COSTRUIRE UNA RETE
RIFLESSIONI
E PROBLEMI APERTI SULLE PROSPETTIVE DI ORGANIZZAZIONE DELLE DONNE
IN ITALIA
novembre 2000, a cura di Iemanja'
Nella storia degli ultimi secoli, ad ogni nuova forma di dominio, i settori oppressi hanno risposto costruendo le proprie organizzazioni e le relative strategie di resistenza e di lotta.
Oggi la sfida è recuperare il radicamento e l'identità a livello locale e, nello stesso tempo, misurarsi con i giganti del potere. Il coordinamento, la costruzione di reti, è la forma che questa esigenza di sommare le forze sta assumendo.
Reti contro il liberismo e la globalizzazione, reti per i diritti umani, reti di donne, reti studentesche, reti di lavoratori. Anche la Marcia Mondiale delle Donne 2000 è stato il risultato di una mobilitazione basata sulla "forma" organizzativa "rete".
La forma a rete non deve essere idealizzata: serve a fare delle cose ma non altre. Una rete mette insieme molte progettualità, difficilmente potrà elaborare qualcosa che sia simile ad un "programma", o a una prospettiva articolata. Il successo di questa modalità organizzativa probabilmente è dovuto anche a fenomeni negativi: la debolezza delle formazioni politiche di sinistra che riescono a garantire nei fatti solo le proprie campagne elettorali, impone ai soggetti sociali desiderosi di muoversi la ricerca di percorsi alternativi. Inoltre, per la sua natura di organizzazione tra pari, la rete esige tempi di consultazione per assumere posizioni e deliberare in assenza di organismi dirigenti. Infine spesso le decisioni prese hanno carattere generico.
Malgrado ciò, nel nostro contesto, la rete ci appare oggi la forma organizzativa più immediatamente praticabile. La diffusione delle nuove tecnologie di comunicazione la rende possibile. La debolezza dei partiti di sinistra, la frammentazione sindacale, la fragilità dei movimenti, fanno sì che la voglia di cambiare e di contare si sia coagulata intorno a forme associative minuscole e disperse sul territorio. In ogni città abbiamo piccoli gruppi che si battono per il commercio equo, per i diritti, che fanno lavoro di base nei quartieri popolari, contro il razzismo, contro il degrado ambientale, per la pace, e così via. Una volta quella militanza era tutta riassunta nei partiti o nei sindacati. Oggi non è più così, e può essere un bene. Le donne organizzate, in particolare, sono più libere, autonome, meno vincolate al dominio di istanze di norma governate dagli uomini.
Molti dei gruppi femministi che si sono costituiti negli ultimi dieci anni o che hanno resistito, sono costituiti da donne che hanno già vissuto in passato l'esperienza della rigidità delle organizzazioni tradizionali o che si sono attivate quando queste ultime erano deboli. Da qui è nata la disponibilità e l'interesse per la forma rete.Gli elementi per costruire una buona rete, a nostro avviso, sono i seguenti:
1) la rete è un collegamento di gruppi. Pur accogliendo anche i singoli, vengono valorizzati i collettivi invece che personalità individuali, come è invece caratteristica delle organizzazioni tradizionali. Il fatto che la rete metta insieme gruppi permette inoltre una più ampia circolazione di materiali e di idee, dal basso in modo circolare (invece che dall'alto). Inoltre rende più difficoltosa la burocratizzazione: ad una assemblea, in rappresentanza dello stesso gruppo, può andare prima una persona e la volta successiva un'altra.
2) in una organizzazione tradizionale si verificano lotte tra le correnti o cordate interne per l'egemonia. Anche nei movimenti di tipo assembleare ciò accade. In una organizzazione a rete no. Non vi sono (o non vi dovrebbero essere) posti di presidenza "da conquistare", visibilità da assicurarsi spasmodicamente, ecc. Gli appetiti dunque dovrebbero essere minori. In una organizzazione a rete tutti i gruppi sono alla pari. Se vi sarà un gruppo più influente di altri ciò non sarà dovuto alla sua capacità di manovra, all'abilità delle sue oratrici nel conquistarsi la platea, eccetera, ma semplicemente alle sue buone proposte o ai servizi prestati che risultano agli occhi di tutte, effettivamente, utili.
3) dato che uno degli aspetti positivi di una rete è che non vi siano cariche individuali di responsabilità pubblica, gli eventuali incarichi di portavoce è bene che siano affidati a rotazione. Creare delle autorità significherebbe infatti alimentare la competizione.
4) La rete si basa su una comunicazione democratica. Le nuove tecnologie ce lo permettono. Internet ci permette di dare spazio a tutte, evitando censure più o meno coperte.
5) Va incoraggiata la comunicazione in orizzontale da tutti i punti della rete: gli indirizzi e-mail, i numeri di telefono, i contatti, devono essere condivisi da ognuna.
6) Una rete si costruisce intorno al fare. E' molto meglio, invece di piattaforme generiche frutto di estenuanti compromessi e che alla fine scontentano tutte, l'accordo su un solo punto di mobilitazione concreta intorno al quale tutti i gruppi con le proprie specificità possano muoversi
7) Ogni gruppo deve essere valorizzato, per ciò che sa fare. Non vi può essere alcuna forma di discriminazione diretta o indiretta, timori di perdere il controllo, ecc. Atteggiamenti di questo genere alimentano un clima di sospetto e sfiducia che non giova, alla fine, a nessuno. I servizi e i contributi offerti dai gruppi devono essere utilizzati, fatti circolare, resi noti.
La rete ci appare la forma ideale oggi, ma forse non domani, per aggregare i gruppi di donne realmente esistenti in Italia (e nel mondo). Certo, non è l'unica forma possibile.
Non possiamo sottovalutare il grave problema della marginalizzazione delle donne all'interno delle organizzazioni di massa "miste".
Osserviamo ad esempio che vi sono intere categorie sindacali come i tessili, la sanità, la scuola, gli enti locali dove la maggioranza dei lavoratori sono donne. Eppure la conduzione dei relativi sindacati rimane rigidamente maschile. Guardiamo l'esempio dei sindacati della scuola: non solo i confederali, ma anche cobas, CUB, Unicobas, Gilda, sono saldamente in mano a leadership maschili. E' qualcosa di inevitabile? No. Tanto è vero che in altri Paesi non è così. Vi sono sindacati che hanno non solo aderito alla Marcia Mondiale delle Donne ma ne sono stati i principali assi organizzatori. Non avere dalla nostra parte strutture dei sindacati ci ha pesantemente penalizzato. In Italia non solo l'organizzazione dei sindacati è burocratica, ma in più gran parte delle volte la presidenza, dalle riunioni dei vertici fino all'ultima assemblea sui luoghi di lavoro, è maschile, e gran parte degli interventi sono di uomini, anche quando la platea è stracolma di donne.
Vi è stato un momento tra la fine degli anni ottanta e l'inizio dei novanta in cui le donne hanno posto il problema della rappresentanza. Era una discussione di carattere strategico. Tutto si è però concentrato sulle "quote". In organizzazioni maschili, dove le donne non danno vita ad una frazione autonoma, le quote si trasformano in uno strumento di cooptazione nelle mani degli uomini: le candidate alle quote non sono state scelte dalle donne in gran parte dei casi, ma da dirigenti maschi; le donne elette, così, dovevano rendere conto a loro e non alle loro compagne. Oggi non si parla quasi più né di rappresentanza né di quote, e alcune protagoniste di quell'epoca stanno persino al governo a dare una mano a smantellare i nidi come servizio pubblico.
Non molto diversa, ci pare, è la situazione delle donne nei partiti di sinistra. Sono ammesse in posti di responsabilità in "aree protette" e lì confinate. Le donne dei partiti, con tutta la buona volontà, non sono riuscite a fare in modo che i rispettivi partiti dedicassero alla Marcia Mondiale delle Donne un'attenzione anche solo lontanamente paragonabile a quella dedicata (giustamente) al World Pride. Lesbiche e gay sono riusciti ad imporre attenzione ai partiti di sinistra a partire da una rigorosa autonomia, e con forze che, almeno sulla carta, sono nettamente inferiori alle nostre. Dobbiamo imparare da loro.
Resta quindi aperto il problema della rappresentanza delle donne sia nei luoghi "misti", sia nella costruzione di un soggetto politico "separato", cioè specifico delle donne. Imbastire una rete può aprire una strada.