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Questa guerra è ingiusta perché è una guerra |
(25 January) Lettera aperta a Tony Blair. Bisogna evitare l'escalation
della violenza
Nell'ultimo mese sono stati pubblicati tre importanti rapporti sull'impatto
a livello umanitario di violenza e conflitti internazionali. 1–3 In tutti
e tre sono contenute prove degli effetti avversi sulla salute a breve e a lungo
termine derivanti dall'uso della forza tra nazioni diverse. Il
Rapporto su violenza e salute nel mondo [World Report on Violence and Health]
dell'Organizzazione Mondiale della Sanità contiene un'analisi dettagliata
di queste problematiche, studiate per tre anni da esperti in campo sanitario
di diversi paesi.1 Il rapporto Danni collaterali: i costi sanitari e ambientali
della guerra all'Iraq [Collateral
Damage: The Health and Environmental Costs of War on Iraq] invece presenta
uno studio di Medact, un'associazione no-profit del Regno Unito composta da
infermieri, medici e altri professionisti del settore sanitario.2 Infine, l'ultimo
rapporto
pubblicato dalla Campagna Anti Sanzioni contro l'Iraq (CASI) con sede presso
l'Università di Cambridge, è una relazione dell'ONU sulle possibili
conseguenze umanitarie di una guerra all'Iraq.
Secondo Medact se la minaccia di guerra contro l'Iraq dovesse concretizzarsi,
“il totale dei morti da tutte le parti in conflitto durante lo scontro
e nei tre mesi successivi potrebbe variare da 48.000 a più di 260.000.
La guerra civile in Iraq potrebbe provocare altri 20.000 morti. Successivamente
i decessi dovuti agli effetti avversi sulla salute nel dopoguerra potrebbero
raggiungere i 200.000. In tutti questi casi, la maggior parte dei danni sarebbe
a carico della popolazione civile.” Nel rapporto si prevede che “tra
gli strascichi di una guerra 'convenzionale' si potrebbero annoverare guerra
civile, carestia ed epidemie, ondate di rifugiati e profughi, oltre agli effetti
catastrofici sulla salute e sullo sviluppo dei bambini.” Non è
da escludere inoltre una ricaduta negativa in termini di conflitti internazionali,
disuguaglianze e divisioni.
L'ultimo rapporto dell'ONU prevede anche un rilevante e diffuso impatto umanitario:
“Si calcola che non meno di 500.000 persone potrebbero avere bisogno di
cure a seguito di lesioni dirette e indirette più o meno gravi,”
sulla base della stima dell'OMS di 100.000 persone danneggiate direttamente
e 400.000 indirettamente. Nel rapporto si sottolinea l'attuale carenza di alcune
attrezzature mediche, “per cui le scorte attuali sarebbero insufficienti”
a coprire le maggiori richieste in periodo bellico. Tutto questo è aggravato
dalla “verosimile mancanza di un sistema primario di assistenza sanitaria
nei mesi dopo il conflitto.”
Nel rapporto si dice anche che "la situazione a livello alimentare di
3,03 milioni di persone in tutto il paese diventerebbe molto grave e che queste
potrebbero avere bisogno di alimentazione terapeutica [secondo le stime dell'UNICEF].”
Infine “si calcola che ci saranno circa 900.000 rifugiati iracheni che
chiederanno aiuto, di cui 100.000 avranno bisogno di aiuto immediato [secondo
l'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (ACNUR)] . . . Circa
2 milioni di persone potrebbero avere bisogno di assistenza con alloggio.”
Per 130.000 rifugiati esistenti in Iraq “è probabile che l'ACNUR
inizialmente non sarà in grado di fornire il sostegno necessario.”
Ma la conseguenza più preoccupante dell'uso della forza in Iraq e a
livello internazionale è il ruolo che questo avrebbe dal punto di vista
dell'escalation della violenza collettiva. L'OMS definisce la “violenza
collettiva”—da parte di stati o organizzazioni non governative—come:
“L'uso strumentale della violenza da parte di persone che si riconoscono
come membri di un'organizzazione—sia che si tratti di un gruppo temporaneo
sia che abbia una struttura permanente—contro un altro gruppo o insieme
di individui, allo scopo di raggiungere obbiettivi politici, economici o sociali.”
A detta dell'OMS tale uso collettivo della forza avrebbe un impatto negativo
in termini di stabilità e benessere sociale a lungo termine. La violenza
internazionale è in continuo aumento e “in tutto si calcola che
nel ventesimo secolo 72 milioni di persone abbiano perso la vita a causa di
conflitti, senza contare le 52 milioni di vite perse in conseguenza dei genocidi.”
Il conflitto tende a subire un'escalation a seguito dell'uso collettivo della
forza in quanto la violenza diventa una forma più frequente e legittimata
di azione politica o sociale.
I professionisti in campo sanitario di tutto il mondo sono consapevoli di dover
rimediare ai danni provocati dalla guerra. Ciononostante la nostra responsabilità
consiste anche nel cercare di prevenire la violenza e nel sostenere l'importanza
di una soluzione pacifica dei conflitti. Il personale e gli studenti della London
School of Hygiene and Tropical Medicine provengono da e lavorano in più
di 120 paesi, molti di questi in guerra. La nostra esperienza e le prove concrete
confermano l'opinione dell'OMS, delle Nazioni Unite e di Medact.
Noi riteniamo che una guerra avrebbe conseguenze disastrose a breve, medio
e lungo termine in ambito sociale e per la sanità pubblica—non
solo in Iraq, ma a livello internazionale. Ogni conflitto affonda le proprie
radici nella disuguaglianza e nell'ingiustizia. L'intervento militare in Iraq,
considerato che ci sono ancora tante possibilità di disarmo pacifico,
rischia di condurre a un aumento incontrollabile della violenza collettiva.
L'OMS ritiene che il conflitto possa essere evitato solo se si arriva a tipi
di sviluppo più equilibrati e a forme di governo che esprimano senso
di responsabilità e moralità in tutti i paesi. Da parte nostra
ci associamo a tale conclusione e riteniamo che sia possibile prevenire ulteriori
atti di violenza adottando forme di gestione a livello internazionale e locale
fondate su concetti di pace ed etica.
Per tutti questi motivi siamo contrari all'intervento militare in Iraq. Speriamo
che questa lettera contribuisca a una discussione approfondita tra i rappresentanti
del governo e l'opinione pubblica. Con questa dichiarazione, infine, esprimiamo
il nostro appoggio a tutti coloro che si oppongono all'azione militare per motivi
etici e umanitari, indipendentemente dalla posizione politica o dal credo religioso
individuale.
Carolyn Stephens docente di politiche ambientali e sanitarie, dipartimento
di politica e sanità pubblica - London School of Hygiene and Tropical
Medicine, London WC1E 7HT-
carolyn.stephens@lshtm.ac.uk
In nome e per conto del personale, di alcuni studenti e dei laureati della London
School of Hygiene and Tropical Medicine, in collaborazione con Medact.
I nomi dei 500 firmatari di questa lettera sono pubblicati sul sito bmj.com.
1 Organizzazione Mondiale della Sanità. World
report on violence and health. (consultato il 20 gennaio 2003).
2 Medact. Collateral
damage: the health and environmental costs of war on Iraq. (consultato il
20 gennaio 2003).
3 Campaign Against Sanctions on Iraq (CASI). Rapporto
interno ONU. Possibili scenari umanitari. (consultato il 20 gennaio 2003)
(Traduzione a cura di Elena Di Concilio)
Fonti:
bjm
politica e salute
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