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BREVI CENNI STORICILa moderna e secolare Turchia nasce nel 1923 fondata da Mustafa Kemal detto Ataturk allo scopo di costruire uno stato nazionale borghese sulle ceneri di un impero semi-coloniale. Alla fine degli anni ‘20 la repressone dello Stato Kemalista colpì ogni forma di opposizione che fosse politica, sociale o religiosa ed in particolare si concentrò sul movimento nazionale kurdo; il kemalismo era infatti un regime totalitaro che non sopportava nemmeno la presenza di un altro partito borghese e la Turchia sarà governata fino al 1946 da un regime a partito unico. Le legittime aspirazioni del popolo kurdo verranno represse negli anni e con i modi più atroci dallo stato turco, impiegando 300.000 soldati al giorno e provocando un conflitto che a tutt’oggi ha determinato decine di migliaia di morti, 4000 villaggi rasi al suolo o fatti evacuare con la forza e l’esodo forzato di centinaia di migliaia di persone. In Turchia, nel periodo compreso tra il 1925 ed il 1938, 200 mila Kurdi saranno uccisi ed un milione e mezzo deportato in Anatolia. Nel solo decennio 1984/1994 i villaggi Kurdi distrutti ammontano a duemila, le vittime della violenza dell’esercito sono oltre 34 mila, 30 mila profughi sono riparati in territorio iracheno, almeno tre milioni di Kurdi hanno dovuto abbandonare i propri villaggi e trovare rifugio nelle metropoli turche o emigrare in Anatolia. L’unico quotidiano kurdo pubblicato in lingua turca è stato chiuso nel 1995, nel 1994 aveva pubblicato 247 numeri di cui 220 confiscati.
Ma la storia della Turchia è anche storia di resistenza e di lotta, che risale alla metà degli anni sessanta, periodo in cui gli studenti del Dev-Genc (Gioventù Rivoluzionaria) e del Tip (Partito del Lavoro Turco) manifestavano quotidianamente nelle piazze dove si incontravano con le manifestazioni operaie, che erano portatrici delle stesse istanze di trasformazione e di libertà di cui era interprete l’allora movimento di classe internazionale. Le organizzazioni rivoluzionarie si trovavano al culmine dello scontro di classe con lo Stato Turco e le sue forze di sicurezza, alcune organizzazioni come il Thko (Esercito popolare di liberazione turco) ed altre, avevano intrapreso la lotta armata per combattere la violenza e la repressione dello Stato. Lo scontro di classe fu risolto dalla borghesia turca affidando il potere politico ai militari che diedero vita al primo dei tre Golpe militari della storia recente di questo paese. Il secondo colpo di stato avviene il 12 marzo del 1971, i militanti comunisti e tutti coloro che potevano essere considerati degli oppositori vennero arrestati imprigionati e sistematicamente torturati dalle forze speciali militari.
Ma questo Golpe invece di fermare il movimento di classe aveva provocò una lotta di resistenza dei movimenti di liberazione sociale. Il conflitto continuò a crescere, decine di gruppi comunisti legali ed illegali continuarono la lotta per la trasformazione sociale; il 1° maggio del 1977 si verificò uno degli episodi di maggiore repressione quando uno scontro a fuoco tra militanti comunisti e forze speciali dell’esercito portò all’uccisione di 37 manifestanti che assieme ad altri 500.000 partecipavano al corteo di Istanbul per commemorare la giornata del 1° maggio.
Il terzo colpo di stato è del 12 settembre del 1980, quando il Partito di azione nazionale (Mhp), un partito fascista che era stato in precedenza utilizzato dallo stato per colpire scioperi e manifestazioni, diventerà il principale protagonista di questa fase politica. Migliaia di militanti della sinistra verranno incarcerati ed uccisi. Sempre a seguito del colpo di stato dell'80 la Turchia modificò ulteriormente la propria costituzione in chiave autoritaria, prevedendo la inconcedibilità di proveddimenti di amnistia nel caso di crimini commessi contro lo stato, introdusse nei casi di "terrorismo" il regime dei carceri speciali cd. "blocchi E", ed inoltre per giudicare gli stessi reati furono istituiti i Tribunali Speciali con giudici militari.
Oggi la Turchia “in teoria” ha un sistema “parlamentare e democratico”, ma è ugualmente un sistema di potere che si basa sul ruolo centrale dell’esercito e su un livello di repressione di chiara marca fascista; un sistema che trova la sua legittimazione nella lotta, al suo interno, al separatismo Kurdo e nella lotta alla sinistra rivoluzionaria, e nel suo ruolo di baluardo degli interessi occidentali (U.S.A./NATO in primis) nell’area geostrategica mediorientale ed oggi in quella caucasica, in chiave internazionale. La dissidenza interna, non solo quella delle organizzazioni rivoluzionarie, ma anche quella politica sociale o sindacale è colpita con ogni mezzo ( p.e. ventisei giornalisti sono stati uccisi, 329 posti in stato di fermo, 77 sono stati incarcerati nel corso del 2000). Gli oppositori governativi continuano ad essere incarcerati e torturati in qualsiasi momento, dal 1990 al ’96 400 militanti comunisti e kurdi risultano scomparsi, nello stesso periodo almeno 2500 militanti sono stati assassinati da gruppi di controguerriglia che cooperano con la polizia e le forze militari, la tortura è ancora una realtà diffusissima, in particolare quelle sessuali che vengono praticate sull’85% delle donne detenute.
Attualmente in Turchia vi sono decine di organizzazioni comuniste legali ed illegali, ed è in questo scontro di classe che va letta anche l’attuale battaglia dei prigionieri e delle prigioniere politiche all’interno delle carceri, battaglia condotta per opporsi alle barbare forme di detenzione ed alla introduzione dei nuovi super carceri detti “blocchi F” (che mirano all’annientamento dell’integrità fisica e della soggettività rivoluzionaria dei prigionieri politici).
L'assalto del 19/12/'00La lotta di resistenza dei prigionieri e delle prigioniere Turche inizia il 20/10/2000 (anche se le proteste e le rivolte sono una costante nelle carceri turche - in particolare lo sciopero della fame del 1996 in cui morirono 12 detenuti per protestare per le condizioni di detenzione e che portò alla chiusura del carcere speciale di Eskisehir detto la bara) con l’avvio di uno sciopero della fame contro il trasferimento dei/delle P.P. nelle nuove strutture carcerarie denominate carceri di tipo “F”. I carceri di tipo “F” devono, nelle intenzioni governative, sostituire i precedenti penitenziari di tipo “E”, introdotti con il colpo di stato del 1980, che sebbene fossero già dei carceri speciali permettevano un’ampia socialità e solidarietà tra i detenuti/e, che venivano spesso rinchiusi in camerate che potevano contenere fino a duecento prigionieri/e. Queste strutture anche se sovraffollate e con scarsissime condizioni igieniche e sanitarie consentivano tuttavia ai P.P. di mantenere salda la propria identità collettiva e li rendeva meno vulnerabili nei confronti delle guardie carcerarie abituate/addestrate ad ogni forma di sopruso. L’introduzione dei carceri di tipo “F” tende ad eliminare la resistenza e la forza dei prigionieri (accusati dal governo di controllare le carceri); i nuovi speciali sono dotati di celle da uno a tre posti, hanno il passeggio davanti alla cella e non prevedono alcun contatto nè visivo né fisico con gli/le altre detenute, esponendo i/le recluse a tutte le più distruttive pratiche di tortura praticabili in regime di isolamento, in primis la deprivazione sensoriale . La sorveglianza non è più affidata alla “normale” custodia ma viene direttamente gestita dai militari. Il modello su cui è costituito lo speciale di tipo “F” è quello adottato da tutti i paesi occidentali, e non solo, nel corso degli anni ’70 ed ‘80, anche definito come modello Stammhein o carcere di annientamento. Questa concezione concentrazionaria era stata precedentemente utilizzata nei paesi occidentali per reprime le organizzazioni rivoluzionarie e più in generale l’opposizione di classe nel corso dell’ultimo grande ciclo di lotte (per l’Italia l’introduzione risale al 1977 con l’apertura del circuito dei carceri speciali, con l’introduzione nel 1982 dell’art. 90, oggi ancora in vigore con l’art. 41 bis dell’ordinamento penitenziario, altri esempi sono il regime di isolamento FIES in Spagna, oltre alle svariate esperienze dei circuiti speciali in USA e Germania etc). Un esempio emblematico dell’esperienza accumulata dagli architetti italiani nella costruzione dei carceri speciali è data dal fatto che la costruzione della pianta dei carceri di tipo “F” è stata affidata dall’Unione degli architetti di Istambul all’architetto fiorentino Lombardi.
Lo sciopero della fame dei/delle P.P. Turchi inizia con 850 detenuti/e appartenenti alle organizzazioni rivoluzionarie DHKP-C (Partito rivoluzionario del popolo) dal TKP (Partito comunista della Turchia) e del TKIP (Partito comunista dei lavoratori). Il 19/12/’00 alle ore 04.00 a.m. 8000 soldati delle forze di sicurezza dell’esercito iniziano l’attacco di venti carceri simultaneamente, l’assalto in alcune carceri si conclude soltanto il 22/12 nel carcere di Umraniye (4 P.P. uccisi) mentre il 21/12 l’esercito aveva vinto la resistenza dei P.P. nel carcere di Canakkale abbattendo i muri con i buldozzer (bilancio 3 morti e decine di feriti). Nel corso dell’assalto oltre al larghissimo uso di armi da fuoco vengono usate 20.000 bombe, armi chimiche e gas stordenti. Il risultato dell’assalto è di oltre trenta morti e di centinaia di P.P. feriti, di cui soltanto una parte condotta in ospedale. Dopo il massacro oltre novecento compagni e compagne vengono trasferiti nei primi due carceri di tipo “F” appena ultimati (altri sei sono in corso di realizzazione). I racconti delle associazioni dei familiari sono estremamente drammatiche i P.P: appena giunti nei nuovi carceri sono stati torturati e stuprati -uomini e donne indifferentemente -, almeno due volte al giorno i P.P. sono fatti uscire dalla cella e pestati e/o umiliati (ad esempio praticando il taglio dei capelli, dei baffi e della barba). Ogni giorno attraverso gli altoparlanti posti nelle celle sono inondati da canzoni di marce militari ed “inni patriottici”. I/le P.P. feriti non hanno ricevuto cure mediche nemmeno quando hanno subito nel corso dell’assalto del 19 ferite da arma da fuoco o fratture agli arti, abbandonati spesso in celle singole. Libri, giornali, carta, penna radio e televisione sono assolutamente vietati. Le visite dei familiari e degli avvocati sono disincentivate dall’opera di intimidazione dei militari che minacciano, provocano e sottopongono i visitatori ad umilianti perquisizioni, per le donne perquisizioni vaginali.
Nonostante il clima di, pesantissima e capillare, repressione durante lo sciopero della fame e nei giorni successivi l’assalto, associazioni di familiari dei P.P. assieme ad altre organizzazioni politico e sociali, manifestavano in solidarietà ai prigionieri/e, e contro il loro trasferimento La risposta repressiva dello Stato si manifestava in più riprese con cariche nei cortei e nei presidi, con la chiusura di sedi politiche e di associazioni dei diritti umani, con l’arresto di militanti/e e torture generalizzate: 200 compagne e compagni vengono arrestati durante le manifestazioni di protesta del 19/12/’00 ad Istanbul, il 23/12/00 la sede della Tayad di Istanbuk ( associazione dei familiari dei P.P.) viene attaccata dalla polizia e sono arrestate decine di attivisti/e comprese delle madri dei P.P. ormai al 51° giorno di sciopero della fame, il 3/1/01 la sede della Tayad di Taksim viene chiusa e sigillata, il 5/1/’01 nella sede della Tayad di Findikazade avviene una irruzione della polizia, il 8/1/’01 gruppi di fascisti appoggiati dalla polizia assaltano la sede della Tayad di Aegean, nelle ultime settimane decine di compagni/e della Tayad sono arrestati e torturati in tutta la Turchia il 19/12 a Van il 22/12 a Konya il 1/1/01 a Bursa; nelle stesse settimane vengono attaccate e perquisite le sedi dell’Ihd (associazione dei diritti umani) e gli attivisti/e vengono arrestate e torturate in particolare il 17/12 nella sede di Istanbul ed il 7/1/01 quando vengono arrestati 40 militanti/e; il 4-5-6/1/01 vi sono attacchi polizieschi alle sedi dell’Hadep (partito filo kurdo) a Van- bingol- Bitlis- Agri- Igdir- Batman e Iskenderum nel corso di queste operazioni avvengono decine di arresti; il 6/1/01 la Turchia continua ad ammassare truppe (10.000 soldati) al confine con il nord dell’Iraq in attesa di una nuova campagna contro le basi del PKK.. Intanto in alcune città europee, Parigi- Francoforte- Strasburgo- Londra- Rotterdam la, solidarietà internazionalista si fa sentire, la diaspora turca e kurda assieme alla sinistra antagonista di quei paesi si mobilita in solidarietà con i P.P contro l’intervento militare del 19/12. Nei giorni successivi al massacro un militante della sinistra rivoluzionaria turca viene ucciso, a Rotterdam, da una squadraccia dell'organizzazione fascista turca "Lupi Grigi".
IL RUOLO DELLA TURCHIA NELLO SCACCHIERE INTERNAZIONALELa Turchia è un paese anomalo nello scacchiere internazionale, è anomalo perché aspira sia ad entrare nella Unione Europea, per motivi di riconoscimento economico, sia mantenere il suo ruolo di gendarme della N.A.T.O. che gli è conferito da un contesto geografico che gli permette di fungere, storicamente, da avanguardia militare sia per l'area mediterranea che per quella medio-orientale ed attualmente anche per l’area caucasica (le Repubbliche ex sovietiche con enormi giacimenti di materie prime e fonti energetiche). Verifichiamo quindi che la Turchia si trovi in una situazione di contraddizione in quanto punto intermedio fra le due sfere d'influenza statunitense ed europea. Ciò deriva da due fattori:
1) Il primo è il ruolo politico e militare di controllo del Golfo nei contrasti di carattere nazionale e internazionale. Si ricordi a questo proposito l'accordo di strategie politico-militari comuni che la Turchia ha stilato con Israele. Il contesto in cui tale accordo si svolge arriva addirittura ad appianare le contraddizioni normalmente ipotizzabili tra un governo islamico ed Israele.
2) i due blocchi statunitense ed europeo hanno entrambi intenzione di accrescere il proprio controllo sull'area e, contemporaneamente, di contenere l'uno l'influenza dell'altro. La Turchia diviene quindi lo stato in cui accrescere, per gli Stati Uniti, la propria influenza militare, per l'Unione Europea, quella economico-politica da cui trarre, oltre tutto, i vantaggi offerti dalle materie prime e dalla manodopera a basso costo di cui questo paese abbonda. E' di esempio, di quest'ultimo discorso, la politica della Pirelli o della FIAT che, negli ultimi anni, sta trasferendo, in territorio turco, i propri stabilimenti, o la Benetton che alla faccia delle campagne pubblicitarie "progressiste", in Turchia sfrutta nelle sue fabbriche addirittura i bambini. Tra le materie prime di cui la Turchia è ricca, spicca, per importanza che assume nell'area mediorientale, l'acqua. Da anni la Turchia ha avviato un progetto, il GAP, per lo sfruttamento e il controllo delle acque del Tigri e dell'Eufrate.
Il GAP prevede la costruzione, nel Kurdistan turco, di 22 grandi dighe e 19 centrali idroelettriche. Questo progetto sta provocando conseguenze disastrose, 200mila curdi sono stati costretti ad abbandonare le loro terre e sono finiti in gran parte a ingrossare le file dei disperati che vivono nelle bidonvilles delle grandi città turche. Il progetto sta dando alla Turchia il controllo totale delle acque del Tigri e dell'Eufrate, provocando forti conflitti con Siria e Iraq, paesi già colpiti da gravi carenze idriche. Il progetto sta determinando la perdita per sommersione di aree di grandissimo interesse storico-culturale, come la pianura di Harran, ai confini con la Siria, dove si trovava il leggendario Tempio del Peccato, e la città romana di Zeugma. La costruzione della diga più grande del progetto Gap, la diga di Ilisu è affidata a un consorzio guidato dalla svizzera Sulzer Hydro e composto dall'inglese Balfour Beatty, dall'italiana Impregilo, dalla svedese Shanska e dalle compagnie turche Nurol, Kiska e Tekfen. Abb Power Generation e la stessa Sulzer Hydro forniranno le attrezzature per la generazione di elettricità.
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