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Questa guerra è ingiusta perché è una guerra |
SCIACALLI S.P.A. - I signori delle macerie. Le imprese che lavoreranno in
Iraq di Andrea Cinquegrani
:
Ecco per la prima volta il panorama delle imprese - molte italiane o con
origini nel nostro Paese - che si divideranno la torta multimiliardaria
della ricostruzione in Iraq. E la mappa degli interessi segreti tra Saddam
Hussein e Bush senior. Mentre vanno in scena le ultime, drammatiche sequenze
di un conflitto preparato da mesi a tavolino ad opera degli strateghi
dell'economia americana - e texana, in particolare - in anteprima per Nuovi
Mondi Media, un'inchiesta de "La Voce della Campania" di aprile dettaglia,
sigla per sigla, nome per nome, i beneficiari dell'enorme bottino che si
cela dietro la "guerra di liberazione"
Un vero yankee, George W.Bush. Che è riuscito a ereditare dal padre, oltre
alla grinta, uno spiccato senso degli affari. Anche con i partner più
scomodi. Ecco cosa racconta Michael Moore, regista a stelle e strisce,
fresco di Oscar ma duro oppositore dell'establishment. "Bush padre ha
mantenuto i suoi legami con la famiglia bin Laden fino a due mesi dopo l'11
settembre, e i bin Laden hanno investito parecchio nel gruppo Carlyle, che
ha le mani in varie torte ed è l'undicesimo appaltatore della difesa
americana". Il gruppo Carlyle è di recente sbarcato a Napoli - come hanno
sottolineato le cronache - entrando a vele spiegate nel business
immobiliare. Nel suo mirino, in particolare, il Centro direzionale. Ben più
elevate le mire in campo nazionale: nelle ultime ore il colosso targato Bush
ha messo definitivamente le mani su Fiat Avio, a sua volta - guarda caso -
destinataria di grosse commesse nel settore idrico per la ricostruzione
dell'Iraq.
ATTENTI A QUEI TRE Si legge in un rapporto top secret: "Carlyle Group è la
società che segue gli interessi americani delle armi e dove è socia la
famiglia bin Laden. Uno dei suoi vertici, Frank Carlucci, sembra uscito
dall'epopea della mafia americana anni trenta". E ancora: "attraverso
Carlyle, è possibile rintracciare i forti legami tra la famiglia Bush e i
reali d'Inghilterra". Capaci di spiegare il continuo scodinzolare del
premier Tony Blair davanti agli ordini del capo Usa? Chissà. Seguiamo
comunque la trama di una vera e propria spy story, che porta perfino a
Saddam. Tanto per completare il cerchio fra i tre "amici", per la pelle e
per gli affari. "La prima guerra del Golfo - si legge nel rapporto - non fu
altro che un litigio fra due 'ex-soci', Bush padre e Saddam Hussein. Negli
anni '80, infatti, Bush senior era socio privato di Saddam nella società
incaricata per la sicurezza dell'aeroporto di Chicago. Entrambi proteggevano
i business petroliferi di corrotti sceiccati arabi.
I soci americani di Bush
senior - viene aggiunto - in quel periodo fornivano a Saddam gli strumenti
per fabbricare le cosiddette armi di distruzione di massa". Di recente la
circostanza è rimbalzata fra i media a stelle e strisce, per essere
immediatamente 'censurata': Bush junior - secondo fonti attendibili -
avrebbe fatto sequestrare un rapporto iracheno alle Nazioni unite perché
contenente informazioni compromettenti circa i rapporti del padre con lo
stesso Saddam. La notizia, comunque, ha fatto capolino tra le colonne del
New York Times, in un articolo dell'11 dicembre 2002 dal titolo "Annan
criticizes handling of Iraqui files", cioè "Annan critica le manipolazioni
dei files iracheni".
Torniamo a 'bomba', è il caso di dirlo, e alla rottura
fra Bush e Saddam, per motivi 'economici'. Bush padre - secondo alcune fonti
- avrebbe 'fregato' il socio iracheno per svariati miliardi di dollari.
Questi soldi sarebbero stati "trasferiti in venticinque conti segreti,
depositati in giro per il mondo", nei paradisi fiscali più affidabili, "e
intestati alla famiglia Bush". Una delle operazioni di cui sono disponibili
gli estratti conto - viene precisato nell'informativa - sarebbe la prova di
una maxi transazione, per miliardi di dollari, "trasferiti su un conto che
Bush senior aveva con la regina d'Inghilterra, nella di lei banca privata
Coutts Bank of London.
Dopo il bonifico, la regina spostò il direttore di
tale banca, Andrew Fisher, presso il Carlyle Groupe". E così, il cerchio si
chiude. Da Carlyle a Carlyle. Del resto, un libro molto circostanziato,
uscito dieci anni fa ma presto sparito dai circuiti della distribuzione,
Unauthorized Biography of George Bush, Webster (Tarpley editore) cercava di
spiegare come la fortuna dei Bush fosse stata sponsorizzata dalla famiglia
reale inglese. Ecco cosa scrive l'ex parlamentare svizzero e oggi relatore
all'Onu per i diritti dell'alimentazione Jean Ziegler, da sempre in prima
linea nel denunciare traffici internazionali e 'lavaggi' finanziari di
danaro sporco, a proposito del gruppo Carlyle nel suo libro, appena uscito
anche in Italia, La privatizzazione del mondo, la cui lettura andrebbe
consigliata in tutte le scuole.
"Un aspetto particolare del faraonico budget
militare proposto da George W. Bush ha attirato l'attenzione dei
commentatori: una delle aziende che approfitteranno in modo immediato e
massiccio dei nuovi crediti è il Carlyle Group, una società attiva nei
settori dell'armamento pesante, dell'aviazione da combattimento e della
comunicazione militare. Strutturato come un fondo di investimenti, Carlyle
detiene quote importanti di altri conglomerati militari industriali, tra cui
Lockheed Martin e General Dynamics.
I suoi tre principali lobbisti, agenti
d'affari presso il Congresso - precisa Ziegler - sono il padre del
presidente, George Bush, l'ex segretario di Stato James Baker e l'ex
segretario della Difesa Frank Carlucci. Grazie a Bush junior, questi
intermediari guadagneranno prossimamente decine di milioni di dollari".
Racconta anche un gustoso episodio, Ziegler, avvenuto in occasione di
un'assemblea dei soci Carlyle in un lussuoso albergo di Ginevra, alla quale
ha preso parte Bush padre. "Yeslam bin Laden, fratellastro di Osama, si è
presentato alla porta ritenendo di essere invitato in quanto azionista del
gruppo. In preda al panico, le guardie gli hanno impedito di entrare".
L'ORO NERO
Per capire le vere ragioni della guerra e del massacro del popolo
iracheno ad opera degli angloamericani , leggiamo ancora qualche istruttiva
indicazione di Ziegler: "I principali dirigenti e le eminenze grigie
dell'amministrazione Bush, per la maggior parte multimiliardari, provengono
direttamente dagli ambienti dei petrolieri texani. Proprio grazie alle
società petrolifere George Bush, suo fratello Jeff, governatore della
Florida, e il loro padre hanno potuto accumulare una fortuna colossale.
Il
vicepresidente Dick Cheney, il ministro della Difesa Donald Rumsfeld, e la
responsabile del Consiglio nazionale di sicurezza Condoleeza Rice sono tutti
ex direttori generali di società petrolifere texane".
Addirittura, la
celebre Chevron aveva intenzione di battezzare col nome di Condoleeza una
delle sue nuove petroliere: la Casa Bianca, però, ha consigliato di
soprassedere. Uno altro 'piccolo' esempio? L'uomo che oggi ha in mano i
destini dell'Afghanistan, dopo la guerra yankee di 'liberazione' dai
talebani, si chiama Zalmay Khalizad, ex funzionario della società
petrolifera Unocal.
Nel 2001 l'amministrazione Bush - spiega Ziegler - ha
rifiutato di firmare la convenzione che avrebbe permesso di controllare le
centrali dell'off shore, i paradisi fiscali adatti per coprire le maxi
operazioni di evasione fiscale e il riciclaggio di danaro sporco. Anche al
quartier generale Nato di Bagnoli non pochi ricordano gli ottimi rapporti
intercorsi fra Bush senior, quando era un pezzo grosso della Cia, prima di
diventare inquilino della Casa bianca, con la Zapata Petroleum Company (che
contava decine e decine di soci eccellenti sparsi per il mondo), la quale
oggi si chiama Zapata offshore.
"Nel corso del decennio '90 - commenta
Guglielmo Ragozzino in un saggio pubblicato nel volume Not in my name - con
i democratici di Clinton al governo e Bush governatore del Texas, Cheney,
Rice e Powell, che avevano lavorato al governo di Bush padre, ebbero ruoli
importanti nel mondo del petrolio.
Tra industria del petrolio, mondo
politico repubblicano e, adesso, governo Usa, non c'è soluzione di
continuità". Non è un caso, quindi, che insediato da nemmeno dieci giorni
sulla poltrona presidenziale, Bush figlio abbia immediatamente creato il
Gruppo di lavoro per la politica nazionale dell'energia, formato da venti
"esperti" (di cui 19 dirigenti del settore energetico). Gli Usa hanno
urgente bisogno di petrolio - emerge con chiarezza dal documento elaborato
dal gruppo - nel 2020 dovranno importarne 17 milioni di barili, 6 milioni in
più rispetto ad oggi.
E l'unica fonte possibile è il golfo persico, con un
Iraq secondo produttore al mondo ma ben poco propenso a vendere il suo
greggio agli yankee, visto che, fra l'altro, ha già ceduto i diritti per lo
sfruttamento di nuovi, enormi bacini (una quantità pari a tutte le riserve
dei paesi dell'Asia orientale messi insieme) alla francese TotalFinaElf,
alla russa Lukoil e alla cinese China National Petroleum Company. Scrive
Ragozzino: "la scelta di cambiare, con la forza, il regime iracheno, per
sostituirlo con uno molto più favorevole a Washington e ai suoi petrolieri,
diventa una priorità per il governo Usa che deve garantire un flusso di
petrolio per i prossimi vent'anni: dai pozzi alle stazioni di servizio dei
liberi elettori Usa".
Chiara l'analisi di Michael Klare, docente
universitario e pacifista americano: "Fin dal settembre 1999 Bush aveva
esposto il suo piano di 'trasformazione' dell'apparato militare americano,
per avviare la costruzione dell'esercito del XXI secolo". "Le nostre forze
armate - scrive George W. nel documento - dovranno essere facilmente
dispiegabili, agili e letali, per colpire obiettivi distanti con assoluta
precisione".
E sul petrolio: "Nel rapporto Cheney (elaborato anche con la
collaborazione della Enron, finita in clamoroso crac, ndr) appare in piena
luce la reale portata del progetto di puntare sulle importazioni per far
fronte all'incombente penuria di petrolio". "Salta agli occhi - aggiunge
Klare - il parallelismo tra la strategia militare e la politica energetica
del governo Bush. Il progetto Usa di garantirsi l'accesso alle riserve
petrolifere di regioni cronicamente instabili può essere realistico solo a
condizione di possedere la capacità di 'proiettare' in queste aree la
propria potenza militare". E significativamente conclude (il testo è stato
scritto diverse settimane prima dell'inizio del conflitto): "Il Dipartimento
della difesa sta già preparando i piani dell'invasione americana.
La Casa
Bianca sembra determinata ad attaccare l'Iraq, qualunque cosa avvenga".
Ancora più esplicito fu, addirittura cinque anni fa, il segretario della
Difesa Donald Rumsfeld (i cui interessi, peraltro, sono strettamente
intrecciati con quelli della multinazionale Occidental) quando, insieme al
deputato Paul Wolfowitz, scrisse al presidente Clinton esortandolo alla
guerra contro l'Iraq e all'eliminazione di Saddam perché "rappresenta un
pericolo per una significativa porzione dei rifornimenti mondiali di
petrolio".
Nella lettera Rumsfeld dichiara che gli Usa dovrebbero scendere
in guerra unilateralmente e attacca l'Onu sostenendo la necessità di "non
venire paralizzati insistendo per l'unanimità del Consiglio di sicurezza
dell'Onu". "Fatti promotore - scrive - di una nuova strategia che garantisca
gli interessi Usa e dei nostri amici e alleati nel mondo". Sempre più a
galla con la sua "dottrina" anche nell'attuale conflitto, lo stratega, al
punto che viene definito Wolfowitz d'Arabia.
A sottoscrivere l'appello, il
26 gennaio 1998, furono fra gli altri l'attuale consigliere al Pentagono di
Bush, Richard Perle, il numero due del Dipartimento di Stato, Richard
Armitage, i sottosegretari di Stato John Bolton e Paula Dobriansky, il
consigliere presidenziale per il Medioriente Elliot Abrams e l'assistente
segretario alla Difesa per la sicurezza interna, Peter Rodman.
A proposito
di 'energia', Bush jr. ha interessi diretti, attraverso due sigle, Midland e
Bush Exploration. E indiretti, essendo stato socio della chiacchierata
Harker Energy Corporation (il cui sito é oggi sotto il controllo della
Security and Exchange Commission) che glli ha procurato non pochi
grattacapi, per "insider trading" (si é disfatto delle azioni prima del
crollo in Borsa). La deputata democratica Maxine Waters ha criticato la
"rapidità nel negoziare contratti per ricostruire ponti che non sono stati
ancora bombardati", ha chiesto "maggiore trasparenza nella concessione degli
appalti", ed intende ripresentare un emendamento bocciato da una commissione
della Camera, che punta ad escludere dai contratti le società in cui hanno
lavorato pezzi grossi dell'amministrazione Bush nei quattro anni precedenti
all'inizio della presidenza. Il riferimento è, in particolare, alla
Halliburton, che fra l'altro - secondo indiscrezioni - si è appena
aggiudicata la maxi commessa per la gestione del pozzi petroliferi di
Bagdad. E con il colosso texano entriamo nel cuore del problema.
LA TORTA DEGLI APPALTI
Una mamma ricca e generosa, Halliburton, con tutti i
suoi figlioli. Uno in particolare, il vice presidente usa Dick Cheney, fino
all'agosto 2000 anche numero due della società. Con la quale, però, il
cordone ombelicale - a base di milioni di dollari - non viene mai reciso.
Appena lasciata quella poltrona, Dick riceve il suo ultimo 'salario': 806
mila dollari, più 4 milioni di dollari di arretrati. E la liquidazione?
Appena 40 milioni di dollari in azioni della società (di cui, evidentemente,
è ora socio 'eccellente').
Un anno dopo, però, si è visto recapitare ancora
1,6 milioni di dollari, sempre per arretrati. "Né alla Casa Bianca né alla
società - commenta il giornalista americano David Lazarus - sanno precisare
se quest'anno vi sarà un altro pagamento e fino a quando continueranno le
erogazioni. Si tratta di danaro cash accumulato proprio grazie ai business
della Halliburton in Afghanistan e a Guantanamo Bay". "Su quale libro paga -
si chiede - c'é il nome di Cheney?
Su quello governativo o su quello di una
società privata che fa affari con il governo? La risposta è: su entrambi.
Non ci potrebbe essere un esempio più chiaro e clamoroso di conflitto
d'interessi". Caro Cavaliere, impari dagli amici americani? Ma entriamo
nello scrigno di Halliburton. E scopriamo alcuni gioielli di famiglia.
Soprattutto uno, una controllata dalla sigla criptica, KBR, evocativa di
segreti alla russa. Invece, si tratta di un nome che tutti conoscono per via
dei korn flakes che fanno capolino nelle colazioni di molte famiglie:
Kellogg. Il suo nome completo, per la precisione, è Kellogg, Brown & Rott,
simbolo della democrazia economica a stelle e strisce per portare pane &
libertà in giro per il mondo.
Ed infatti, uno fra i tanti scopi 'sociali' di
KBR è di "provvedere al vettovagliamento delle truppe Usa nel quartiere
generale di Bagram", nel cuore del martoriato Afghanistan, come viene
documentato in un sito internet collegato alla società. KBR, comunque, non
si ferma qui: ed è capace di spaziare, per il bene dei popoli, a 360 gradi,
"approfittando gentilmente della finta guerra americana contro il
terrorismo", scrive ancora Lazarus.
Vediamo qualche suo intervento
filantropico degli ultimi mesi. Ha ricevuto dal governo Usa 725 milioni di
dollari per provvedere a rifornire di tutto punto il National Laboratory di
Los Alamos, nel New Mexico: si tratta del più importante centro nucleare di
tutti gli Stati Uniti. 15 milioni di dollari, invece, per "la rimozione e il
trasporto dei rifiuti pericolosi" dalla base missilistica della Florida. Nel
pedigree dell'ultimo anno, poi, spiccano i 470 milioni (sempre di dollari)
per le operazioni di supporto alle truppe alleate in Bosnia e Croazia, e i
47 per venire incontro alle esigenze della base navale di El Centro, la
Imperial County, a pochi chilometri dal confine col Messico. Cheney è
davvero un mago, perché riesce poi a siglare un contratto da 5 milioni
(ancora una volta di dollari) per la distruzione di vecchi ordigni bellici
nell'ex Unione Sovietica.
Ma è in Birmania che un'altra società controllata
da Halliburton riesce ad esprimersi nelle sue performance 'umanitarie' più
riuscite. In compagnia dell'italiana Saipem. Ecco cosa si può leggere in un
sito semiclandestino della California. La notizia è dell'estate scorsa. "Dal
1992 ad oggi, migliaia di villaggi in Birmania sono stati devastati, la
popolazione sterminata, rapita, torturata o bruciata viva, per fare in modo
che potessero liberamente svolgersi i lavori per la realizzazione di un
grande gasdotto. Sotto la regia di Cheney, è stata siglata una joint venture
fra Halliburton e l'italiana Saipem per i lavori a breve distanza dalla
costa di Yadana".
La controllata è la già citata Unocal, che a quanto pare
dovrà rispondere in tribunale per alcuni fra i tanti reati commessi: si sa,
per ora, il nome del fascicolo processuale, 'L'impegno della Halliburton
nelle distruzioni di massa'. Quando la democrazia è democrazia?. Non
soddisfatto, comunque, il colosso Usa ha pensato bene, qualche anno fa, di
metter su in un altro distretto birmano, quello di Yetagun, l'ennesimo
gasdotto, compiendo altri crimini. Passiamo alla Nigeria.
Altro maxi
business a base di gas, altro partner italiano, Snamprogetti. Rientra in
campo KBR. "Il progetto - proclama il numero uno della controllata, Jack
Stanley - verrà completato nel 2005. Siamo onorati di essere entrati a vele
spiegate nel mercato nigeriano, dopo i grandi progetti già realizzati in
Egitto". La società del gruppo Eni entra come partener al 25 per cento, in
compagnia della francese Technipe-Cofeplix e della giapponese JGC.
THE ALL STARS
Passiamo allora in rassegna gli appalti per la ricostruzione
nel martoriato Iraq. Già decisi a tavolino mesi prima dell'attacco da USAID,
l'Agenzia americana per lo sviluppo internazionale. C'è bisogno di spegnere
gli incendi nei pozzi petroliferi? No problem, provvede l'onnipresente KBR,
che ha in cassaforte in contratto con l'esercito Usa non solo per spegnere
gli incendi nei pozzi petroliferi, ma anche per la riattivazione di
"strutture di estrazione e oleodotti danneggiati dai bombardamenti", come
recita il contratto stipulato ben prima dell'aggressione.
In seconda
battuta, ecco pronta Bootts & Coots International di Houston (siamo ancora
fra i texani...). Occorre ricostruire in 8 settimane lo strategico porto di
Umm Qasr, l'unico in acque profonde esistente in Iraq? E' già in rampa di
lancio - appalto nel cassetto da 4 milioni e mezzo di dollari - la
Stevedoring Service of America di Seattle.
"Lo sbarco degli aiuti umanitari
- annunciato già gonfiando il petto gli alleati - inizierà comunque prima
dell'intervento della società e l'avvio dei lavori". Una grossa fetta della
prima tranche da 900 milioni di dollari - tanto per mettere un po' di
carburante nel motore della ricostruzione - sarà appannaggio di altre tre
creature della corte dei miracoli di casa (bianca) Bush: Betchel Group,
Fluor e Washington Group, storiche alleate di George W. nella sua corsa
verso la presidenza.
Nel consiglio d'amministrazione di Betchel, fra gli
altri, è presente George Shultz, il potente ex segretario di Stato. Nel
curriculum di quello che a New York definiscono "an Us Engineering giant",
cioè un gigante usa delle progettazioni, spicca una chicca 'umanitaria': il
contratto siglato con il governo boliviano per il riammodernamento
dell'acquedotto nella città di Cochacomba. La ricetta dei vertici di
Betchel? Privatizzazione.
E così, ad un mese dall'inizio dei lavori,
l'esterrefatta popolazione boliviana si è vista recapitare una bolletta
tripla rispetto alla precedente.
Apriti cielo, si scatena una sommossa, il
gigante a stesse e strisce è costretto a far subito fagotto. Ai vertici di
Fluor siede un'altra vecchia volpe dell'establishment Usa: l'ex
vicedirettore della Cia Robert Inman, che ha anche ricoperto lo strategico
ruolo di numero uno dell'Agenzia per la sicurezza nazionale. Ora fa parte
del consiglio d'amministrazione di Fluor.
Il cui staff, poi, da un anno può
contare su un altro pezzo da novanta, un super esperto nel settore militare:
si tratta di Kenneth Oscar, per anni numero due nell'esercito Usa,
responsabile del comparto dove transita la maggior liquidità (una quarantina
di milioni di dollari all'anno), quello per gli "acquisti di armi e
armamenti". Passiamo a Washington Group, il cui quartier generale è a Boise,
nell'Idaho. Un gruppo giovane ma potente (vi lavorano in 38 mila), nato a
luglio 2000 dall'incorporazione della Raytheon Engineers & Contractors nella
Morrison Knudsen Corporation (operazione che però ha portato sull'orlo del
crac).
Da pochi mesi, infatti, é uscita dal regime di amministrazione
controllata e questi appalti, ora, sono una vera manna. Nel suo carniere, in
passato, maxi commesse al Kennedy Space Center, la realizzazione del
gasdotto in Alaska e del San Francisco Bay Bridge, per fare solo qualche
esempio. In prima fila, poi, Lous Berger Group, nel cui pedigree figurano
lavori in Afghanistan (300 milioni di dollari per la strada Kabul-Herat), in
Kazakistan (per la costruzione di un grosso oleodotto) e nella ex
Jugoslavia. Infine - per ora - Parsons Corporation, che vanta un
lasciapassare di tutto rispetto: gli ottimi rapporti d'affati con KBR.
Il
bingo a stelle e strisce per i maxi appalti si è messo freneticamente in
moto. Già a febbraio il Pentagono - per soddisfare le martellanti richieste
di tante imprese di dimensioni medio grandi - aveva "sviluppato un programma
per occuparsi degli interessi economici delle società americane"; quindi ha
pensato bene di installare, sul proprio sito web, un numero di telefono
gratuito "con le informazioni necessarie alle ditte - viene precisato - per
essere aggiunte alla lista degli offerenti".
E' addirittura anteriore - fine
dicembre 2002 - un rapporto redatto da un pool di esperti di politica estera
statunitensi che "valuta la ricostruzione in Iraq in 20 miliardi di dollari
all'anno per parecchi anni".
Altri analisti, però, arrivano a stimare la
cifra in addirittura 50 - 60 miliardi di dollari. I 900 milioni di dollari
appena erogati, come si vede, sono un piccolissimo antipasto? Chiarissimo,
del resto, l'ultimo 'messaggio' di Condooleza Rice, il 4 aprile. "La
questione della ricostruzione riguarderà unicamente gli Usa, perché il peso
dello sforzo militare è stato portato avanti da noi". Una sorta di risposta
'preventiva' non solo ai primi timori di Blair, che auspica una 'gestione
Onu' del dopoguerra, ma anche degli altri alleati o semialleati europei, che
non vogliono farsi sfuggire la ghiotta occasione di montagne di danaro da
spendere. In prima fila, ovviamente, il governo italiano, che spera nella
'friendship' e nel filo diretto che ormai sembra legare indissolubilmente
Berlusconi & Bush.
ARRIVANO I NOSTRI
Possono mai rimanere a bocca asciutta, incollate ai nastri
di partenza una sfilza di imprese che vantano, oltre a buoni agganci, una
decennale esperienza di lavori all'estero, soprattutto nei paesi
mediorientali? Sembra un'ipotesi fantascientifica. Dunque, fanno capolino i
preparativi per la spedizione miliardaria.
"In prima linea - trapela dal
dipartimento retto dal ministero degli Esteri - dovrebbe attestarsi un
gruppo di imprese che sono già raggruppate sotto l'ombrello di una sigla
internazionale, Ames".
Le sigle italiane sono diverse: dalla Vianini spa del
gruppo Caltagirone alla Salini Costruttori spa (entrambe romane), dalla
Cogefarimpresit alla Grassetto Costruzioni, dalla Astaldi International (un
tempo nelle grazie dell'ex presidente dell'Iri, l'andreottiano Franco
Nobili) alla SCI spa, big del mattone targato Genova; alle meno 'celebri'
Falcione di Campobasso, Vispi Costruzioni di Gubbio, Giza di Reggio Emilia,
Inglen di Firenze, Schiavo Estero spa ubicata in via del Viminale a Roma.
Non mancano all'appello le imprese partenopee: De Lieto snc, sede in via
Cappella Vecchia, Co.ge.it. spa, uffici in via del Chiostro e Fondedile spa,
ubicata in via Verdi.
"Quest'ultima - c'è chi osserva al ministero retto da
Frattini - ha comunque anche un'altra porta d'ingresso, ancora più comoda.
Attraverso l'Inghilterra". Vediamo di capirci. Partenopea a tutti gli
effetti, la 'storica' Fondedile ha partorito, alcuni decenni fa, non poche
filiazioni estere. Ad esempio, la Fondedile Sae a Madrid, la Fondedile
Belgium ad Anversa, la Fondedile Foundation a Londra. Nelle ultime due, la
società madre ha conservato una quota azionaria del 50 per cento. Poi,
esattamente dieci anni fa, il passaggio di Fondedile nell'orbita Icla-Pafi,
il tandem che ha spopolato nel dopo terremoto (vedi inchiesta a pagina 10).
"Da allora - commentano alcuni all'Associazione costruttori edili napoletani
- non si è più saputo se Icla a sua volta ha mantenuto quella metà del
capitale sociale".
Ma ottimi rapporti di partnership, sicuramente sì. Eccoci
alla terza porta. Ce la spiegano, ancora, agli Esteri. "Sicuramente sarà
avvantaggiato chi ha già svolto lavori in Iraq. Soprattutto quando Saddam
era un alleato fedele degli Usa e dell'Europa". In quest'ottica, la pole
position spetta di diritto a due imprese. La milanese Gondwana spa, lussuosi
uffici nella centralissima via dell'Orso; e Icla Costruzioni - toh, chi si
rivede - che a fine anni ottanta, nel periodo d'oro dei suoi appalti
pubblici locali (post terremoto) e nazionali (nel variegato fronte delle
opere pubbliche), faceva man bassa di gare anche all'estero. E fra i paesi
spiccava proprio l'Iraq. Così viene fotografato nel volume Grazie Sisma,
edito nel 1990 dalla Voce, l'impegno dell'Icla: "sta realizzando a Mosul,
nell'area nord del paese, colossali opere di restauro". Chi non muore si
rivede.
I picciotti di Sigonella Mafia & appalti miliardari.
Un binomio andato in
scena in Sicilia, a Sigonella, sotto gli auspici della bandiera a stelle e
strisce. Un'inchiesta dal Direzione investigativa antimafia di Catania ha
sollevato il coperchio su quasi vent'anni di affari intrecciati fra militari
Usa e 'picciotti':
"A Sigonella - afferma il sostituto procuratore Nicolò
Marino - è emersa la corruzione di funzionari addetti alle gare d'appalto.
Si può dire che dall'89 in poi Cosa Nostra ha avuto un regime praticamente
di monopolio sui contratti stipulati dalla Marina Usa". Mafia chiama,
camorra risponde ed eccoci d'un balzo a Napoli, dove si trova il quartier
generale di Efamed, la Engineering Field Activity Mediterranean. Anche i
maxi appalti decisi da Efamed - secondo gli inquirenti - erano frutto di
accordi malavitosi.
Epicentro proprio nel capoluogo campano, Efamed svolge
da anni un'intensissima attività logistica di supporto alle basi militari
statunitensi, occupandosi soprattutto di edilizia, infrastrutture e servizi.
La 'piovra', comunque, si ramifica in tutto il Mediterraneo. Oltre ai 150
addetti civili e 25 militari impegnati a Napoli, infatti, è attiva a
Sigonella, appunto, in Friuli alla base di Aviano, in Spagna a Rota, a
Creta, nella baia Souda; inoltre - sottolineano nel sito ufficiale della
dinamicissima sigla - svolge un'intensa attività come 'supporto
ingegneristico' nelle postazioni Usa disseminate negli irrequieti Balcani.
Leggiamo alcuni passaggi di un significativo reportage pubblicato a firma di
Antonello Mangano su Antimafia 2000.
"Le informazioni interne alla base di
Sigonella erano essenziali, perché le notizie sugli appalti non sono
accessibili dall'esterno. I responsabili del Naval Criminal Investigation
Service hanno affermato che nella vicenda il governo Usa è parte lesa e
annunciano la costituzione di parte civile. Tuttavia, l'avvocato della base
di Sigonella, Sandro Attanasio, in altri processi difende Aldo Ercolano,
nipote di Santapaola.
Sfruttando i rapporti con i responsabili della Marina
americana e con i funzionari degli uffici contratti delle basi Nato di
Napoli e Sigonella - scrive Mangano riportando passaggi di un documento
della Dia - i funzionari hanno favorito l'aggiudicazione delle relative gare
d'appalto, anche comunicando alle società controllate dai mafiosi le stime
governative indispensabili per predisporre le offerte". Aggiunge Magano:
"Non è certo la prima volta che si assiste al connubio tra mafia e militari
Usa. All'inizio degli anni '80, tanto per fare un esempio, Angelo Siino
comprò terreni adiacenti la base di Sigonella.
Il 'ministro' di Totò Riina
fece quell'acquisto su indicazione di Stefano Bontade, capomafia e massone
di primissimo piano, e della famiglia italoamericana dei Gambino. Il giudice
Marino afferma che quei terreni furono utilizzati per summit mafiosi,
riunioni tra i più grandi criminali del mondo che si svolgevano a due passi
dalla base. Successivamente - aggiunge - quelle terre furono vendute alla
marina Usa per l'allargamento della base, in particolare per la costruzione
della pista dell'aeroporto.
E' stato lo stesso Siino a riferire ai giudici
dell'affare, allargando poi il discorso al complesso degli appalti
all'interno dell'installazione militare". Non solo appalti pericolosi un po'
in tutti i settori (altamente 'contaminati' anche quelli delle pulizie e
della ristorazione, tipici canali di riciclaggio malavitoso), ma anche
episodi inquietanti e misteriosi. Ad esempio lo 'strano' incidente del 19
novembre 1998, quando precipita un CH-46, attrezzato per il trasporto di
marines e armi o merci nelle zone operative belliche.
Oppure l'arrivo -
sempre coperto dal massimo riserbo - di alcuni 'velivoli': come i
cacciabombardieri F16 e F11, "in grado di trasportare - sospetta più d'uno
alla base - armi nucleari del tipo B43, con potenze distruttive che variano
da 100 chiloton ad un megaton". "I ricercatori statunitensi Arkin e
Fieldhouse - scrive Mangano su Antimafia 2000 - hanno stimato nella base
siciliana la presenza di non meno di cento testate nucleari, valore che
cresce in particolari periodi di esercitazioni aeronavali nel mediterraneo o
durante le crisi internazionali". E adesso più che mai. Ma chi gestisce i
servizi aeroportuali a Sigonella?
Una società di 'palazzinari' a stelle e
strisce, PAE Consulting Engineers inc., consorziata con altre due sigle
minori italiane, la locale Climega Sud, specializzata in impianti di
riscaldamento, e la Aviation Management, legata al gruppo Caltagirone.
Scorriamo ancora le inchieste di Antimafia Duemila: "Pae ha cominciato
costruendo edifici per i militari di stanza a Saigon, poi ha rastrellato
appalti di varia natura, soprattutto negli Usa e nel Pacifico. Col processo
di globalizzazione dei mercati Pae ha trovato appoggi per poter operare al
di fuori di tutte le regole.
Non è difficile ipotizzare che possa essere
un'espressione della Marina Usa". A livello ufficiale, comunque, risulta che
fra i 'soci fondatori' è annoverata la moglie dell'ex presidente degli Stati
Uniti Johnson. Prima del 'gruppo Pae', le operazioni di handling nella
strategica base di Sigonella venivano svolte dalla napoletana Alisud, ora
entrata nell'azionariato di Gesac, la società che gestisce lo scalo
partenopeo.
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