LA MARCIA MONDIALE A BRUXELLES
CRONACA DELLA MANIFESTAZIONE EUROPEA DEL 14 OTTOBRE


novembre 2000, di Monica Lanfranco

"Siamo in 25 mila, siamo venute da tutta l'Europa e qualcuna anche da più lontano" megafona una delle padrone di casa, belga del gruppo della Marcia. Una delle italiane le si avvicina, e sorridendo le spiega che va bene essere sincere, ma che di solito le cifre andrebbero un po' gonfiate, almeno per la stampa. In realtà le partecipanti a Bruxelles sabato 14 ottobre alla tappa europea della Marcia Mondiale delle donne contro violenze, povertà e guerre, che si concluderà per quest'anno con l'appuntamento a New York del 17 e 18 ottobre sono comunque di più: circa 40 mila.
L'orgoglio per la fatica organizzativa è ripagato dalla presenza così forte e decisa, ma ferito per la tristezza di aver sfilato in così tante nel deserto di cemento e vetro di una città vuota, nel quartiere dove hanno sede gli uffici delle istituzioni parlamentari del vicino Parlamento Europeo. Deserte sono le strade, nulla è la presenza della stampa: la mattina dell'evento nemmeno la radio belga ha dato notizia del corteo, e neppure la libreria gay lesbica ne sapeva nulla. Bruxelles ne era all'oscuro, come del resto, tranne l'eurodeputata Morgantini, non si è visto alcun europarlamentare sfilare. Prodi bigia l'appuntamento con la delegazione di donne che nel pomeriggio di sabato lo avrebbe dovuto incontrare, lasciando l'incombenza alla commissaria Anna Diamantopolou, atteggiamento che ribadisce la sinecura dell'ex premier italiano per i rapporti con la società civile.
Difficile nominare tutti i gruppi presenti nel corteo immenso, aperto dallo striscione di quante hanno sfilato a nome della Marcia Mondiale per una settimana nei vari paesi d'Europa: tra loro l'italiana Nadia de Mond di ORA che volerà subito dopo a New York. Tra le più colorate le indiane, le curde, le turche nei loro sgargianti abiti tradizionali; nutrita la presenza delle verdi belghe, rigorosamente vestite in verde; tante le spagnole, e tra loro anche qualche veterana ultraottantenne; kefia e slogan femministi per le molte italiane del Forum di Rifondazione, posizionate tra lo striscione giallo della Marcia italiana e le tante monocromatiche Donne in nero. Questa ultime si erano incontrate venerdì nella sede del Parlamento europeo per un convegno che avrebbe dovuto aprire la discussione su domande importanti: "Dopo Ulciny: a che punto siamo con le guerre, la violenza, il militarismo, i nazionalismi, il razzismo, la povertà?" In realtà la congiuntura della guerra in Palestina ha spostato l'asse della discussione, e molte domande sono rimaste per ora senza adeguate risposte. Soddisfazione, comunque, è stata espressa da tutte per lo sforzo di porre in agenda i diversi punti di vista sull'altro nodo tematico caro alle Donne in nero: la questione balcanica, sulla quale serbe e kossovare hanno versioni e posizioni anche lontane. A breve l'assise lancerà la data per una grande manifestazione di donne a Gerusalemme, con la parola d'ordine "una città per due liberi stati".
Due le immagini, tra le tante possibili, per riassumere l'appuntamento: la burca azzurra sotto la quale una donna afgana ha sfilato accanto allo spezzone delle Donne in nero e la triade che lo apriva: Luisa Morgantini, visibilmente commossa, a braccetto da una parte con la palestinese Lubna Shahin, con una bandiera del suo paese sulla spalla, e dall'altra con Ruth Cohen, israeliana, con in mano un cartello con la scritta Shalom. Una coraggiosa sintesi, in questi momenti così carichi di tensione e morte per i due popoli, del come per ora solo dal lavoro incessante e durissimo tra le donne si riescano a produrre parole e politica invece del sangue. Ma di questo è impossibile leggere sui giornali, e forse è giunto il momento di mettere in agenda anche la priorità di trovare modi e forme incisive per arrivare alla stampa tradizionale, affinchè non solo chi sfonda vetrine del Mac Donald abbia l'onore delle cronache.