¡OIGA, MIRE, VEA!
IN
OCCASIONE DELLA SECONDA RASSEGNA DI FILMS DI REGISTE/I AMERICANE/I
A MILANO, PRESENTIAMO LA RECENSIONE DEL FILM "EN LA PUTA
VIDA" CHE RACCONTA LA VITA E LA LOTTA DELLE PROSTITUTE DI
MILANO
aprile 2003, dall'Associazione interculturale Mi Ranchito
Il festival cinematografico si è svolto a Milano, presso il Centro Sociale COX 18, Libreria Calusca, in via Conchetta 18.
In particolare, segnaliamo "En la puta vida" della regista urugaya Beatriz Flores Silva (che aveva diretto il film Los pecados capitales e il telefilm La historia casi verdadera de Pepita la pistolera), che racconta la vita e la lotta delle prostitute di Milano.
Il film è basato su fatti realmente accaduti e tratta il problema della prostituzione in Uruguay e la condizione delle prostitute portate in Europa, tenute in ostaggio dalle organizzazioni criminali.
Elisa, la protagonista, esercita la prostituzione a Montevideo, senza alcun tipo di costrizione o problematica morale, come dice "io no soy puta, trabajo de puta".
Il suo obiettivo è di raccogliere i risparmi sufficienti per aprire un negozio di parrucchiera, insieme all'amica Lulú, e la prostituzione le sembra il modo più rapido ed efficace per garantire la futura indipendenza economica, per se' e per i suoi figli.
Nell'esercizio del suo lavoro, Elisa conosce "El Cara", un uomo ricco e affascinante che le parla dell'Europa e dei facili guadagni delle ragazze che, dice lui, possono intascare fino a tremila dollari al giorno.
Elisa non sa resistere e, innamoratasi dell'uomo, gli chiede di portarla a Barcellona (a Milano, nella realtà).
In Spagna, Elisa scopre che la situazione è ben diversa dalle sue aspettative e dai racconti bugiardi di "El Cara" che è arrestato dalla polizia, in seguito ad una rissa nella quale uccide un travestito brasiliano.
"El Cara" esce dalla galera, grazie una soffiata di Elisa alla polizia, cui dà informazioni sul giro dei trans brasiliani, ma non contraccambia il favore che la donna gli ha reso e si mostra nella reale veste dello sfruttatore di donne.
"El Cara" picchia brutalmente Elisa, in una passaggio che segna il radicale capovolgimento del tono narrativo: non le darà un soldo di quelli che lei ha guadagnato e non le restituirà il passaporto.
Elisa comprende immediatamente sua reale condizione di donna sfruttata.
Più avanti saprà che i suoi figli, lasciati alle cure di una donna in Uruguay, sono all'orfanotrofio, poiché "El Cara" non ha mai spedito i soldi per mantenerli.
Per questo e per la morte dell'amica Lulú, Elisa decide di collaborare con la polizia e di incastrare "El Cara" e tutti i soci dell'organizzazione, dopo un indagine che li spedirà in galera.
I fatti raccontati, seppure liberamente rappresentati, sono accaduti tra Montevideo e Milano nel 1992, e sono narrati nel libro del giornalista Mario Urruzola "El huevo de la serpiente".Il racconto si svolge a Barcellona, perché nessun produttore italiano ha avuto il coraggio di sostenere il progetto cinematografico della regista Beatriz Flores Silva.
Oltre all'importanza sociale del tema trattato, che denuncia una condizione troppo spesso ignorata e/o banalizzata, il pregio del film è di rifiutare ogni moralismo benpensante e dare valore al ruolo ed alla figura di Elisa, la protagonista femminile di un film che ha una forte impostazione di genere, anche nella regia.
Elisa fonda sui suoi sogni sul suo carattere genuino ed entusiasta, e si mostra donna capace non solo di resistere e rovesciare la drammatica situazione in cui si trova oppressa, ma di illuminare con la sua presenza e la sua coscienza lo squallore della realtà in cui vive.
Elisa sa rendere positiva, con la sua forte vitalità, una storia che documenta la ribellione contro lo sfruttamento e la violenza sulla donna che si prostitusce, oppressione che avviene, più frequentemente, tra le mura domestiche della vita matrimoniale e sul luogo "tradizionale" di lavoro.
Il lieto fine del film non corrisponde alla realtà, in quanto la vera Elisa riuscì a tornare a casa, ma divenne "desaparecida" e si ignora se si sia nascosta o se abbia subito la rappresaglia delle organizzazioni criminali che la sfruttarono.