"Cento passi"
forse non bastano.
Riflessioni critiche sul film di Marco
Tullio Giordana. Di
Giuseppe Strazzulla, redattore della rivista siciliana "Città d'Utopia.
Iniziative, analisi, dibattiti, sogni fra le città del sud." Ottobre
2000.
Dopo vent'anni di silenzio pressoché
totale di istituzioni e mezzi di informazione "ufficiali", il nome
di Peppino Impastato, giovane militante di Democrazia Proletaria ucciso a Cinisi
(PA) nella notte tra l'8 e il 9 maggio1978 (lo stesso giorno di Aldo Moro),
viene "scoperto" da gran parte dell'opinione pubblica ed improvvisamente
"ricordato" da vecchi e nuovi compagni di diversa provenienza e variegato
approdo politico. I cento passi, il film di M. T. Giordana presentato
alla Mostra del cinema di Venezia (e vincitore del premio per la sceneggiatura
di Claudio Fava e Monica Zappelli) in questo senso ha colto nel segno: l'idea
di un cinema al servizio della memoria collettiva ha qui un seguito coerente
al precedente Pasolini, un delitto italiano (1994) e costituisce un elemento
importante di riflessione sui meccanismi mafiogeni, nonché sulla possibilità
di resistergli e di combatterli.
Detto però dei meriti politici del film, non possiamo sfuggire alla denuncia
della strumentalizzazione di Impastato che ancora una volta viene effettuata,
e di quanti hanno tentato di ricostruire moventi e dinamiche della sua uccisione.
Se anche Luciana Castellina scrive: "Tutte queste cose su Peppino Impastato
[...] non le ricordavo [...] forse perché non avevo mai seguito le trasmissioni
di Radio Aut, non avevo mai saputo del suo estro, della sua ironia, della sua
capacità di tradurre la politica in spettacolo popolare" (1), è
segno che le informazioni raccolte da chi per tutti questi anni ha fatto in
modo di arrivare alla verità non sono circolate nemmeno tra i compagni
di Peppino. La riflessione sull'esercizio e la funzione della memoria, di cui
le nostre riviste si fanno spesso interpreti, è posta da qualche tempo
di fronte a nuove pratiche: non è più l'oblio che ci preoccupa,
quanto le forme più o meno dirette di "appropriazione" di figure
e avvenimenti con l'intento di espugnare la cittadella della memoria collettiva
ed insediarvisi come antichi abitanti testimoni del tempo, con il risultato
di trasformare in icone mute financo figure alternative che della propria diversità
avevano fatto, oltre che strumento di lotta, motivo di sofferenza e a volte
di emarginazione.
E' lecito attribuire al film simili intenti? Certamente no, se, com'è
corretta prassi, ci limitiamo a "leggere" quel che il film ci racconta:
la rottura di Peppino col padre e la sua attività antimafia; la partecipazione
all'onda del Sessantotto nei gruppi della Nuova Sinistra; la conduzione delle
lotte dei contadini espropriati per la costruzione della terza pista dell'aeroporto
di Punta Raisi. E ancora: l'attività del gruppo "Musica e cultura";
la nascita di "radio Aut", dalla quale denuncia in forma di satira
sempre più feroce le attività criminali di Tano Badalamenti (che
abita a "cento passi" dalla casa di Peppino); la candidatura da indipendente
per Democrazia Proletaria alle elezioni del 1978. Fino all'uccisione con una
carica di tritolo. Ma, purtroppo, qui il film si ferma e, seguendo regole narratologiche
universali, termina in gloria santificando l'eroe, al punto che ad uno spettatore
ingenuo può sembrare che le informazioni che precedono i titoli di coda
(la Procura di Palermo incrimina Badalamenti nel 1997) costituiscano la normale
e "civile" conclusione di una lunga vicenda che ha ottenuto giustizia.
Nella realtà, il vero "caso Impastato" si apre al momento stesso
della sua morte: le indagini (sintetizzate nel film nella figura bonaria del
maresciallo coscienzioso e in quella ottusa del capitano senza scrupoli) convergono
sulla comoda tesi dell'incidente nel corso di un attentato terroristico, e la
stampa, peraltro distratta dalla coincidenza con il delitto Moro, fa propria
la tesi senza porsi dubbi. Il "Corriere della sera" del giorno seguente
titola: ULTRA' DI SINISTRA DILANIATO DALLA SUA BOMBA SUL BINARIO. Che si tratti
di intenzionale depistaggio o di involontaria superficialità, sono significativi
del clima politico di quei giorni la serie di omissioni e i metodi di conduzione
delle indagini (2). La madre e il fratello, i compagni di militanza politica
e il Centro di documentazione,
che nel 1980 si sarebbe intitolato a Giuseppe Impastato, sono gli unici ad individuare
subito la matrice mafiosa del delitto e, negli anni seguenti, a tener viva la
lotta per il riconoscimento della giustizia. Nel maggio del 1984 l'Ufficio Istruzione
del Tribunale di Palermo, sulla scorta delle indagini condotte dal Consigliere
Istruttore Rocco Chinnici, riconosce la matrice mafiosa, ma nel 1992 archivia
il caso escludendo la possibilità di individuare i colpevoli. Solo nel
1996, dopo un'istanza del Centro e un esposto dei familiari, l'inchiesta è
riaperta, anche per le dichiarazioni del collaboratore di giustizia Salvatore
Palazzolo; e nel novembre 1997, finalmente, viene emesso un ordine di cattura
per Badalamenti. Sono soltanto di pochi giorni fa le immagini del boss in video-conferenza
per l'udienza processuale.
Come si vede, c'è materiale per scrivere un altro film sul "dopo".
Certo, sarebbe meno spettacolare di quello già fatto, che comunque ha
anch'esso qualche lacuna, causata da un lato dalla tentazione di "umanizzare"
televisivamente i personaggi, dall'altro dal livello non omogeneo degli interpreti,
non tutti capaci di reggere la minuziosa autorialità del regista; ma
è altrettanto certo che la memoria, sia pure abbassando i toni dell'emozione
e della "voglia di fare" di chi esce dalla visione del film, avrebbe
avuto un ruolo ancor più significativo di quanto dicevamo all'inizio
di questa nota se avesse ricordato che ancora oggi, per le coscienze di quanti
non hanno voluto dimenticare, l'antimafia è oggetto di divisione nella
società italiana (e in quella siciliana in particolare), più che
di conciliazione o, peggio, di consociativismo.
(1) "il Manifesto", 5 settembre 2000, p.2.
(2) cfr., oltre alle numerose ricostruzioni
del "Centro siciliano di documentazione Giuseppe Impastato" di Palermo
(fra le quali è particolarmente significativa "La mafia in casa
mia", intervista di Anna Puglisi e Umberto Santino alla madre di Peppino,
Felicia Bartolotta Impastato, ediz. La Luna, Palermo, 1987), il primo capitolo
del libro di Claudio Fava, "Cinque delitti imperfetti", Milano, Mondadori
1994 e Luciano Mirone, Gli insabbiati, Roma, Castelvecchi 1999.