GRANDE DISTIBUZIONE: COIN, COMMESSE DA BUTTARE
ANCHE IN ITALIA LE LAVORATRICI IN BALIA DEI GIOCHI DI MERCATO


Ottobre 2005, dalla Campagna Abiti Puliti, a cura di Coordinamento Lombardo Nord/Sud del Mondo, Centro Nuovo Modello Sviluppo, Mani Tese, ROBA dell'Altro Mondo


Coin di piazzale Loreto, a Milano, le commesse che ci lavorano hanno ricevuto in estate l’annuncio del licenziamento, alle colleghe degli altri negozi hanno rifatto d’autorità l’orario di lavoro. Per questo scioperano a oltranza e hanno aperto un gazebo nel centro cittadino dove in una grande boccia di vetro raccolgono le offerte dei passanti, finora generose. Inizia tutto in primavera. I fratelli Coin hanno fatto investimenti sbagliati in Germania e vanno perciò alla ricerca di nuovi partner. E ne pescano uno in Francia, la Pai, un fondo investimenti pensioni, che acquista la maggioranza della società e ci tiene subito a mettere in chiaro chi comanda. In luglio l’annuncio che lo storico negozio di piazzale Loreto verrà chiuso: 37 licenziamenti. Un ordine di servizio azzera per tutti gli altri il sistema di turnazione, da ora in poi un unico, lungo turno giornaliero con una pausa non retribuita di 3 ore e il lavoro domenicale obbligatorio. Le dipendenti di tutti i negozi rifiutano i nuovi orari e il 29 agosto, dopo le ferie, si presentano ai loro soliti turni. Ma, sorpresa, le timbratrici dei cartellini sono ostruite da scotch e a presidiarle ci sono guardie private venute dall’esterno. Sostengono di essere poliziotti e, richiesti di qualificarsi, esibiscono tesserini fasulli. Viene chiamata la polizia vera, che dà ragione alle lavoratrici e ingiunge di rimuovere ogni impedimento. Ma perché un’azienda deve trattare con tanta arroganza dei dipendenti? “Perché qui si gioca una partita ben più importante, – rispondono i sindacalisti che seguono la vicenda -, questa è la punta di un iceberg. Vogliono mano libera nel commercio, a partire dagli orari, che in questo momento sono il vero terreno di contrattazione. L’Upim ha disdettato gli accordi sugli orari, la Rinascente ci sta arrivando. Ma le pare normale che non abbiano tentato nemmeno una via alternativa al licenziamento e che stiano per togliere il ticket del pranzo nell’intervallo?”.
(Estratto da l’Unità, 4 ottobre 2005)

L’articolo sta circolando in rete, suscitando reazioni. Eccone una: “Ad aprile chiesi di parlare col direttore del negozio di piazza Cinque Giornate per avere spiegazioni sull’apertura programmata per il 1° maggio. Le stesse dipendenti mi hanno chiesto angosciate di andarmene per non peggiorare le cose. Mesi fa era possibile scrivere direttamente una mail di protesta al Servizio Clienti, ora hanno cambiato tattica: www.coin.it/Contattaci/contacts.jsp. Per chi è ostinato c’è sempre la vecchia posta ordinaria: Coin S.p.A., via Terraglio 17, 30174 Venezia Mestre, tel. 041 2398000”

GRANDE DISTRIBUZIONE: RINASCENTE, NUOVI PADRONI E VECCHI METODI

Il gruppo Rinascente-Upim è passato di mano lo scorso marzo. Per tamponare il buco Fiat, l’Ifil l’ha venduto per 880 milioni di euro a una cordata formata da Pirelli Real Estate, Deutsche Bank e Investitori associati Borletti. Come biglietto da visita, i nuovi padroni hanno disdettato tutti gli accordi integrativi. Per questo il 1° ottobre si è scioperato nei 18 magazzini Rinascente e nei 147 dell’Upim. Una risposta obbligata da parte dei sindacati del commercio, non per Vittorio Radice, amministratore delegato del Gruppo Rinascente-Upim. “Francamente, la proclamazione di questo sciopero ci lascia sorpresi e basiti”, ha scritto Radice nella lettera inviata il 22 settembre “a tutti i colleghi”. La missiva si chiude con il pressante invito a dirigenti e impiegati perché diano la loro “disponibilità” a rimpiazzare le commesse in sciopero “per garantire, quanto più possibile, un adeguato servizio al cliente”. Ecco come una delegata sindacale descrive i nuovi proprietari: “Sono sciatti, poco preparati, non pensano in grande, si “intignano” su piccole cose. Hanno fatto sparire dai reparti tutte le sedie, licenziano persone malate a pochi anni dalla pensione, lesinano sulle assemblee, assoldano consulenti che scodellano ricette demenziali per contenere tempi e costi”
(Estratto da Il Manifesto, 30 settembre 2005)