DOPO DAVOS
RIFLESSIONI SU DONNE E MOVIMENTO ANTIGLOBALIZZAZIONE: MODALITA', CONTENUTI E PERCORSI


febbraio 2001, di Serena Boeri del collettivo Baba Yaga di Milano

 

Ho partecipato alla manifestazione di Davos perché volevo essere protagonista della contestazione ai potenti e alla loro visione del mondo.
Ma vi ho partecipato ancora più convinta dopo che insieme alle compagne svizzere ed ad altre compagne di altre città italiane avevamo deciso una nostra presenza in quanto donne.
Come collettivo non avevamo mai partecipato alle mobilitazioni di carattere internazionale del dopo Seattle ed eravamo consapevoli di una nostra carenza rispetto ad un lavoro sistematico contro la globalizzazione, abbiamo però ritenuto importante esserci sia per iniziare a dare visibilità in queste manifestazioni ai nostri percorsi e pensieri in quanto donne sia perché l'abbiamo interpretato come l'inizio di un lavoro che ci porterà ad essere più preparate ed organizzate a Genova.
Sono molto soddisfatta di aver partecipato a quella giornata, perché do una valutazione estremamente positiva di quanto si è riuscito a fare.
Il controvertice di Puerto Alegre, la contestazione di quanti sono riusciti ad arrivare a Davos, il blocco dell'autostrada da parte di noi fermati a 20 km da Davos, la manifestazione di Zurigo, le contestazioni alle frontiere hanno dimostrato ai potenti che esiste un altro mondo con cui devono fare i conti, che vuole, progetta e sogna un mondo diverso e che è disposto a lottare perché questo si realizzi.
La nostra presenza in quanto donne non è stata purtroppo molto visibile o meglio c'eravamo ed abbiamo fatto quanto potevamo ma abbiamo pagato lo scotto di non aver previsto tutto quanto poteva accadere, di non essere riuscite a congiungerci con le compagne di Zurigo, di non essere riuscite tutte a passare le frontiere e di essere quindi frantumate e divise.
Questa esperienza deve servirci nella costruzione di Genova e penso dobbiamo iniziare subito a confrontarci sia sulle modalità organizzative che soprattutto sui contenuti e i percorsi.
Ho partecipato alla riunione che si è tenuta a Genova indetta da Marea (mi sono però fermata solo la mattina non essendo convinta della piega che prendeva il dibattito) e vorrei buttare alcune riflessioni, stimolata anche da alcune affermazioni lette sulla rete, mie riflessioni personali ma che logicamente risentono del dibattito del mio collettivo e del coordinamento (inter)nazionale.
Non vedo Genova come punto di arrivo ma come tappa di un percorso tutto da costruire dove si dia visibilità a come noi donne nel nostro quotidiano contestiamo questo modello di società.
Il QUOTIDIANO penso debba essere l'elemento centrale e importante del nostro lavoro.
La storia del movimento femminista è stata una storia di lavoro sul quotidiano, se ripenso alla mia presa di coscienza questa è avvenuta attraverso la relazione e il confronto con altre donne, allo scoprire meccanismi di oppressione comune, allo smettere di sentirmi inadeguata ma invece consapevole delle oppressioni che io e le altre viviamo e da qui trarre la forza di combatterle e di immaginarmi, sognare e progettare una società diversa. Le grandi analisi vengono dopo, solo dopo esserci prese in mano il nostro quotidiano. E quindi non ci sono esperte, non ci sono intellettuali che mi dicono come organizzarmi ma solo donne con esperienze e gradi di consapevolezza diverse con cui confrontarsi. E non è forse questo quello che ci indica Vandana Shiva e il movimento delle donne indiane? Se si parte da queste basi penso che si sia anche in grado di rompere la delega, quando si capisce ciò che si vuole non si delega nessuno ad ottenerlo, ci si autorganizza.
Oggi il popolo di Seattle sta dando visibilità ad un modo diverso di concepire la vita, ma questo non è certo garanzia che sia a misura di donna.
Ed è grave che il pensiero delle donne italiane non si esprima, non si senta, non si veda.
Si è smesso di affrontare collettivamente i problemi che quotidianamente viviamo, che sono quelli che potrebbero farci trovare il filo di raccordo anche con donne che per storia, razza, esperienza, età sono diverse da noi e si è di conseguenza smesso di desiderare, si è permesso di rendere compatibili i desideri e si continua a giocare al ribasso. Poche energie sono spese nella ricerca di un nostro pensiero autonomo e tante nel confronto/scontro col pensiero dell'altro.
La radicalità del pensiero femminista stava proprio in questa capacità di pensare e di inventare modelli nuovi, tutto era messo in discussione e tutto era ripensato ed agito in maniera diversa.
I tentativi di rendere compatibile il tutto sono stati tanti ed alla fine ci sono riusciti convincendo di fatto che l'unico modello possibile è quello esistente (l'assurdità poi è che l'unico modello possibile sembra essere quello occidentale anche in presenza reale nel mondo di altre culture, altri valori) e costringendoci quindi a pensare sempre riferendosi a tale modello, per negarlo ma non per immaginarcene un altro e tutta l'attività si è basata sulla difesa del poco e a volte neanche voluto (si pensi alla legge sull'aborto) che si era ottenuto.

"Il movimento delle donne sembrava aver intuito tutto questo, dico sembrava perché ora il desiderio di esistenza forte, di autorivalutazione dentro questo mondo le ha respinte su una strada dal doppio bi-nario, ma che a mio avviso, come ogni bi-nario che si rispetti, ha una sola strada da seguire.
Nella fattispecie: affiancarci in parallelo, e sicuramente con autorevolezza, a un binario portante già esistente, ma inamovibile perché immodificabile, porta forse a possibili deragliamenti "differenziali", ma non apre di per sé a davvero nuovi itinerari per nessuno. Ho anzi il sospetto che attivi una rieditata complicità, basata sull'accettazione della "differenza" inalienabile e immodificabile dell'Alterità (quella data e data per scontata), con tutte le perniciose conseguenze simboliche. Quelle che sono lì da vedere"
(Daniela Pellegrini ­ 1997)
Ecco io penso che bisogna partire da qui, e da qui costruire Genova e altro
"In fondo la nostra presenza è un atto di rottura. Noi siamo talmente "Altro" da essere una minaccia, un pericolo, oltre che per i bianchi anche per i neri di origine borghese che non capiscono e non condividono le nostre prospettive.
La nostra trasformazione, individuale e collettiva, avviene attraverso la costruzione di uno spazio creativo, radicale, capace di affermare e sostenere la nostra soggettività, di assegnarci una posizione nuova da cui poter articolare il nostro senso del mondo.
(Bell hooks ­ Elogio al margine)

 

N.B. Mi sono accorta di aver liquidato un po' troppo velocemente il mio disagio verso la riunione di Genova: Penso che le riflessioni fatte possano in parte spiegare la diversità di vedute tra me e le compagne presenti a quella riunione e se, all'interno di quella riunione, non mi sono sentita di intervenire e di spiegare le motivazioni del mio dissenso è stato dovuto al fatto che troppe cose erano date per scontate. Penso che fosse la prima riunione su Genova, ma subito si è entrati nei problemi organizzativi: quale convegno, chi invitare.. Erano date per scontate le alleanze da instaurare e sì che il movimento antiglobalizzazione è molto variegato e come donna non so proprio dire quale parte sia più sensibile ai problemi "femminili"! Era dato per scontato che il convegno dovesse terminare con una piattaforma rivolta al governo, ma perché? Per chi?
Sono comunque disponibile ad approfondire il mio pensiero e soprattutto a confrontarmi con le altre, spero che queste mie riflessioni sollecitino delle risposte.
Con affetto
Serena Boeri