LA DELEGAZIONE E' TORNATA DAL PAKISTAN
RESOCONTO DEL VIAGGIO


novembre 2001, di Laura Quagliuolo

 

La delegazione è tornata dal Pakistan. È stata una settimana intensa fatta di visite, incontri, conoscenze, grosse emozioni. Le donne delle associazioni che siamo andate a incontrare (www.rawa.org; www.hawca.org) fanno un lavoro straordinario. Tra mille difficoltà e con i pochi fondi provenienti da associazioni umanitarie internazionali riescono ad assistere i profughi dei campi in cui operano nelle loro necessità di base, ad aprire scuole, a fornire aiuto sanitario e psicologico. Abbiamo visitato campi profughi, orfanotrofi, scuole nei quali queste associazioni intervengono: sono luoghi di cui è difficile immaginare la povertà ma nei quali enorme è lo sforzo per mantenere dignità, cultura e socialità. Una rappresentante dell'UNHCR che abbiamo incontrato ci ha detto che il campo profughi in cui operano le donne del RAWA è meglio di tanti villaggi pakistani e questo dice molto riguardo al lavoro che portano avanti.
Abbiamo consegnato i fondi raccolti (circa 30.000.000 di lire), dividendoli tra le due associazioni: ci hanno chiesto di ringraziare tutti i donatori (sappiate che con 35.000 lire al mese riescono a garantire il mantenimento di una famiglia).
La situazione dei profughi è drammatica; il Pakistan, paese poverissimo dove il 40% della popolazione vive sotto alla soglia di povertà, ha, negli ultimi 20 anni, accolto più di 2.500.000 profughi che tendono a crescere nonostante la chiusura delle frontiere. Chi arriva lo fa passando attraverso le montagne dello sterminato confine oppure pagando la corrotta polizia pakistana con tutto quello che possiede; molti raccontano di aver visto i loro parenti morire di stenti nello sforzo di raggiungere il confine.
Coloro che riescono ad arrivare oltre confine tentano di raggiungere parenti o amici che si trovano nei vecchi campi profughi dove si sentono più protetti e dove trovano le strutture minime per la sopravvivenza. I nuovi campi rifugiati (tende di plastica piantate in un terreno polveroso gelide in inverno e roventi in estate) si trovano nella terra di nessuno, dove ancora manca l'assistenza minima, dove sono migliaia le vedove e gli orfani, dove gli uomini saranno i nuovi schiavi delle fabbriche di mattoni gestite dagli ingordi imprenditori pakistani, dove i fondamentalisti andranno a reclutare uomini che vadano a combattere per la jihad e bambini da mandare a studiare nelle madrasa (le scuole coraniche in cui si formano i talebani).
I profughi, soprattutto le donne, hanno voglia di parlare, di raccontare le loro storie strazianti, di sentire che al mondo c'è qualcuno che si ricorda di loro; sono donne che hanno visto il loro paese in guerra per gli ultimi 20 anni, le cui libertà sono state negate fino al divieto di far sentire il rumore dei propri passi. Molte di loro si sono battute, lavorando in clandestinità, per garantire l'istruzione delle loro figlie, contro la povertà e l'oppressione, per avere diritto alla sanità, a loro negata.
Le donne di RAWA portano anche avanti un discorso polito ben chiaro: vogliono che i talebani vengano cacciati (e non erano contro l'intervento militare se avesse raggiunto questo fine) ma sono terrorizzate da una eventuale presa di potere da parte dell'Alleanza del Nord che dopo l'invasione sovietica ha devastato il paese, torturato e imprigionato, violentato donne e bambini.
Ciò che chiedono è che, sotto la persona del re, individuato come simbolo neutrale, membri della società civile e associazioni che in tutti questi anni si sono adoperati per la loro gente vengano coinvolti nelle trattative per un nuovo assetto del paese.
Chiedono che finiscano i bombardamenti: è solo la popolazione civile ad essere colpita: già troppi sono i morti e i feriti, i bambini cominciano a soffrire di gravi disagi psicologici (basta che cada per terra una forchetta perché si tappino le orecchie e si vadano a nascondere), chi può cerca di scappare ben sapendo che chi riuscirà ad arrivare si troverà in una situazione drammatica.
La delegazione ha anche incontrato un gruppo di pacifisti pakistani, donne pakistane che si occupano dei diritti umani (avvocati, scrittrici, intellettuali), rappresentanti dell'ONU, dell'UNICEF e dell'UNHCR (a proposito, davanti alla sede dell'UNHCR di Peshawar c'è un bel cartellino che fornisce istruzioni per i profughi appena arrivati: si ritira il modulino solo in alcuni giorni della settimana e a certi orari, si compila ­ e chi non sa scrivere? ­ e poi si aspettano 6 mesi ­ non dico storie ­ per avere la risposta).
Il nostro lavoro continuerà, sia sul fronte della raccolta fondi sia sul fronte politico; forse a dicembre partirà una nuova delegazione.