Obbiezione
di coscienza
Riportiamo un pezzo scritto nel 1997 da
Norberto Bobbio sullo scottante tema della guerra e sull'atteggiamento che come
singoli dovremmo tenere senza coinvolgimenti emotivi. Le tesi di Bobbio sono
radicali e forse non completamente condivisibili, ma rappresentano un utile
riferimento per la formazione di un'idea personale. Reds - Maggio 2006
Mi propongo di chiarire il
significato storico e il significato attuale dell'obiezione di coscienza.
Parto dalla definizione piu' generale: l'obiettore di coscienza e' colui che
rifiuta incondizionatamente la guerra.
Si badi: incondizionatamente, cioe' senza condizioni. In altre parole: e' colui
che non accetta nessuno dei tentativi che sono stati fatti per giustificare
la guerra.
Si dira': nulla di nuovo. Tutti condannano la guerra. La condannano, ma la fanno.
E poi, e' vero che tutti condannano la guerra? Siamo proprio sicuri di essere
tutti d'accordo che la guerra e' cosa da condannarsi incondizionatamente?
Guardiamo la storia, la storia della nostra civilta' cristiana, illuministica,
umanitaria.
Abbiamo sempre giustificato la guerra.
Moralisti, filosofi, teologi sono andati a gara a escogitare teorie per giustificare
la guerra. E la guerra, sinora, c'e' sempre stata. Noi l'abbiamo giustificata
proprio perche' c'e' sempre stata. E, del resto, come e' possibile resistere
alla tentazione di dare una giustificazione di quello che e' un elemento costitutivo,
essenziale, della nostra storia? Poiche' parte della storia e' storia di guerre,
se noi non riuscissimo a giustificare la guerra, la storia ci apparirebbe o
come un immenso errore o come una assurda follia.
Per non dover credere che la storia umana sia una storia sbagliata o assurda,
filosofi, moralisti e teologi hanno dovuto giustificare la guerra.
E' stata giustificata in tanti modi.
Ne indico quattro.
Anzitutto con la distinzione, accolta per alcuni secoli dalla teoria del diritto
internazione, tra guerre giuste e ingiuste.
Si dice: non tutte le guerre sono uguali; vi e' guerra e guerra. Alcune guerre
sono un male, altre non lo sono. Sono un male, per esempio, soltanto le guerre
di conquista, non le guerre di difesa.
Seconda giustificazione: la guerra e' un male minore. Tutte
le guerre sono un male, ma vi possono essere malanni peggiori della guerra,
la perdita della liberta', dell'onore nazionale, della fede avita. Qui siamo
di fronte a un conflitto di valori. La guerra rappresenta solo la negazione
di un valore, quello della pace. Ma la pace e' il valore supremo? Non vi sono
altri valori piu' alti della pace? La liberta', la giustizia, l'onore, la religione?
Terza giustificazione: la guerra e' un male (non si dice se maggiore o minore,
e non si fa piu' un confronto con qualche altro valore) ed e' un male
necessario. Necessario perche' senza guerra non c'e' progresso, non
c'e' sviluppo storico. La storia procede per affermazioni e negazioni: se non
ci fosse la negazione, non ci sarebbe neppure l'affermazione. E' la concezione
dialettica della storia, oppure la concezione della guerra come molla del progresso.
Il pacifista Kant aveva fatto l'elogio dell'antagonismo e della guerra. Chi
volesse raccogliere un bel florilegio di elogi della guerra come momento necessario
dello sviluppo storico, non avrebbe che l'imbarazzo della scelta.
Quarta giustificazione: la guerra non e' ne' un bene ne' un male.
E' un fatto. Essendo un fatto, e' quello che e'. Non si discute: lo si accetta.
Fa parte del nostro destino o se volete, del disegno della provvidenza.
Anche Croce si inchinava alla tremenda maesta' della guerra, e l'immanentista
Gentile la chiamava "dramma divino". Se la guerra e' inevitabile,
non possiamo far nulla contro di essa. Magari non provocarla, ma quando scoppia
per ragioni imprevedibili e insondabili, bisogna fare il proprio dovere.
Riflettiamo su questa frase: fare il proprio dovere. Fare il proprio dovere
significa in questo contesto accettare il proprio destino, accettare la condanna
di essere uomini.
Ho voluto soffermarmi brevemente sulle principali ideologie della guerra, perche'
solo cosi' entriamo nel vivo del problema agitato dagli obiettori di coscienza.
In termini generali, si puo' dire che l'obiettore di coscienza e' colui che
non accetta in principio nessuna di queste, e di altre possibili giustificazioni.
L'obiettore di coscienza e' colui che, affermando che la guerra e' violenza
e che la violenza e' un male assoluto, conclude che la guerra e' un male assoluto.
Primo: per l'obiettore non vi sono guerre giuste e ingiuste. E la guerra di
difesa? Anche la guerra di difesa e' violenza. E poi chi ha il diritto di distinguere
la guerra di offesa da quella di difesa? Esiste nella storia dei rapporti tra
gli stati l'innocente? Chi e' stato il primo colpevole? Chi sara' l'ultimo innocente?
O non e' forse vero che la ferrea catena di guerre, in cui consiste la nostra
storia, ci rende impossibile risalire alla prima radice del male? E allora non
bisogna spezzare questa catena? Ma per spezzarla occorre pure che qualcuno cominci.
L'obiettore di coscienza e' colui che dice: comincio io, e accada quel che deve
accadere.
Secondo: la guerra non e' un male minore; e' puramente e semplicemente un male.
Non bisogna fare il male, ecco tutto. E poi non e' il male minore, perche' tutti
i mali si generano dalla violenza. E non vi e' bene che possa essere barattato
con la perdita della pace, perche' la pace e' la condizione stessa del fiorire
di tutti gli altri valori.
Terzo: la guerra non e' un male necessario. Puo' ben darsi che, dopo la guerra,
la storia umana faccia un passo innanzi. Ma quanti ne ha fatti indietro per
causa della guerra? Tanto orrenda e' la situazione di guerra, che, tornata la
pace, ci sembra di aver fatto un passo innanzi. Ma come possiamo sapere quale
sarebbe stato il destino dell'uomo se non ci fossero state guerre? Come possiamo
saperlo se le guerre ci sono sempre state? Come possiamo paragonare il progresso
storico attraverso le guerre col progresso storico attraverso la pace, se sino
ad ora l'umanita' ha conosciuto soltanto il primo e non anche il secondo di
questi due corsi?
Quarto: la guerra non e' un fatto inevitabile. Dipende da noi, dalle nostre
passioni che possiamo reprimere, dai nostri interessi che possiamo conciliare,
dai nostri istinti che dobbiamo correggere e frenare. Se abbiamo saputo eliminare
le guerre tra individui, tra comuni, perche' dovrebbe continuare a sussistere
la guerra tra gli stati? Perche', dal semplice fatto che un evento e' sempre
stato, dobbiamo dedurne che sempre sara'? Dov'e' scritto e chi l'ha scritto?
Ho voluto riassumere brevemente (e imperfettamente) alcuni eterni motivi dell'obiezione
di coscienza, perche' oggi ci troviamo di fronte a una situazione nuova, a una
vera e propria svolta della storia umana, di fronte alla quale l'obiezione di
coscienza, il dir di no alla guerra, assume un significato piu' attuale, piu'
vasto, piu' universale. La situazione nuova e' quella che e' determinata dalla
corsa spaventosa verso gli armamenti atomici. La situazione e' nuova, perche'
per la prima volta nella storia la guerra totale puo' portare all'annientamento
della vita sulla terra, cioe' della storia stessa dell'uomo. Ci vuole un certo
sforzo d'immaginazione per comprendere che questo puo' accadere: ma questo sforzo
dobbiamo farlo.
Di fronte all'evento possibile della distruzione della storia, ogni giustificazione
della guerra diventa impossibile. Siamo in una condizione in cui non possiamo
piu' accettare la guerra. Il che significa che siamo diventati, che dobbiamo
diventare tutti quanti potenzialmente obiettori di coscienza. L'alternativa
e' questa: o l'obiezione di coscienza, nel senso di impossibilita' morale di
accettare la guerra, o la possibile distruzione del genere umano. Se vi paiono
un po' troppo apocalittiche queste mie considerazioni, vi invito a ragionarvi
su.
Primo: di fronte alla possibile catastrofe atomica non vi sono piu' guerre giuste
o ingiuste; una guerra, qualunque essa sia, che puo' provocare la scomparsa
della vita sulla terra, e' ingiusta.
Secondo: e' semplicemente stolto considerare la guerra, che puo' avere una simile
conseguenza, come un male minore: non ci sono alternative possibili.
Di fronte alle guerre del passato puo' avere ancora un senso parlare di alternativa
tra la pace e la liberta', tra la pace e la giustizia, tra la pace e l'onore.
Ma di fronte alla guerra atomica, quale alternativa potrebbe ancora concepirsi?
O la liberta' o il suicidio universale? Chi beneficerebbe di questa liberta'?
Terzo: la guerra non puo' piu' essere considerata come un male necessario, come
uno strumento di bene. Quale bene, se dopo non c'e' piu' nulla? La guerra atomica
non e' un mezzo per raggiungere qualche altra cosa, ma un fine, anzi, meglio,
e' la fine.
Quarto: la guerra non puo' piu' essere considerata come un fatto inevitabile,
a meno che si accetti come fatto inevitabile (badate, inevitabile), l'autodistruzione
dell'uomo.
Forse qualcuno potrebbe considerare che con questa considerazione io sia andato
fuori tema. Ma riflettiamo: obiezione di coscienza significa rifiuto di portare
armi. Ora quando nel concetto di arma rientra una bomba che, come si legge nei
giornali, ha da sola il potere esplosivo di meta' di tutte le bombe gettate
nell'ultima guerra, mi domando se il portar armi non sia diventato un problema
di coscienza non solo per l'obiettore che protesta in nome della sua fede religiosa,
ma per ciascuno di noi, in nome dell'umanita'. Obiezione di coscienza significa
letteralmente quella situazione in cui la nostra coscienza ci vieta col suo
imperativo di compiere un'ingiustizia. Se interroghiamo la nostra coscienza,
non possiamo piu' rifiutarci di riconoscere che oggi - questa e' dunque la conclusione
cui volevo giungere - siamo, almeno in potenza, tutti quanti obiettori.