La teologia
della liberazione in America Latina
Negli ultimi
venti anni, la teologia della liberazione in America latina ha conosciuto un
notevole slancio. L'aggressione neoliberista in tutto il mondo e l'alleanza
politica ecclesiale fra Roma e Washington degli ultimi anni hanno contribuito
alla ripresa delle forme di resistenze [teoriche e pratiche] sostenute dai movimenti
sociali che si richiamano alla teologia della liberazione, come hanno dimostrato
anche i forum sociali mondiali.
(François Houtart).
Reds - Gennaio 2007
Sulla natura della
teologia della liberazione (1)
Si tratta proprio di una teologia, cioè di un discorso su Dio. Il percorso
però è specifico, giacché è esplicitamente contestuale.
Si potrebbe dire che ogni teologia è contestuale, perché viene
prodotta in una cultura e in condizioni precise. Ma la teologia della liberazione
è diversa da altre correnti di pensiero perché riconosce esplicitamente
che il suo percorso è legato al contesto socioculturale nel quale si
esprime. Altre teologie avevano affermato lo stesso principio, per esempio la
teologia di Jean-Baptiste Metz, dell'Università di Munster in Germania,
o la teologia delle realtà terrestri di Gustave Tills all'Università
cattolica di Lovanio.
La teologia della liberazione assume come punto di partenza la situazione degli
oppressi. E' quel che si definisce un "luogo teologico", cioè
una prospettiva a partire dalla quale si costruisce il discorso su Dio. Un Dio
d'amore non può esistere con l'ingiustizia, lo sfruttamento, la guerra.
Dunque, come diceva recentemente un teologo, si tratta di una teologia che non
si domanda se Dio esista, ma dove si trovi. E' la realtà delle lotte
sociali e l'impegno dei cristiani in favore della giustizia che formano la base
di elaborazione del pensiero in questione.
Un percorso del genere esige anzitutto un'analisi sociale. Noi viviamo in una
società complessa, mondializzata, difficile da capire a prima vista.
Risulta dunque indispensabile usare uno strumento di analisi atto a capire i
meccanismi dell'oppressione e dell'ingiustizia e quindi a superare una reazione
puramente morale di fronte alla sofferenza, senza domandarsi perché esiste.
La seconda necessità è quella di un'ermeneutica, cioè della
ricerca del senso dei documenti di base e della storia del gruppo cristiano
e delle sue tradizioni. Infatti non è possibile assumere un atteggiamento
razionale, come esige ogni percorso teologico, senza porre nel loro contesto
storico, semantico, culturale tutto ciò che ha costruito l'universo dei
riferimenti dei credenti. La ricerca del senso degli scritti di base utilizza
la semantica, l'esegesi e le scienze umane. La storia del cristianesimo e della
Chiesa cattolica in particolare si fonda sugli strumenti classici della disciplina.
Quanto al punto di riferimento contemporaneo, le situazioni umane di ingiustizia
esigono un doppio lavoro di descrizione e di spiegazione.
Da qui la questione di sapere di quale realtà si parli e quale analisi
si debba usare per conoscerla. In America Latina, dove la teologia della liberazione
è nata, la situazione è quella dell'oppressione sociale. In quell'epoca,
cioè alla fine degli anni 60, la teoria critica principale usata per
l'analisi è quella della dipendenza. Si tratta di analizzare e di spiegare
i fenomeni sociali latinoamericani alla luce della situazione periferica del
continente, di fronte a un capitalismo centrale, situato soprattutto negli Stati
Uniti. La teologia della liberazione si basava su questa forma di analisi per
costruire il proprio percorso. La povertà, la miseria, l'oppressione
in America Latina non potevano venir staccate da un contesto più vasto,
le cui logiche si situavano nel rapporto fra centro e periferia. Era una scelta,
non arbitraria, giacché la si considerava la miglior maniera di leggere
la realtà sociale per comprenderla ed esprimerla poi in termini teologici.
Per la teologia si tratta di un rovesciamento della logica del percorso abituale.
Infatti, per tradizione, si tratta di una logica deduttiva, che cioè
parte dalla rivelazione divina contenuta nei testi sacri per trarne poi tutte
le applicazioni logiche e concrete a livello della realtà. La teologia
della liberazione invece parte da un percorso induttivo, che la conduce a costruire
un pensiero specificamente religioso partendo dal reale e dalla pratica sociale.
Un percorso intellettuale di questo tipo introduce inevitabilmente un elemento
di relatività nel discorso teologico. Non lo riduce certo allo status
epistemologico delle scienze umane, ma si costruisce all'inizio di queste, implicando
con ciò che la ricerca del senso religioso può cambiare orientamento
secondo le situazioni e la maniera in cui le si analizza. Il discorso quindi
non è più dogmatico, ma parte da una realtà empirica.
D'altra parte, questo orientamento riduce evidentemente il campo di intervento
dell'autorità religiosa nell'interpretazione delle Scritture e della
tradizione. La gerarchia ecclesiastica non ha più il monopolio dell'ermeneutica
religiosa, perché questa prende in considerazione le realtà sociali,
analizzate da un punto di vista assai specifico, quello degli oppressi, e scegliendo
il tipo di analisi più adatto a questa prospettiva.
Nel cristianesimo tale scelta (prescientifica) non è arbitraria. Lo spirito
del Vangelo va in questo senso, Gesù ha fatto un'opzione assai precisa
in favore dei poveri e contro tutti i poteri che opprimono. E' dunque possibile
che un percorso teologico cristiano prenda una strada contraria, consciamente
o meno? E' questo il punto di partenza della teologia della liberazione.
Pur non essendo soltanto un'etica sociale, come vedremo più avanti, essa
accorda a questo aspetto un posto centrale. Scegliendo infatti uno strumento
d'analisi che si esprime in termini di classi e non di strati sociali, essa
cambia le prospettive tradizionali della dottrina sociale della Chiesa. Quest'ultima,
riflessa generalmente nel pensiero sociale delle altre confessioni cristiane
e delle religioni in generale, tende implicitamente ad analizzare la società
in termini di gruppi sociali sovrapposti, ma non collegati fra loro in maniera
strutturale. Ne risulta che il bene comune proposto dall'insieme dei sistemi
religiosi consiste nel chiedere a ognuno di contribuire, al suo posto e nella
sua situazione, al benessere dell'insieme, senza mettere in questione in maniera
esplicita la struttura della società, che attribuisce un posto assai
preciso a ogni gruppo sociale. Per questa ragione la teologia della liberazione
adotta un'analisi strutturale della società, di cui la corrente marxista
è stata uno dei principali rappresentanti, e che fa risaltare le contraddizioni
sociali, spiegando così le diseguaglianze e le ingiustizie.
Ma questa teologia va molto oltre. Essa è anche una cristologia, cioè
una lettura della vita di Gesù come attore sociale nella sua società,
la Palestina del suo tempo, ed è un'ecclesiologia, cioè una teologia
della Chiesa, analizzata anche nelle sue realtà storiche e sociali. Essa
procede a una riflessione sulla liturgia e i suoi aspetti socioculturali, una
teologia pastorale, che analizza i mezzi di inquadramento religioso di cui dispongono
le Chiese e una spiritualità che implica la lettura sociale del reale
e l'impegno dei cristiani in funzione della loro fede.
Non deve affatto sorprendere che la teologia della liberazione abbia suscitato
forti opposizioni all'interno delle Chiese cristiane e soprattutto della Chiesa
cattolica. Da una parte, il percorso teologico rimetteva in discussione il complesso
della lettura dogmatica e dunque la posizione dell'autorità religiosa
definita come unica ed esclusiva garante dell'ortodossia. Ma d'altra parte l'uso
dell'analisi marxista come strumento di scoperta e di spiegazione delle società
era pure oggetto di una contestazione radicale basata sull'associazione fra
il marxismo come strumento di analisi e di cambiamento delle società
e l'ateismo come condizione del suo utilizzo.
Secondo il cardinale Ratzinger, chiunque usi l'analisi marxista finisce inevitabilmente
per adottare un atteggiamento ateo. E' vero che l'adozione dell'ateismo come
vera "religione di Stato" nei paesi comunisti confondeva le carte.
Ma si dimenticavano due cose: da una parte che i paesi comunisti avevano abbandonato
l'analisi marxista della loro stessa società con un percorso dogmatico
che doveva precisamente contribuire alla loro caduta, e d'altra parte che Marx
aveva rimproverato ai sostenitori dell'"ateismo radicale" di continuare
a usare, nel loro percorso di filosofia sociale, un linguaggio teologico, ma
rovesciato. Ne derivarono condanne ed emarginazione dei teologi della liberazione,
dall'interdizione dell'insegnamento alla censura dei loro scritti, fino alla
riduzione allo stato laicale e alla scomunica (nel caso di Tissa Balasuriya,
dello Sri Lanka).
Un'analisi più approfondita mostra che il problema non era unicamente
di ordine ecclesiastico. Era anche politico. Infatti in quel momento si assisteva
a una serie di rivolte nel seno stesso della classe operaia nei paesi dell'Est,
principalmente in Polonia. Ciò portò a un'alleanza di fatto fra
il presidente Reagan, da una parte, che finanziava in modo aperto od occulto
il movimento Solidarnosc per mezzo degli organi cattolici, e la Santa Sede dall'altra,
che condannava la teologia della liberazione, posizione che non poteva non piacere
ai Repubblicani americani, che avevano fissato come uno degli obiettivi della
loro lotta politica la teologia della liberazione in America Latina (Charles
Antoine, 1999).
I nuovi soggetti o "luoghi teologici" (2)
La ridefinizione del soggetto socio-economico
Come abbiamo visto in precedenza, in un primo momento la teologia della liberazione
nella lettura del sociale era legata alla teoria della dipendenza. Questa però
divenne presto oggetto di critica, soprattutto per aver messo l'accento troppo
esclusivamente sul rapporto fra centro e periferia e non abbastanza sulle origini
interne delle differenze sociali. Emerse progressivamente un nuovo pensiero
di cui i teologi presero conoscenza e che li obbligò a precisare di nuovo
alcuni punti di partenza del loro discorso specifico. Ciò non cambiava
affatto l'orientamento fondamentale, ma cambiava la gerarchia delle responsabilità
sul piano dell'etica sociale. Si ebbe in seguito un periodo di silenzio, che
ebbe cause diverse. In America Latina si iniziò l'era neoliberale con
l'instaurazione di regimi che vennero chiamati di democrazia sorvegliata. La
caduta del muro di Berlino provocò poi una crisi dei paradigmi delle
scienze sociali, crisi più politica e psicologica che reale, ma che influì
sul complesso della riflessione in questo campo. Dopo il Consenso di Washington,
alla fine degli anni 70, sorse anche una nuova problematica, quella della mondializzazione.
Si scopriva progressivamente che in America Latina i decenni 80 e 90 avevano
portato una relativa decrescita, anche se per le misurazioni si usavano i parametri
del pensiero unico, mentre le diseguaglianze invece crescevano. Come ovunque,
d'altra parte, una frazione ridotta della popolazione vedeva accrescersi i suoi
redditi e le sue possibilità di consumo, a volte in maniera spettacolare,
mentre la maggioranza ristagnava o sprofondava nella povertà e nella
miseria, il tutto aggravato da un forte accrescimento demografico. Benché
le statistiche ufficiali mostrassero che la povertà diminuiva in misura
relativa, il numero dei poveri non faceva che aumentare. Fu così che
apparvero nuovi autori, oltre a quelli che già avevano scritto negli
anni precedenti (Gustavo Gutierrez, Hugo Assman, Juan Luis Segundo, Leonardo
Boff, ecc.). Si tratta fra gli altri di John Sobrino, Ignacio Ellacuria, Enrique
Dussel, Franz Hinkelhammert, J. Mo Sung, Ivone Gebara.
Le nuove tematiche
A partire dagli anni 80 e 90 venne alla luce una serie di nuove tematiche. Senza
entrare nei particolari, è interessante farvi un accenno che permetta
di farsi un'idea della diversità dei temi trattati, in funzione dei cambiamenti
sociali del continente e della nascita o dello sviluppo di movimenti sociali
specifici.
Critica della razionalità economica
La riflessione successiva allo sviluppo neoliberale dell'economia mondiale e
ai suoi effetti sull'America Latina ha originato un dato nuovo, basato sul carattere
dogmatico del "pensiero unico". Da una parte, il discorso economico
è trattato come un discorso religioso, basato su principi assoluti applicati
poi alla realtà, riscoprendo così un metodo deduttivo degno dei
peggiori dogmatismi. Pensiamo al discorso di Michel Camdessus, l'ex direttore
del FMI, o più ancora a quello di Michael Novak, il teorico americano,
i quali affermano che il capitalismo è la forma più adatta alla
prospettiva socio-economica del cristianesimo. Da qui una serie di pubblicazioni,
come quella di Franz Hinkelhammert, Le armi ideologiche della morte (1978),
L'idolatria del mercato (1989); Sacrifici umani e società occidentale
(1991); di J. Mo Sung, L'idolatria del capitale e la morte dei poveri (1991);
di Julio de Santa Ana, La pratica economica come religione, ecc. (3).
La seconda linea di pensiero si è costruita a partire dall'egemonia del
mercato. Al contrario dell'economista di Chicago Milton Friedman, che pretende
che l'economia sia una disciplina neutra, diversi teologi affermano invece il
carattere etico dell'economia. Infatti l'economia neoliberale afferma certi
valori presentati come supremi, soprattutto la competitività e l'efficienza.
Questi conducono a una distruzione delle basi della vita, sia materiale che
culturale. Si esprime in questo senso Gustavo Gutierrez, uno dei fondatori della
teologia della liberazione, nella sua opera Il Dio della vita (1982). E' la
vita del povero che costituisce il punto di incontro fra Dio e l'economia, giacché
la vita non è soltanto l'eternità, ma l'esistenza concreta di
coloro che sono esclusi e oppressi dal sistema economico.
Nello stesso senso vanno i lavori di Franz Hinkelhammert, in rapporto a quel
che si potrebbe definire l'emergere del soggetto. E' lui che parla del grido
del soggetto (El grito del sujeto). Nella sua recente opera, Il soggetto e la
legge: il ritorno del soggetto represso (El sujeto y la ley), pubblicato nel
2005 e che ebbe il Premio Libertador 2006 del Venezuela, l'autore attacca vigorosamente
la modernità. La sua denuncia è in funzione delle logiche che
ha dispiegato e che portano alle catastrofi ecologiche e umane del mondo contemporaneo.
Per lui, la post-modernità non è che una "modernità
all'estremo", giacché non fa altro che prolungarla e quindi viene
chiamata a torto post-moderna. Bisogna invece riflettere partendo dall'essere
umano come soggetto concreto, che ha delle esigenze di relazione con il mondo
naturale e sociale. Franz Hinkelhammert elabora così una base nuova di
pensiero teologico, in cui il soggetto è nello stesso tempo personale
e collettivo, senza trascurare peraltro le analisi strutturali della società.
Teologie indigene
Di fronte al carattere "bianco" delle teologie della liberazione,
sono sorte delle reazioni all'interno delle comunità indigene del continente.
Da sempre gli indigeni sono soggetti di studi ma non soggetti di storia. In
occasione della celebrazione dei 500 anni della conquista delle Americhe, e
come reazione al pensiero dominante che la presentava come un "incontro
di civiltà", si è prodotta una rinascita culturale che si
è sviluppata in tutto il continente, incentrandosi su questioni quali
l'autonomia, le culture tradizionali, le religioni. Tre incontri di teologia
indigena si sono svolti rispettivamente a Città del Messico nel 1991,
a Panama nel 1993 e in Ecuador nel 1994 e infine ancora uno in Bolivia nel 1997.
La nuova prospettiva consiste nel considerare le culture indigene anche come
luoghi teologici. Si tratta di un complesso di saggezza popolare, e dunque di
una realtà storica collettiva, essa pure spazio di rivelazione dell'amore
di Dio. Infatti la loro storia è traversata da lotte costanti per mantenere
la propria identità. I principi della resistenza alla colonizzazione
furono costruiti su una duplice base: da una parte la difesa della vita, in
virtù di una concezione cosmico-ecologica che considera l'essere umano
come in simbiosi con la natura e non come padrone e distruttore di essa, e d'altra
parte la vita della comunità, condizione essenziale di quella dei suoi
componenti, che contrasta l'individualismo del pensiero moderno.
E' compito specifico della teologia accompagnare teologicamente la costruzione
del soggetto indigeno come popolo e come persona, quando è minacciato
dal neoliberalismo che distrugge l'ambiente, base economica della sua vita,
e che impone l'uniformità culturale della modernità. In questo
senso appunto si sono sviluppate una serie di riflessioni e di pubblicazioni.
La fioritura delle teologie indigene non è priva di ambiguità:
alcune tendono a volte a sacralizzare la cultura, a sviluppare una concezione
troppo esclusiva del rito e a rinchiudere il pensiero in un ghetto. E' la deviazione
culturalista, vicina a certi ambienti dell'antropologia culturale, i cui lavori
sono serviti di base a certi teologi. Da qui l'importanza del legame con la
teologia della liberazione, che mostra come tutto questo si inscriva nelle strutture
dell'oppressione, prima con la conquista ispanica e poi oggi con il modello
neoliberale.
Teologie afro-latino-americane
La resistenza dei neri si è accompagnata a una lettura religiosa della
realtà. Non è una novità, e questo si trova in tutte le
religioni afro-americane ad Haiti, in Brasile, a Cuba e nei Caraibi. Invece
molto più recentemente questa preoccupazione è emersa nel quadro
di una teologia cristiana. Nel 1994, sotto gli auspici dell'Associazione dei
teologi del Terzo mondo, si è tenuto a Nova Iguaçù, in
Brasile, un consulto su "Cultura nera e teologia". I partecipanti
vi hanno sviluppato nuove prospettive sui concetti di razze, classi, generi,
religioni. E' stato l'inizio di una critica radicale del "feticismo dei
bianchi" nel senso stesso della produzione teologica e di una decostruzione
di un'antropologia etnocentrica, proponendo invece di riconoscere l'alterità
dei gruppi afro-americani.
Si trattava infatti di ristabilire la giustizia per una comunità considerata
come "egemonizzata". In una prospettiva teologica, nelle lotte degli
schiavi e nelle manifestazioni della negritudine si ritrova la presenza liberatrice
di Dio. Un pensiero di questo tipo sviluppa una visione olistica della realtà
e dell'essere umano. Porta alla sovversione della "logica magica"
del neoliberalismo, all'affermazione del valore della persona in sé e
non anzitutto come unità di produzione, e della natura come spazio vitale
e non come semplice risorsa economica. Esso affronta in maniera egualmente critica
"l'imperialismo razzista" dei percorsi religiosi e teologici indigeni.
Per lo sviluppo di un pensiero teologico afro-latino-americano si pongono varie
questioni metodologiche, in particolare quella dell'ermeneutica delle espressioni
religiose delle popolazioni nere, per non ricadere nel culturalismo già
segnalato a proposito delle teologie stesse.
Teologia femminista
La teologia della liberazione era una teologia di uomini. In una prospettiva
femminista, si tratta di ritrovare il volto femminile della povertà,
percorso che non appariva affatto negli scritti antecedenti gli anni 80. Eppure
l'emarginazione delle donne, nello spazio sociale, politico, culturale e religioso
(compreso cristiano) è una realtà. Da qui la presa di coscienza
dell'esistenza del sistema patriarcale e della sua articolazione con gli altri
sistemi di dominio, come meccanismo della loro riproduzione. Ciò accorda
una base etica al femminismo che porta a un pensiero teologico specifico, basato
su una concezione unitaria dell'essere umano, considerato anche nelle sue differenze.
Furono organizzati tre congressi di teologia femminista della liberazione: Città
del Messico (1979), Buenos Aires (1985), Rio de Janeiro (1993). Questa corrente
teologica si fonda sulla constatazione che le donne sono doppiamente oppresse,
per l'appartenenza di genere e per la classe sociale. Esse sono dunque un soggetto
di liberazione specifico. D'altra parte, viene accordata un'attenzione particolare
alle donne che nella Bibbia hanno contribuito alla liberazione del popolo ebreo.
Ci sono anche delle donne che hanno accompagnato Gesù nella sua vita
pubblica e nella sua predicazione.
L'esperienza della donna come luogo epistemologico proprio si esprime nel discorso
teologico con elementi nuovi, quali la poetica, l'estetica, l'affettivo. Ciò
permette di distruggere le categorie androcentriche che hanno escluso le donne
dal discorso e dall'esperienza cristiana, mentre la storia ecclesiastica ha
in genere occultato il loro ruolo. Il nuovo percorso teologico si caratterizza
per una rilettura dei testi di base con una prospettiva femminile e una riformulazione
dei grandi temi del cristianesimo. D'altra parte, viene messo l'accento sulla
liberazione delle donne nere, indigene, contadine. Inoltre è stato prodotto
un certo numero di scritti sull'"ecofemminismo", riportando entro
una logica comune il posto della donna nella natura e nella società.
In Cile dal 1993 si pubblica una rivista che si rifà all'ecofemminismo.
Teologia dell'ecologia
Come dice Leonardo Boff, ispirandosi alla spiritualità del fondatore
dell'ordine francescano, lo sfruttamento economico della natura in una prospettiva
di modernità dominata oggi mondialmente dalla logica del capitalismo,
porta alla distruzione del "focolare" di tutti gli esseri umani. Da
qui il grido della terra. Per questo teologo, il paradigma tecnico-scientifico
della modernità non è universalizzabile, né integrale.
Leonardo Boff si oppone a una concezione ottimistica del progresso senza fine,
mentre le risorse sono limitate, e sviluppa invece una concezione olistica dell'universo
vivente e in particolare una relazione fra l'uomo e la natura che si esprime
da soggetto a soggetto. La dimensione teologica di questa concezione permette
di stabilire un nesso fra lo sfruttamento dei lavoratori e la distruzione della
terra, che Marx aveva indicato come caratteristica del capitalismo.
Teologia del pluralismo religioso
Di fronte alla presa di coscienza del pluralismo religioso in America Latina,
che non è più esclusivamente un continente cattolico, alcuni teologi
hanno avviato una nuova riflessione. E' in particolare il caso di José
Maria Vigil (2005). Non solo i nuovi movimenti religiosi (spesso definiti sètte)
si sviluppano con rapidità nell'insieme del continente, ma oggi si prende
coscienza anche dell'esistenza di religioni indigene e afro-americane che escono
dalla clandestinità e hanno meno bisogno delle espressioni culturali
del cristianesimo per garantire la propria sopravvivenza. Oggi le religioni
degli indigeni in Guatemala, Ecuador, Perù, Bolivia si affermano chiaramente
come sistemi religiosi autonomi, con le loro divinità, i loro rituali
e il loro ruolo specifico. Succede lo stesso con le popolazioni afro-americane,
che si tratti del vudù di Haiti, della santeria o regola di Osha a Cuba
o del canbomblé o umbanda in Brasile. A tutto questo va aggiunta una
presenza, certo minoritaria ma significativa, dell'islam e del buddismo. Non
è più il tempo in cui i giapponesi che emigravano in Brasile erano
incoraggiati dal loro stesso governo a convertirsi al cattolicesimo, per potersi
integrare più facilmente nel nuovo paese.
Questo prendere atto del pluralismo religioso rappresenta un fenomeno nuovo
in America Latina, mentre avveniva evidentemente fin dagli inizi in Asia, dato
il carattere minoritario del cristianesimo e in particolare del cattolicesimo.
Da qui, nella teologia latinoamericana, un nuovo interrogativo: che cosa significa
il pluralismo religioso rispetto alla liberazione? Lo sconvolgimento del campo
religioso deve essere considerato come un'espressione di lotta emancipatrice,
cioè una reazione contro l'oppressione, come un ritorno alla pluralità
delle tradizioni oppure come un ulteriore aspetto del dominio dell'impero del
Nord? Ecco le forme della nuova sfida che deve ancora trovare la sua espressione
teologica.Una rilettura del cristianesimo originario
Il teologo argentino Ruben Dri ha scritto un'opera intitolata Il movimento anti-imperiale
di Gesù. Secondo lui, il progetto integrale di Gesù, radicato
nella tradizione profetica ebraica radicale, prevede sia un'economia di solidarietà
(dono e condivisione) sia una politica che si esprime nello stabilire relazioni
di fratellanza. Questo movimento che esprimeva contemporaneamente la tradizione
profetica e la tradizione apocalittica, radunò uomini e donne di settori
dominati della società palestinese. Gesù partì dalla Galilea
e si diresse a Gerusalemme, dove affrontò i poteri egemonici e fu giustiziato.
Fu un intervento dell'impero romano, la cui azione nella regione si vedeva minacciata.
La repressione è stata esercitata quindi in funzione del carattere anti-imperiale
del Movimento di Gesù. Altrimenti non sarebbe stato che un movimento
fra tanti altri, all'interno di una società particolare. Dopo la dispersione,
in seguito alla conquista di Gerusalemme da parte dei Romani, prese l'avvio
un'altra storia del cristianesimo. Ma prima di questo, malgrado il fatto che
i racconti evangelici tendano a far ricadere la responsabilità della
morte di Gesù unicamente sul popolo ebraico, si trattava di una repressione
dell'impero contro un movimento che ne contrastava l'egemonia.
Conclusione
La teologia della liberazione in America Latina, la cui analisi è stata
influenzata in un primo tempo dalla teoria della dipendenza, ha conosciuto un
notevole slancio. Si è introdotto progressivamente un cambiamento di
prospettiva, con le politiche neoliberali della mondializzazione che hanno aumentato
il numero dei poveri, hanno fatto dilagare la diseguaglianza e condotto ai regimi
di democrazia sorvegliata. Nello stesso tempo, si producevano una restaurazione
ecclesiastica e una repressione ideologica. Si stabilì di fatto un'alleanza
politica fra Roma e Washington. Oggi tuttavia si assiste a una ripresa della
teologia della liberazione e a un ampliamento delle prospettive.
Tuttavia l'arricchimento che ciò significa comporta anche un pericolo
reale di perdita della centralità del pensiero. La dispersione dei temi
rischia di farli considerare come degli in-sé, cioè di promuovere
una detotalizzazione del soggetto. L'influsso del post-modernismo è stata
reale per alcuni teologi, che si sono concentrati sulle "piccole narrazioni",
praticando una riduzione della capacità esplicativa, parallela all'eclisse
del pensiero marxista. Oggi appaiono nuove prospettive, con la ricerca di un
nuovo soggetto storico della liberazione, che è nello stesso tempo pluralista,
popolare, democratico e multipolare e che si esprime fondamentalmente in seno
ai Forum sociali. Non c'è dubbio che la ricchezza di queste nuove prospettive
permette nuovi sviluppi.
Bisogna peraltro notare un fatto sociologico importante. E' l'indipendenza istituzionale
del nuovo pensiero teologico. Dovendosi elaborare all'esterno dei quadri istituzionali
delle Chiese principali, soprattutto della Chiesa cattolica, il nuovo pensiero
teologico nelle sue diverse forme è evidentemente meno controllato. Mantiene
peraltro la sua importanza, sia in funzione della pregnanza religiosa del continente
sia dell'interesse politico del fatto religioso. Ciò non impedisce affatto
che le ultime produzione della teologia della liberazione restino una teologia,
con frontiere ben definite rispetto alla filosofia o alle scienze sociali. Si
tratta dunque di una realtà ben viva, anche se non è più
tanto visibile come quando veniva prodotta entro le istituzioni ed era meno
pluralista nell'elaborazione dei suoi luoghi "teologici".
1. La questione è trattata fra l'altro nel numero di "Alternatives
Sud", la rivista del Centro Tricontinentale di Louvain-la-Neuve (vol. VII,
n. 1, 2000), e in: F. Houtart, Délégitimer le capitalisme, recréer
l'espérance, Bruxelles, Colophon, 2005.
2. Questa parte dell'articolo utilizza in particolare le sintesi di Juan
José Tamayo Acosta, Las teologias de Abaya-Yala e Cambio de paradigma
en America Latina, che contengono un'ampia bibliografia.
3. Gli scritti in lingua spagnola o portoghese sono citati nei testi di
Tamayo Acosta.