LA CONDIZIONE FEMMINILE NELL’INDUSTRIA DELL’ABBIGLIAMENTO IN TURCHIA E NEI PAESI DELL’EST EUROPEO
QUINDICI ORE DI LAVORO AL GIORNO, SALARI INSUFFICIENTI, ABUSI: UN'ACCURATA INDAGINE


Febbraio 2006. A cura di Ersilia Monti, Francesco Gesualdi, Claudio Brocanelli, Deborah Lucchetti della Campagna Abiti Puliti


“Women’s voices: the situation of women in the Eastern European and Turkish garment industries” (http://www.cleanclothes.org/ftp/05-workers_voices.pdf) è la terza pubblicazione della Clean Clothes Campaign sulle condizioni di lavoro nell’Europa dell’est e la prima sulla Turchia.
L’indagine, condotta fra il 2003 e il 2005 sulla base di 256 interviste a lavoratrici in 55 fabbriche o in laboratori a domicilio in Bulgaria, Macedonia, Moldavia, Polonia, Romania, Serbia, Turchia, mostra come le condizioni di lavoro siano rimaste sostanzialmente immutate rispetto al primo studio realizzato dalla Clean Clothes Campaign otto anni fa: 15 ore di lavoro al giorno per 6 o 7 giorni alla settimana, salari insufficienti o al di sotto dei minimi di legge, precarietà, assenza di tutele sanitarie e antinfortunistiche, molestie sessuali e maltrattamenti, discriminazioni e attività antisindacali sono una costante nell’industria di confezioni per l’esportazione.
La Turchia è il paese dove sono stati riscontrati i peggiori abusi, fra cui l’impiego sistematico di lavoro minorile. Fra i primi dieci paesi fornitori della UE, la Turchia occupa il secondo posto dopo la Cina, con una quota dell’11%, Polonia e Romania sono in sesta posizione con il 4%. Il comparto del tessile-abbigliamento rappresenta il 15,5% del settore manifatturiero in Turchia, l’11% nelle repubbliche baltiche, poco meno del 10% in Romania e Slovenia.
Predominante la componente femminile, fra il 90 e il 95% della manodopera totale.
Il meccanismo commerciale e tariffario introdotto dall’Unione europea, che consente alle imprese di esportare semilavorati o materie prime al di fuori del territorio della Comunità per reimportare i prodotti finiti senza pagare i dazi all’importazione (Traffico di perfezionamento passivo o TPP), ha incentivato le delocalizzazioni nell’est europeo, dando origine a un numero sterminato di piccole imprese specializzate nella cucitura in conto terzi, ma determinando una crisi irreversibile per le industrie tessili e per gli stabilimenti a produzione integrata, molto diffusi nei paesi ex-comunisti, che sfornavano capi finiti partendo dal filato. Oggi, con l’ingresso progressivo nella UE dei paesi dell’est, si pone il problema di una revisione dei meccanismi di scambio commerciale ed è probabile che in futuro a restare sul mercato saranno solo poche, grandi imprese di subfornitura. Fra le imprese committenti che si spartiscono quest’area geografica sono segnalate le italiane Armani, Benetton, Diadora, Hugo Boss (Valentino), Miroglio, Trussardi e una serie di altri marchi di minor fama. La marcia delle griffes verso paesi con minori diritti e costo del lavoro più basso prosegue intanto in direzione della Lituania, dell’Ucraina, della Russia.
Leggi il documento integrale con le schede paese: <http://www.abitipuliti.org:8080/abitipuliti/doc/>