17) Financial Times, 6 ottobre 2003
(18) International Herald Tribune, 18 marzo 2003
(19) New York Times, 11 aprile 2003
(20) Washington Post, 26 giugno 2003
(21) New York Times, 21 maggio 2003
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Documento originale Herbert Docena fa parte di Focus on the Global
Iraq's future is up South, un'organizzazione di ricerca e di
for grabs sostegno con sede a Bangkok (www.focusweb.org)
Lo si può contattare all'indirizzo herbert@focusphilippines.org
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