LA CULTURA DELLO STUPRO
DIECI REGOLE SOCIALI CHE VENGONO INSEGNATE ALLE DONNE E LORO ANTIDOTI


gennaio 2001, di Maria G. Di Rienzo, portavoce dell'Osservatorio delle donne trevigiane "La Panchina"

 

 

Insistere sulle tecniche di autodifesa e prevenzione in relazione alla violenza carnale, per quanto necessario, si configura spesso come un cerotto applicato ad una ferita che necessiterebbe di ben altre cure. L'autodifesa insegna ad esempio alle donne a minimizzare gli effetti di uno stupro (e, a volte, ad evitarlo) ma non elimina il terrore e la possibilità di essere stuprate. Molto spesso, tra l'altro, per quante precauzioni una donna prenda, le è impossibile evitare una violenza carnale: insistere sulla prevenzione mette l'accento, in qualche modo, sulla responsabilità della vittima per l'atto che ella stessa subisce.
Dall'altro lato, nell'esercizio di controllo sociale sui potenziali stupratori o sugli stupratori effettivi, l'inasprimento delle pene e la prevenzione vengono spesso confusi. L'evidenza dimostra che la sanzione penale, per quanto severa, non serve come deterrente: inoltre, ben pochi violentatori vengono effettivamente incarcerati.
Gli uomini e le donne, fin dalla più tenera età, sono condizionati ad accettare di recitare dei "ruoli": essi comprendono stili di comportamento, attitudini, valutazioni, giudizi morali. Questo sistema dei ruoli è continuamente reiterato ed incoraggiato dai prodotti culturali, dai media, persino dai programmi scolastici. I media si incaricano spesso di fornire alle donne una completa lista di quali loro comportamenti produrrebbero la violenza carnale. L'addestramento sociale su quanto si conviene alle donne e quanto si conviene agli uomini insegna alle prime ad essere vittime, ed ai secondi ad essere aggressori.
L'alta incidenza degli stupri e delle violenze su donne e minori è semplicemente uno dei risultati dello sbilanciamento di potere fra uomini e donne. Ci si attende che le donne assumano, nei riguardi degli uomini, un atteggiamento subordinato in quanto intrinsecamente inferiori: di conseguenza, lo stupro non è che una logica estensione di tale rapporto di dominio.
Le donne, come gli uomini, vengono al mondo con l'intera potenzialità dell'esprimere se stesse, liberamente, direttamente e spontaneamente; poiché questa abilità viene castrata dal processo di socializzazione femminile, è su tale processo che è necessario intervenire.
Un modo per analizzare la relazione di dominio maschio/femmina è il mero esame delle regole sociali più comuni che vengono insegnate alle donne.

Regola n. 1: Quando parla con qualcuno, una donna deve mantenere un tono educato ed accompagnare le parole con un sorriso grazioso ed accondiscendente.
Rispondere gentilmente a qualsiasi approccio è diventato "istintivo" per molte donne: esse non vogliono "urtare" i sentimenti altrui, ne' essere scortesi, ne' infliggere una "brutta figura" all'interlocutore, ne' ignorarlo. Diseducate a fidarsi del proprio istinto riguardo al pericolo e ad occuparsi principalmente di non fare del male all'altro, scopriranno - in caso di violenza subita - che questa attitudine sociale appresa così bene le farà giudicare consenzienti allo stupro.

Regola n. 2: Le donne devono rispondere alle domande che vengono fatte loro.
Nella nostra cultura, una delle cose più offensive che una persona può fare è ignorare una domanda diretta. Nelle situazioni sociali che precedono lo stupro, gli uomini gettano spesso il fardello del rigetto sulle donne, ponendo domande del tipo: "Cosa c'è, non ti piaccio?", oppure "Cosa c'è di sbagliato in te, non ti piacciono gli uomini?"
Molto frequentemente, di fronte a domande di questo tipo, una donna sente di dover compensare l'uomo di cui ha "urtato i sentimenti", rispondendo ad esse e giustificandosi.

Regola n. 3: Le donne non devono infastidire altra gente o fare scenate solo perché si sentono a disagio.
Generalmente, non ci si aspetta che le donne si intromettano nelle vite altrui per chiedere qualcosa per se stesse: ci si aspetta, invece, che esse siano pronte a dare una mano a chiunque. Quando una donna grida per chiedere aiuto, raramente ottiene l'attenzione degli sconosciuti. E' in effetti più produttivo gridare "AL FUOCO!" che "AIUTO!", se si vuole che qualcuno accorra. Le donne sono riluttanti ad attirare l'attenzione su di sé, specialmente in un luogo pubblico come un bar, una discoteca, un ufficio è stato insegnato loro che ciò è sconveniente e che se lo facessero passerebbero per isteriche. Inoltre le donne pensano che, se nessuno nota il loro senso di disagio o se le loro sensazioni di pericolo vengono minimizzate, è perché loro stesse stanno sbagliando. Dissentire è essere una rompiballe, chiedere che anche i propri bisogni vengano riconosciuti è essere una guastafeste

Regola n. 4: Se si è in pericolo, è meglio rivolgersi alla protezione ed al giudizio di un uomo.
"Poiché sono sempre stata gentile con gli uomini - pensa la donna che si attiene a questo insegnamento - essi avranno cura di me."
Ci sono due errori evidenti in questa regola:
a) sono gli uomini ad infastidire e ferire le donne;
b) non sempre ci sono attorno uomini in cui si può riporre fiducia.
Ne consegue che le donne devono prendere il problema della vittimizzazione nelle loro stesse mani: ovvero imparare a proteggersi l'un l'altra.

Regola n. 5: Un toccamento casuale o un commento a sfondo sessuale in contesti pubblici vanno presi come un complimento alla donna a cui sono diretti.
Molte donne pensano che essere bersagliate dai fischi di un gruppo di muratori non è altro che una forma di elogio alla loro "desiderabilità". Parecchie situazioni di violenza carnale cominciano proprio così, con un "innocuo" commento sulla bellezza della vittima da parte dello stupratore. La mancanza di chiarezza su cosa sia un comportamento insultante per una donna e l'ambivalenza con cui le donne stesse sono spinte a considerare questi fenomeni fanno sì che essi non vengano riconosciuti come aggressioni.

Regola n. 6: Coinvolta in occasioni sociali, se vuole essere bene accetta, la donna non deve dimostarsi superiore ad un uomo in qualsiasi gara, gioco o discussione.
E' ormai scontato, per una donna, che battere un uomo (a carte, a tennis, a scarabeo o a monopoli) ferisce il suo orgoglio, diminuisce il suo interesse nella gara e ingenera in lui sentimenti di rabbia e nervosismo. Ne consegue, se a nessuna donna è consentito vincere alcunché in una contesa con un uomo, che aspettarsi ella possa combattere e sopraffare l'uomo che sta tentando di violentarla è veramente chiedere troppo!
Il pericolo in questo atteggiamento mentale delle donne è la continua svalutazione e minimizzazione delle risorse e dei talenti femminili per deferenza alle risorse ed ai talenti maschili. Se tale atteggiamento non viene sradicato, difficilmente una donna si sentirà capace e autorizzata a difendere se stessa.

Regola n. 7: Una donna è sempre compassionevole e servizievole con gli altri; è in grado di anticipare i desideri ed i bisogni altrui e li considera più importanti dei propri.
Questo perché ogni (vera/brava) donna è "madre" ed ogni (vera/brava) "madre" è: sacrificio, abnegazione, disponibilità, nutrimento gratuito, dono. Ci sono donne che subiscono approcci indesiderati e financo molestie molto pesanti perché si sentirebbero cattive a respingere i loro aggressori. Non vogliono essere goffe ed insensibili nei loro confronti.

Regola n. 8: Le donne avversano la violenza, sono naturalmente non-violente: non è affatto consono ad una donna rispondere in maniera decisa, qualsiasi sia la situazione in cui ella si trova.
Questa mistificazione contribuisce a mantenere nelle donne la visione di se stesse quali "vittime impotenti" e quindi contribuisce a perpetuare la cultura dello stupro. C'è una bella differenza, infatti, nell'essere violente e nell'apprendere a rispondere alla violenza in maniera assertiva, rifiutando di essere intimidite e coltivando un senso di fiducia e di valore in se stesse.

Regola n. 9: Le donne sono in genere inaffidabili per le altre donne, sono false, e quando sono cattive lo sono più degli uomini. Una donna non può far veramente conto su un'altra donna.
La vulnerabilità delle donne allo stupro dipende anche dall'isolamento, dal non riconoscersi come "gruppo": questa regola sociale prevede che ogni donna competa con le altre per ottenere l'attenzione e l'approvazione degli uomini. La sfiducia e la svalutazione che una donna proietta sulle altre quando segue questa regola sono sentimenti che coltiva in se stessa, che abbattono la sua autostima e le impediscono di considerare le altre donne come risorsa ed aiuto. Non esistono "eccezioni alla regola" per cui una donna è più vera delle altre, o per cui una donna è così diversa dalle altre donne che di lei gli uomini hanno stima Si può tentare disperatamente per tutta la vita di "essere uno dei ragazzi", ma sarà probabilmente proprio un insulto a sfondo sessuale o un'aggressione a ricordare a colei che si impegna in questo senso di essere "una delle ragazze"
E' importante che le donne imparino a non biasimare se stesse per l'addestramento alla vittimizzazione che hanno ricevuto.

Regola n. 10: Non può capitare a me, perché solo le donne immorali o le ragazze sventate subiscono gli stupri.
Frequentemente, le donne prendono una distanza psicologica dalla questione della violenza carnale (e si distanziano le une dalle altre) adottando questa regola. Le statistiche dimostrano che essa è falsa: non c'è un bersaglio prediletto, non ci sono comportamenti o categorie "a rischio"; è sufficiente essere femmina e nemmeno l'età (3 anni o 80) fa qualche differenza.
La regola n. 10 andrebbe quindi tradotta così: essere femmina è essere intrinsecamente immorale e sventata, quindi meritevole della punizione dello stupro.

L'unica strategia per eliminare la vulnerabilità delle donne riguardo alla violenza carnale consiste nell'alterare la relazione di dominio fra uomini e donne. Lo stupro non può più essere visto come un problema di ordine pubblico o di salute mentale: esso è un problema politico e coinvolge l'intera società, non solo i singoli attori che prendono parte alla scena della violenza.
E' ovvio che cambiamenti individuali possono essere produttivi per le singole vite in cui si danno, ma è altrettanto ovvio che la cultura dello stupro non avrà termine se non di fronte ad un mutamento sociale. Il primo passo è quindi rompere l'isolamento delle donne rispetto alla comunità in cui esse vivono. All'interno della propria città o del proprio quartiere, le donne non si riconoscono l'un l'altra come risorsa, ne' si affidano l'un l'altra mandati politici: molti fattori rinforzano l'idea che stare distanti dai luoghi di potere, dai luoghi ove si prendono le decisioni, sia "ovvio" o "inevitabile" per le donne. E' importante che, all'interno di una comunità, le donne riconoscano ed usino il potere del loro numero per esercitare pressioni che portino al sorgere di un diverso tipo di socializzazione per donne e uomini.