Questa guerra è ingiusta perché è una guerra

I nostri bravi ragazzi
di Robert Fisk


Prima di leggere l'articolo di R. Fisk vi proponiamo questo nostro commento sulla questione "tortura"
La tortura democratica
Le foto pubblicate in questi giorni su alcuni giornali e televisioni statunitensi e mondiali, hanno provato senza ombra di dubbio l'esistenza di pratiche di tortura sui prigionieri irakeni (e afgani). La pubblicazione di queste foto ha provocato grande clamore e scosso l'opinione pubblica mondiale, riaccendendo il dibattito sulla legittimità della "guerra preventiva" e sui veri intenti della amministrazione Bush In realtà che la tortura e altre forme di maltrattamenti fossero praticate è il classico segreto di pulcinella: subito dopo l'11 settembre erano state date direttive che autorizzavano i servizi segreti federali all'uso della tortura. Il Patriot act ha di fatto abolito l'habeas corpus e i principi dello stato di diritto. Ricordiamo di cosa si tratta: innanzitutto il presidente degli USA può emanare decreti istitutivi di tribunali speciali militari i quali possono a) giudicare cittadini stranieri che abbiano preso parte, o cooperato o anche soltanto coperto atti terroristici o semplicemente lesivi degli interessi politici ed economici statunitensi b) possono derogare alle più elementari garanzie di un equo processo tra cui la presunzione di innocenza, la possibilità di scegliere l'avvocato da parte dell'imputato, l ' esistenza di prove irrefutabili e dello stesso Habeas corpus c) possono celebrare processi segreti (il che significa che nessuno saprà cosa è successo al massimo si constaterà la sparizione di una persona, cosa del resto già successa) d) potranno condannare anche se i giudici (militari, ricordiamo) non saranno convinti "al di là di ogni ragionevole dubbio" e potranno comminare la pena capitale anche senza l'unanimità infine e), potranno decidere di impedire il ricorso all'appello da parte dell'imputato. Le foto di Guantanamo, con i prigionieri incappucciati e legati mani e piedi, avevano già fatto il giro del mondo, ma in Italia l'unica reazione sono state le battute viscide di un anchorman tendenti a presentare il tutto come l'esagerazione dei "soliti pacifisti". Oltre a questo non si è andati. Eppure alcuni prigionieri erano usciti da quell'inferno,e avevano raccontato di sevizie e torture sia fisiche che psichiche. Anche Amnesty International aveva denunciato da mesi maltrattamenti in irak e Afganistan anche qui sufficientemente provati da foto che mostravano persone incappucciate, e ancora una volta si era fatto finta di niente. Molto probabilmente gli stessi soldati italiani hanno utilizzato metodi non dissimili da quelli che stanno scandalizzando il mondo in questi giorni, come risulta dai reportage di alcuni giornalisti Adesso, che le prove sono emerse sui principali giornali e testate televisive americane, solo adesso si incomincia ad ammettere la realtà. Realtà che non ci stupisce: le guerre non sono mai "umanitarie", non sono fatte rispettando i diritti umani o le persone, ma uccidendole, ferendole, umiliandole e calpestandone la dignità. D'altro canto nelle guerre emerge il lato peggiore dell'uomo, deresponsabilizzato di fronte alla propria coscienza e agli altri uomini poiché assume come suo unico scopo quello di ammazzare quanti più nemici possibili per il bene supremo, che in guerra è il bene della patria, ovvero, fuor di retorica, dello Stato che è chiamato a servire. Il resto sono solo chiacchiere retoriche e falsità. Peraltro sono già iniziati gli arrampicamenti sugli specchi e le rigirature di frittata, che vogliono far notare come in democrazia gli "errori" vengano prontamente corretti, o che in fondo queste torture sarebbero poca cosa al cospetto di quel che combinava il mostro Saddam, e via cianciando. Ma il fatto ineludibile è che di fronte al mondo è stato mostrato il lato inumano della guerra e di chi la fa, e forse ancora di più, di chi le decide e le santifica. La domanda che però ci poniamo è: come mai solo adesso vengono pubblicate queste notizie? Se non ci sono dubbi che l'amministrazione USA conoscesse questi orrori, per la semplice ragione che li aveva autorizzati, è altrettanto indubbio che anche i giornali e massmedia ne fossero al corrente. E allora come mai solo ora? La risposta probabile è che qualcuno, a Washington o in qualche palazzo che conta, si stia rendendo conto che l'avventura irakena non porta né alla vittoria sul terrorismo, né alla democrazia globale e , forse neanche, più modestamente, ad una egemonia americana ma soltanto ad un nuovo Vietnam, a nuove tensioni a nuove guerre, a nuovi attentati terroristici in sostanza che gli Usa (e i loro servitori, tra cui lo stato italiano) si siano cacciati in un tunnel senza via d'uscita. Forse qualcuno sta cercando di fermare la discesa verso la follia, verso l'autodistruzione. Queste sono ipotesi, del resto. Quello che è certo è la natura criminale della guerra, e che, molto probabilmente, passata la buriana, voleranno gli stracci, e forse, nemmeno quelli. Vorremmo qui ricordare il massacro di My Lai avvenuto il 16 marzo 1968 durante la guerra del Vietnam. Qui i militari americani massacrarono brutalmente almeno 504 persone, tra cui donne e bambini compresi i neonati. Quando emerse questo eccidio, fu ritenuto responsabile e processato il sottotenente Calley, che fu poi condannato all'ergastolo per l'uccisione provata di 22 persone. L'intercessione dell'allora presidente Nixon fece sì che Calley scontò tre anni di arresti domiciliari all'interno di una base americana, con tanto di diritto di visita della fidanzata. Infine vorremmo ricordare che anche all'interno dell'ordinamento giuridico italiano vi è la tendenza ad autorizzare la tortura e comunque metodi sempre più sbrigativi di indagine mentre dall'altra parte i metodi di controllo diventano sempre più raffinati. L'avanzare della guerra porta con sé la limitazione delle libertà civili e l'aumento dell'apparato militare e repressivo. Tutto ciò si inscrive come logica conseguenza della sempre più evidente concentrazione di potere politico economico e finanziario nelle mani di un gruppo sempre più ristretto di persone, che ha trovato nella guerra permanente un modo sbrigativo di risolvere le contraddizioni sempre più evidenti del proprio sistema di dominio.

I nostri bravi ragazzi
di Robert Fisk
Perché ci sorprendiamo del loro razzismo, della loro brutalità, della loro insensibilità verso gli arabi?
Quei soldati americani nella vecchia prigione di Saddam ad Abu Ghraib, quel drappello di giovani soldati inglesi a Basra sono venuti - come accade spesso con i soldati - da città dove il razzismo trova casa: Tennessee e Lancashire. Quanti dei "nostri" ragazzi sono stati loro stessi in carcere? Quanti appoggiano il British National Party? Musulmani, arabi, cui vengono affibbiati nomignoli come "cloth heads" (teste di lenzuolo) e "rag heads" (teste di straccio), oppure appellativi quali "terroristi" o "cattivi". È facile notare come le scelte semantiche si impoveriscano sempre più. E se a questo aggiungiamo la cascata velenosa e razzista alimentata dal fiume di film hollywoodiani (i soldati si nutrono di film) che dipingono gli arabi come sporchi, lascivi, sleali e violenti, non è difficile capire come a un membro della peggiore feccia britannica possa essere venuto in mente di pisciare in faccia a un uomo incappucciato, o perché un sadico americano abbia fatto salire un altro iracheno incappucciato su una scatola dopo avergli legato dei cavi alle mani. Il sadismo sessuale - la ragazzina-soldato americana che mostra i genitali di un uomo, l'umiliante finta orgia nella prigione di Abu Ghraib, il fucile britannico nella bocca del prigioniero - potrebbe sembrare bislacchi tentativi di sminuire tutte quelle bugie sul mondo arabo, sulla potenza dei guerrieri del deserto, sugli harem, sulla poligamia. Ancora oggi mostriamo in tv il rivoltante "Ashanti", un film sul rapimento della moglie di un dottore inglese da parte di mercanti di schiavi arabi che dipinge gli Arabi come molestatori di bambini, stupratori, assassini, bugiardi e ladri. Tra i protagonisti - Dio ce ne scampi - Michael Caine, Omar Sharif, e Peter Ustinov. In parte il film è stato fatto in Israele. In pratica adesso nei film rappresentiamo gli arabi come facevano i nazisti con gli ebrei. Con gli arabi è permesso tutto. Come potenziali attentatori alla vita di ogni uomo - e donna - devono essere "trattati", ammorbiditi, umiliati, picchiati, torturati. Gli israeliani usano la tortura nel "Russian Compound" di Gerusalemme. Adesso siamo noi a torturare nella vecchia prigione di Saddam appena fuori Baghdad - è qui che l'anno scorso i britannici uccisero un giovane iracheno a forza di botte - e nell'ex-ufficio del terribile Alì "Il Chimico", l'orribile "fascista" saddamita con una predilezione per le armi chimiche più letali. E gli ufficiali? I capitani, i tenenti e i maggiori del «Queen's Lancashire Regiment» non sapevano che i loro ragazzi stavano ammazzando di botte il giovane lavoratore d'albergo iracheno? La fine di quell'uomo - e la prova documentaria che era stato ucciso- l'ha mostrata per primo l'«Independent On Sunday» a gennaio. Gli uomini della Cia ad Abu Ghraib non sapevano che Ivan "Chip" Frederick e Lynddie England, due dei soldati americani apparsi nelle foto pubblicate la settimana scorsa, stavano umiliando i loro prigionieri in maniera oscena? Certo che lo sapevano. L'ultima volta che ho visto il comandante di brigata Janis Karpinski, una donna-soldato a capo della «800esima Brigata di Polizia Militare» in Irak, mi ha detto di aver visitato il campo "X-Ray" a Guantanamo e di non avervi trovato niente di fuori posto. Già allora avrei dovuto capire che in Iraq sarebbe accaduto qualcosa di orribile. Una volta a Bassora, alla vigilia di una visita di Tony Blair, mi sono presentato al locale ufficio stampa dell'esercito britannico per fare qualche domanda sulla morte del 26enne Baha Mousa. La famiglia del defunto mi aveva mostrato documenti di provenienza britannica comprovanti la morte per percosse del giovane in carcere. L'esercito avrebbe anche cercato di pagare la famiglia per farla rinunciare a sporre denuncia contro i soldati che avevano ucciso il loro figlio in maniera tanto brutale. Sono stato accolto con sbadigli e una totale incapacità di fornirmi informazioni sull'evento. Mi è stato detto di chiamare il ministero della Difesa a Londra. L'addetto con cui ho parlato sembrava stanco e infastidito per le mie richieste. Non c'è stata nemmeno una parola compassionevole sulla persona uccisa. A settembre dell'anno scorso il comandante Karpinski era in giro per Abu Ghraib con un gruppo di giornalisti - la stessa prigione spettrale in cui Saddam aveva ucciso migliaia di persone, lo stesso luogo dove Frederick e England con i loro amici americani, hanno fatto salire il prigioniero incappucciato sulla scatola con quelli che sembravano elettrodi legati alle mani. Con piacere la Karpinski ci ha portato nella stanza delle esecuzioni di Saddam. Ci ha guidato nella stanza di cemento tra baldacchini sopraelevati e patiboli. Davanti ai nostri occhi, con fare trionfante, ha tirato la leva per azionare una di queste forche per farci sentire il rumore della botola. Ci ha invitato a leggere gli ultimi messaggi scritti dagli iracheni che, rinchiusi nell'adiacente braccio della morte, avevano atteso la vendetta del tiranno. Però c'era qualcosa di strano in questo giro per la prigione. Non c'era alcun chiaro procedimento giuridico per i prigionieri. E fino a quando non ne ho parlato io non era stata fatta alcuna menzione degli attacchi con colpi di mortaio contro la prigione controllata dagli americani. In agosto gli attacchi avevano provocato la morte di sei degli occupanti delle tende. Karpinski, allora era già responsabile per gli 8000 prigionieri in Iraq. Erano stati «forniti di un avvocato», ci ha detto. «Sembra pensassero di essere usati come sacchi di sabbia da noi». Allora Abu Ghraib veniva attaccata quattro sere su sette. Ora viene attaccata due volte per notte. Stranamente a una mia domanda Karpinski ha risposto che c'erano «sei prigionieri che si dichiaravano americani e due britannici». Ma poi quando il generale Ricardo Sanchez, il massimo ufficiale in Iraq, ha negato tutto ciò, nessuno ha chiesto come fosse sorta questa confusione. La comandante Karpinski si era inventata tutto? O era il generale Sanchez a non dire la verità? I nomi dei prigionieri erano spesso confusi. I suoni arabi non erano traslitterati correttamente. Alcune persone "sparivano" dai file. Tutto ciò dimostrava un atteggiamento generale per cui gli iracheni - e soprattutto i prigionieri - in qualche modo non erano degni degli stessi diritti concessi agli occidentali. Questo spiega perché le potenze occupanti in Irak forniscono statistiche sulle morti di occidentali ma non fanno proprio niente per fornire anche stime sulle vittime irachene: che dopotutto sono le persone della cui sicurezza in primo luogo dovrebbero occuparsi. Qualche settimana fa stavo parlando con un giovane soldato americano a Saadoun Steet, nel centro di Baghdad. Stava distribuendo dolcetti ai ragazzi per strada cercando di imitare la parola araba per dire «grazie», cioè «sukran». Innocentemente gli ho chiesto se conosceva l'arabo. Si è rivolto a me con una smorfia dicendo: «So come sgridarli». Ecco qua. Siamo tutti vittime della nostra "alta" moralità. "Loro" - cioè gli arabi, i musulmani, i "cloth heads", i "rag heads", i "terroristi" - sono inferiori, rispondono a standard morali più bassi. Sono le persone da sgridare. Devono essere "liberati", a loro deve essere data la "democrazia". E così noi, come un esercito di fratelli maggiori, indossiamo le uniformi della rettitudine, dell'integrità. Noi siamo marines, o polizia militare, o un reggimento della regina: e stiamo dalla parte del bene. "Loro" invece da quella del "male". È impossibile che noi facciamo qualcosa di sbagliato. O almeno così sembrava, finché non sono apparse quelle immagini vergognose. Esse hanno fatto saltare il sipario e hanno dimostrato che l'odio e il pregiudizio razziale sono una nostra eredità storica. Chiamavamo Saddam l'Hitler iracheno. Ma Hitler, dopotutto, non era uno di "noi", un Occidentale, un cittadino del "nostro" universo culturale? Se lui era capace di uccidere sei milioni di ebrei, cosa che poi ha fatto realmente, perchè ci dovremmo soprprendere se "noi" trattiamo gli iracheni come animali? La scorsa settimana sono arrivate queste foto a provarlo.
© The Independent
Traduzione Gabriele Dini