Questa guerra è ingiusta perché è una guerra

Le due Simone. Di Sbancor.



In ogni guerra ci sono giorni più crudeli degli altri. Sono i giorni in cui toccano qualcosa o qualcuno che conosci. Qualcuno che hai incrociato anche di sfuggita sulla "rete", qualcuno che lavorava a un progetto comune. Sono i giorni in cui d'improvviso entri nella guerra e ne senti l'orrore. Ne annusi l'odore di case bruciate, di donne violentate, di bambini uccisi. E' successo ieri l'altro. Quando hanno rapito Simona Pari, Simona Torretta, Ra'ad Alì Abdul-Aziz e Mahnaz Bassam. Simona Pari e Simona Torretta, fra l'altro, lavoravano a un progetto che avrebbe dovuto portare alla creazione di una IMC a Baghdad. Lavoravano per una delle ONG più impegnate in Iraq, "Un ponte per..", addirittura da prima della guerra, da quando l'embargo voluto con cinica freddezza dagli "alleati" provocava la morte di migliaia di bambini iracheni per la mancanza di medicine. Era il prezzo giusto che l'Irak doveva pagare, secondo Madelein Albright, allora a capo del Dipartimento di Stato USA, per i crimini di Saddam Hussein. Un popolo intero doveva soffrire e morire perché l'alleato di ieri, quello a cui tutto l'Occidente aveva fornito armi e gas per la guerra contro l'Iran, aveva tradito i patti. Fra chi si oppose a questa geopolitica follia c'erano quelli di "Un ponte per...". C'era Simona che dal 1994 stava in Irak a cercare di aiutare la popolazione, le donne, i bambini. Per chi come me non ritiene esserci una apprezzabile differenza morale fra sganciare una bomba da un aereo o portarla col proprio corpo in mezzo a dei civili, il rapimento di ieri si iscrive a pieno titolo in quella "Guerra del Terrore" scatenata contro il mondo da potentati politici ed economici ben prima dell'11 settembre. Una guerra fatta di stragi di innocenti e di mistificazioni mediatiche. Una guerra che si inventa un "nemico", il terrorismo internazionale, (parola priva di qualsiasi senso politico) e trascura di cercare i finanziatori del terrore: i legami inconfessabili fra la dinastia dei Bush e quella dei Saud. Mille miliardi di dollari finiti dalle banche saudite e da associazioni di carità mussulmane nei mille rivoli di presunte organizzazioni terroristiche: dall'Afganistan alle Filippine, dall'Indonesia alla Palestina, dalla Cecenia all'Iraq. Una guerra del terrore che permette a Bush di spadroneggiare in Medioriente, agli israeliani di massacrare i palestinesi, a Putin di trasformare la Cecenia in un immenso cimitero. Oggi il Governo italiano ci chiede l'Unità Nazionale contro il terrorismo. Oggi Fassino ci chiede "un sussulto", oggi tutti i commedianti di quart'ordine della Repubblica Italiana hanno qualcosa di importante da dire. Sono gli insopportabili rumori di fondo di un dramma che o non conoscono o fanno finta di non capire. Pensare che la vita delle nostre compagne e dei nostri compagni è affidata a una unità di crisi che chiede conferma del rapimento ai familiari rende insopportabile il vaniloquio dei politici. La vita delle nostre compagne e dei nostri campagni è in pericolo grave. Non sappiamo chi ha in mano i nostri compagni. Il gruppo che ne ha rivendicato il sequestro è lo stesso che ha ucciso Baldoni, un'altro pacifista impegnato in Iraq, e che ha portato a termine il rapimento degli ostaggi filippini. Un gruppo sulla cui esatta collacazione politica sono in molti a nutrire dubbi. Quello che sappiamo è che l'attuale guerra civile irachena, in cui operano gruppi di diverse matrici, religioni, etnie, è il risultato di una guerra preventiva su cui tutti ci hanno mentito. A cominciare da Bush, Blair e Berlusconi. Una guerra a cui l'Italia partecipa in aperta violazione dell'art.11 della sua Costituzione repubblicana. Quello che sappiamo è che possiamo contare solo sui mille canali di solidarietà concreta che il movimento pacifista ha sviluppato in Iraq. Possiamo contare solo sulla capacità di risposta di un movimento che deve riscoprire la sua unità e scendere con forza in piazza, ovunque sia possibile. Ora. Subito.
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