"DAL GORGO/segnali"
PRESENTAZIONE DELLO SPETTACOLO DEL LABORATORIO TEATRALE INTERCULTURALE HUMAN BEINGS, INCENTRATO SUL "NAUFRAGIO FANTASMA" DI PORTOPALO. PRESENTATO IL 13 GIUGNO ALL'AUDITORIUM S.DOMENICO DI FOLIGNO (PERUGIA), NELL'AMBITO DELLA RASSEGNA DI TEATRO "LA BORSA DELL'ATTORE" A CURA DEL TEATRO STABILE DELL'UMBRIA


giugno 2002, Da Human Beings, con una recensione di Micropolis

 

"Che cosa rimane di un volto divorato dai pesci? Che cosa rimane di un corpo che non è più un corpo, di quello che è stato un uomo, una memoria, desideri e speranze?"
Tahar Ben Jelloun "La vergogna negli abissi" La Repubblica 15/6/2001

26 dicembre 1996 ore 3.00; latitudine 36°25'Nord, longitudine14°54'Est, 19 miglia da Portopalo di Capo Passero, Sicilia: affonda un peschereccio carico di persone; è la più grande sciagura navale del Mediterraneo dalla fine della seconda guerra mondiale: 283 morti.
Lo scoop de "La Repubblica" del giugno scorso ­ dopo quasi cinque anni dall'avvenimento! -, accompagnato dalle riprese filmate del relitto del barcone, ha avuto il grande merito di eliminare finalmente ogni dubbio su quello che quasi tutti si ostinavano a definire un "naufragio fantasma", a considerarlo una leggenda di marinai, o, peggio, una subdola invenzione dei pochi superstiti cingalesi.
Ma uno scoop ha vita breve, agita le acque dell'informazione per qualche giorno per poi rapidamente affondare nel mare della cronaca quotidiana.
Le drammatiche testimonianze dei superstiti raccolte e pubblicate da "Il Manifesto" nei giorni successivi alla tragedia (e di contro il muro di silenzio dell'ufficialità e dei grandi media), sono alla base della creazione dello spettacolo, che vuole però essere anche, nell'autonomia e specificità di un'opera teatrale, una "riflessione" sulla condizione, o meglio, sulla coscienza dell'essere sopravvissuti, qui e ora.
Per questo gli articoli di cronaca si confonderanno con i versi de "La fine del Titanic" di H. M. Enzensberger e con le fantasie e le azioni degli attori, coautori dello spettacolo.
15 aprile 1912 ore 2.20; latitudine 41°46' Nord, longitudine 50°14' Ovest: affonda il transatlantico più bello e più grande del mondo, il Titanic; 1503 morti.
"Qualcosa che rimane c'è sempre - / bottiglie, tavole, sedie sdraio, grucce, / alberi frantumati: /
è legname galleggiante quello che resta, / un gorgo di parole, / cantici, bugie, residui: è rottame /
che danza e che, sull'acqua, / come sughero c'insegue sguazzando".
Hans Magnus Enzensberger La fine del Titanic
Ideazione e regia: Danilo Cremonte
Di e con Danilo Cremonte, Fatmir Deskaj, Leonardo Gatti, Yuni Roh

I fantasmi del Mediterraneo

Molti tra i lettori più attenti ed affezionati del "Manifesto" ricordano una copertina a suo modo storica: una grande riproduzione della "Tempesta" di Ivan Aivazovski, con un veliero in balia delle onde, e sopra la scritta "I fantasmi del Mediterraneo". Più sotto il sommario: "Due navi con a bordo centinaia di clandestini indiani e pakistani si scontrano a Natale nel canale di Sicilia. 283 uomini spariscono nel nulla. I loro compagni arrivano in Grecia e denunciano il fatto. Scattano le ricerche, ma senza risultato. La storia misteriosa di un naufragio possibile nel mare della speranza". Era il 5 gennaio 1997, era la prima notizia della tragedia avvenuta nella notte del 26 dicembre 1996 al largo di Portopalo. Perché quella prima pagina si è impressa così fortemente nella nostra memoria, al punto di non lasciarla più? Indubbiamente per la drammaticità spaventosa dell'avvenimento, per il carico insopportabile di dolore e angoscia che esso evoca: se non è stato, purtroppo l'unico disastro legato al dramma dell'emigrazione clandestina, esso sembrava tuttavia riassumerli tutti, per la ferocia quasi simbolica che contrappone alla speranza di fuga e di un approdo l'opaca, raggelante sepoltura nel fondo del mare. Ma c'è anche un'altra ragione che fa di quella copertina del "Manifesto" un evento indimenticabile: di quella notizia non vi fu praticamente traccia su nessun altro organo di stampa, e per lungo tempo essa fu negata o cancellata da una censura stupida e brutale, come lo è l'indifferenza alimentata da un cupo senso di colpa. Questa solitudine del "Manifesto" finiva per collocare l'avvenimento in un'aura quasi magica, fantasmatica ("i fantasmi del Mediterraneo"), da leggenda dei mari; si potrebbe quasi dire, se l'urgenza della denuncia non fosse poi quella decisiva, che quel silenzio dei media è stato, in fondo, un bene: ha salvato dalla banalizzazione e dalla mortificazione della ripetitività automatica un "fatto" che ha assunto, così, i contorni del mito. Ed è secondo una modalità mitico-poetica che la memoria di quel fatto viene proposta ora dallo spettacolo "Dal gorgo/segnali", ideato e diretto da Danilo Cremonte, che va in scena a cinque anni esatti dalla tragedia di Portopalo e di cui abbiamo potuto vedere un'anteprima in occasione della Marcia della pace Perugia-Assisi. Nello spettacolo c'è tutta l'indignazione, il risentimento, la denuncia del "silenzio assordante" dei mezzi di comunicazione: il motivo polemico è anzi il punto di partenza del racconto, giocato principalmente sulla contrapposizione ironica di un'informazione indifferenziata e per lo più insignificante e brani di straordinaria drammaticità tratti da "La fine del Titanic" di Enzensberger. L'informazione stessa diventa il mare in cui affonda ogni verità e ogni senso. Ma restano i frammenti, i dettagli: ad esempio una scarpa; o una carta d'identità plastificata, per questo salva nel naufragio -­e sarà proprio da questa carta, da questa identità (Anpalagan Ganeshu, 17 anni, Sri Lanka) che tornerà poi a galla tutta la verità nascosta. Allora l'ironia, il sarcasmo, il grottesco straniante lasciano il posto ad un sentimento attonito di condivisione del dolore (anche se gridato in una lingua straniera, solo apparentemente incomprensibile): soltanto adesso il silenzio, che scenderà su tutto ("Tutti questi annegati, questi assiderati") non è più colpevole. Il modo speciale che ha questo spettacolo di "dare forma" alla pietà è sostanzialmente nel gioco sottile di allusioni, rimandi analogici, suggerimenti ed evocazioni; per questo si diceva che la struttura del discorso rappresentato sulla scena è poetica, in senso proprio. E ci convinciamo ancora una volta che è nell'unità di pensiero critico e linguaggio poetico la possibile risposta all'orrore e all'insensatezza.
Molto suggestiva, di grande presa visiva la costruzione scenografica, capace di trasmettere una sensazione quasi fisica di gelo, angoscia, fatica; magistrale l'uso delle luci e delle musiche, che non soffocano ma accompagnano i silenzi e i rumori di fondo; grande prova, convincente e a tratti davvero commovente, degli attori, che sono anche coautori del testo: Danilo Cremonte e Leonardo Gatti, che sono perugini; Yuni Roh, che è coreana; Fatmir Deskaj, che è albanese.