Le sabbie bituminose del
Congo
Un
rapporto svela i megaprogetti criticati da società civile ed esperti.
Allarme ambiente in Congo,
nel mirino gli investimenti Eni (di Elena Gerebizza). Reds - Febbraio 2011
Nel maggio del 2008, la compagnia del cane a sei zampe ha
siglato un accordo "ombrello" - non reso pubblico per la clausola
di confidenzialità - con l'esecutivo congolese per un investimento
di 3 miliardi di dollari nel periodo 2008-2012.
Il rapporto tra Eni e il territorio della Repubblica democratica del Congo
risale alla fine degli anni Sessanta. Ma è di questi mesi la pianificazione
di un investimento multimiliardario su diversi fronti.
L' intesa copre: l'esplorazione delle sabbie bituminose, la produzione di
olio di palma per alimentazione e biocombustibili e la costruzione di un impianto
a gas da 350/400 megawatt.
Un rapporto redatto dalla Fondazione Heinrich Boell e dalla Campagna per la
Riforma della Banca Mondiale racconta il rapporto controverso tra la compagnia
e la RdC.
Le sabbie bituminose e i biocombustibili sono due aree di investimento molto
controverse e fortemente criticate dalla società civile internazionale
e dagli organismi scientifici a causa dei loro devastanti impatti sociali
e ambientali e, sia a livello locale che globale, per le elevate emissioni
di gas serra ad essi riconducibili.
La produzione di un barile di sabbie bituminose rilascia nell'atmosfera dalle
tre alle cinque volte più gas nocivi della quantità derivata
dall'estrazione di petrolio convenzionale, oltre a causare livelli di inquinamento
delle acque e della terra mai visti prima nel settore.
L'area interessata dalla attività dell'Eni in Congo copre un'estensione
di 1.790 chilometri quadrati e secondo Eni dovrebbe portare alla produzione
di 2,5 miliardi di barili di greggio, con altri 500 milioni possibili.
La minaccia che lo sviluppo delle sabbie bituminose in Congo possa causare
danni ambientali e sociali irrimediabili è particolarmente preoccupante:
la maggior parte del territorio incluso nella licenza è coperto da
foresta tropicale primaria, mentre il rimanente è popolato da comunità
locali di produttori agricoli su piccola scala.
Inoltre, la seconda città del Paese, Pointe Noire, si trova a soli
70 chilometri dal luogo dove l'Eni sta attualmente effettuando i primi test.
Nonostante l'Eni abbia dichiarato che cercherà di «minimizzare
gli impatti ambientali e di studiare le tecniche più appropriate di
conservazione e recupero», al momento sembra davvero difficile pensare
a una maniera sostenibile di sfruttamento delle sabbie bituminose. Le stesse
comunità locali congolesi sono preoccupate per la mancanza di consultazioni,
non solo per la questione delle sabbie bituminose, ma anche per quelle dello
sfruttamento petrolifero tout court.
Nel giacimento di M'Boundi, gestito proprio dall'Eni, la compagnia continua
la pratica del gas flaring che consiste nel bruciare a cielo aperto gas naturale
collegato all'estrazione del greggio ed è fonte di piogge acide e considerato
una delle cause principali dell'effetto serra.
I piani dell'Eni di trasformare questo gas in energia elettrica potrebbero
essere i benvenuti, ma solo se i cittadini congolesi - per il 70% senza accesso
all'energia - potranno beneficiarne, e se gli stessi saranno messi a conoscenza
nel dettaglio sulle politiche ambientali.
Il Congo è oggi il quinto esportatore africano di petrolio, eppure
è anche uno dei Paesi più poveri. Lì come in molti altri
Paesi del Sud l'oro nero non ha portato benessere, al contrario la storia
del Paese è segnata da conflitti e corruzione.
Ancora oggi il Congo non ha adeguate normative ambientali né la capacità
di metterle in atto. Insomma, un contesto molto complesso, dove la questione
delle sabbie bituminose non fa che complicare ulteriormente le cose.