PUNTO DI PARTENZA
PER UN BREVE SAGGIO DEL SEMINARIO, UNO DEI COMMENTI SUL GRUPPO "FORTEZZA EUROPA E CARTA EUROPEA DEI DIRITTI" CHE PROPONE INTERESSANTI RIFLESSIONI SUL MOVIMENTO DELLE DONNE TRA CIRCOLI CULTURALI E POLITICA, CON PREZIOSE INDICAZIONI DI PRIORITA'


settembre 2002, resoconto di Lidia Cirillo, dal Comitato organizzatore

Mi è sembrato che la novità del 21-22 giugno sia stata soprattutto nell'intenzione di superare l'orizzonte di manifestazione culturale che ha caratterizzato finora gli incontri tra "migranti e native", di misurarsi con la politica nel senso proprio del termine.
Il movimento delle donne in Italia è stato caratterizzato per alcuni decenni da comportamenti e logiche da circolo culturale femminile, secondo una dinamica non nuova ed evidente anche in altri periodi della storia del femminismo. Nell'incontro con donne di altre nazionalità e culture, accomunate dallo scomodo statuto di "immigrate", questa dinamica può rivelarsi particolarmente perversa perché i problemi spesso drammatici che tale statuto comporta non consentono di sottrarsi alla durezza e alla difficoltà della politica.
Per altro la legge Bossi-Fini, sia pure con qualche volgarità e rozzezza aggiuntiva, è l'espressione di una tendenza globale, assecondata in Europa da governi di centrodestra e di centrosinistra. E la tendenza globale si traduce in divieti, criminalizzazione, gerarchie di diritti, sfruttamento, arbitrio, estensione illimitata del ghetto ecc. cioè con fenomeni politici che esigono risposte non solo letterarie.

Quando si decide di misurarsi con la politica cambia la natura dei problemi e l'ordine delle priorità. A me sembra che in questa ottica natura dei problemi e ordine di priorità siano i seguenti:
1.Bisogna individuare prima di tutto un soggetto in carne ed ossa che avverte il disagio e lo fa parlare;
2.si devono descrivere e spiegare le ragioni di fondo del disagio, i sistemi politici, le logiche economiche, le culture che lo producono;
3.occorre risolvere, sia pure all'inizio solo dal punto di vista dell'enunciazione, il problema del potere, del potere non come sostantivo ma come verbo, cioè dell'efficacia di quel che si fa, della sua capacità di incidere, di resistere, di mutare, di esercitare pressioni, di costruire;
4.bisogna individuare i punti di forza, il nuovo di cui una soggettività è portatrice, quel che aggiunge alla comprensione del mondo, cioè l'altra faccia della marginalità sociale e dell'oppressione.

Il seminario non poteva proporsi di rispondere a tutte le questioni obiettivamente all'ordine del giorno, poteva però imboccare la strada giusta e lo ha fatto.
Prima di tutto nell'individuazione di un NOI, che non sono le comunità nazionali che ci dividerebbero, anche se naturalmente queste comunità possono avere ancora le loro ragioni di essere. Il NOI non allude nemmeno alle "migranti e native", anche se ovviamente non può essere nascosta l'ineguaglianza dei diritti tra le une e le altre.
Il NOI si riferisce a una comunità di donne di nazionalità e culture diverse, che hanno deciso di lavorare insieme in primo luogo sul tema dei diritti, in modo differente comunque problema di tutte.
A me sembra che si sia così, almeno idealmente, tracciata l'identità di un soggetto che comprende in sé il genere , la classe(le migranti sono tutte o quasi lavoratrici) e la diversità di culture, cioè di un soggetto non generico ma capace di affrontare la questione del potere: del poter fare ,del poter agire, del poter cambiare.
Nel nostro gruppo di lavoro si è parlato anche di un altro punto di forza, cioè della capacità che molte migranti hanno di destabilizzare gli stereotipi per la qualità degli studi fatti e la capacità di critica acquisita. Questo soggetto quindi ha un intellettuale organico, anche dalla parte in cui più deboli sono i diritti e viene meno così ogni possibile scivolata assistenziale.
Quanto alle ragioni dell'attuale stato di cose, sono stati fatti solo alcuni accenni già presenti nella relazione di Sandra: la fine della grande ondata ascendente dell'economia alla metà degli anni Settanta, il liberismo, la globalizzazione

Nel gruppo sulla Carta di Nizza e la Costituzione europea si è deciso di partire dagli articoli della Carta per avere un punto di appoggio. A questi articoli , a mio avviso generici e ambivalenti, è stata contrapposta una logica alternativa del tutto diversa.
L'abbiamo sintetizzata e articolata in tre punti.
1. Noi pensiamo che gli esseri umani debbano essere liberi di fissare dove preferiscono la loro residenza. Abbiamo assistito negli ultimi decenni al paradosso
di una straordinaria mobilità di capitali e di merci e di una possibilità senza precedenti di circolare anche per gli essere umani, ma solo di una parte di minoranza degli esseri umani. A questa nuova libertà di movimento delle cose e della realtà virtuale si coniugano crescenti difficoltà per la grande maggioranza delle persone del pianeta, tendenza a rafforzare i confini esterni e a costruire ghetti da cui è sempre più difficile uscire e fortezze in cui è sempre più difficile entrare. Bisogna affermare la libertà di spostarsi, di circolare, di fissare dove si preferisce la propria residenza come uno dei più elementari diritti umani, certo un diritto storico e non naturale, ma comunque un diritto.

2.Noi pensiamo che ogni persona debba godere dei diritti propri dello Stato, dell'area geografica, del luogo in cui ha fissato la residenza, in cui lavora o studia o cerca lavoro o possibilità di una migliore esistenza.
Ci rendiamo conto che l'affermazione è in sé generica e lascia aperto il problema della definizione dei diritti fondamentali delle cittadine e dei cittadini del mondo, ma ci sembra importante ribadire che essi non possono comunque essere disuguali e che non possono esserci in una cultura e in un paese gerarchie in quei diritti che dovrebbero essere invece universali.

3.Noi pensiamo che bisogna di molto ampliare i criteri con cui viene riconosciuto il diritto di asilo, a cui negli ultimi anni sono stati imposti limiti sempre più restrittivi.
Si potrebbe obiettare che la libera circolazione contiene già in sé un ampliamento implicito, ma l'obiezione sarebbe corretta solo in parte.
La condizione di persona che ha diritto all'asilo politico richiede sostegni e garanzie
che un sistema di diritti sociali può non prevedere per le altre ed è quindi necessario che questo status specifico venga segnalato in una carta dei diritti fondata su logiche
diverse da quelle della Carta di Nizza.
Insistiamo in modo particolare perché il diritto di asilo sia riconosciuto alle donne che vivono in paesi caratterizzati da forme arcaiche di oppressione sessuale e che cerchino di vivere liberamente altrove.

Una carta alternativa che affermi tutt'altra immagine dei rapporti tra gli esseri umani di diverse civiltà e culture e tra donne e uomini è assolutamente indispensabile.
A una filosofia coerente, a una coerente visione delle relazioni umane è necessario contrapporne un'altra altrettanto compiuta e altrettanto coerente.
Quando parliamo di alternatività non ci riferiamo alla generica e inefficace Carta di Nizza, ma a ciò che nei fatti è stato imposto negli ultimi decenni e che temiamo sarà la sostanza(più o meno evidente) della Costituzione europea.
Questo naturalmente non è d'ostacolo a lotte e campagne di opinione su obiettivi parziali , per esempio, contro la legge Bossi-Fini oppure perché i cambiamenti di stato civile(divorzi, separazioni) non facciano venire meno per le donne la possibilità di soggiornare in Italia.
Ma il vero problema oggi è da dove cominciare, come uscire dalla logica dei convegni e degli incontri senza seguito, come passare alla fase della lotta politica vera e propria. Nessuna di noi ovviamente ha proposte capaci di farci superare d'un balzo problemi, debolezze e ritardi.
Due passi ci sono sembrati importanti nel futuro più prossimo per cominciare: prima di tutto la presenza nei Forum sociale europeo di novembre perché i criteri di cui abbiamo parlato facciano parte della cultura e delle prospettive del movimento; la preparazione di una campagna di opinione che cominci ad ampliare l'uditorio e coinvolga almeno in parte chi meno di noi frequenta i luoghi della politica.