PRESENTAZIONE PUBBLICA DEL MANIFESTO LESBISTA A MILANO


luglio 2000, a cura di Iemanjà

 

Lunedì 3 luglio è stato presentato alla cittadinanza il manifesto lesbista, elaborato da Arcilesbica e sottoscritto da numerose organizzazioni di donne, di omosessuali, della sinistra. Il manifesto è infatti un appello rivolto non solo alle lesbiche ma ad un'ampia rete di soggetti che si trovano a condividerne l'impostazione e le prospettive.
Si tratta di una risposta forte e determinata all'offensiva che velocemente, negli ultimi anni, cerca di smantellare i diritti faticosamente conquistati da gruppi sociali trasversali agli schieramenti dei partiti, primi fra tutti le donne.
L'idea del manifesto è nata a febbraio, mentre dalla gerarchia cattolica si ponevano i primi veti alla manifestazione del world pride a Roma e il mondo omosessuale cercava una mediazione rassicurando sulle proprie intenzioni di non interferire affatto con le cerimonie del giubileo. Tra le donne lesbiche è maturata in questi frangenti la consapevolezza di quale fosse in realtà la posta in gioco, e la necessità di alzare il tiro e non trincerarsi sulla difensiva.
Mai un world pride è stato così caricato di significati politici, al di là dei progetti dei suoi promotori. Intorno alla questione dei diritti civili, del diritto delle minoranze ad essere visibili e manifestare, sono emerse fortissime opposizioni che hanno reso esplicita la valenza di controllo sociale che ha la norma sessuale nella nostra cultura. Quel groviglio di questioni riconducibili alla morale sessuale - contraccezione, aborto, famiglia fondata sul matrimonio, tecniche di riproduzione assistita, e così via ­ hanno assunto, con questo ulteriore tassello del mosaico posto dagli omosessuali, una fisionomia più definita, più leggibile nel suo quadro complessivo di struttura di dominio da una parte, e di spinta alla trasformazione dell'assetto culturale, sociale e politico dall'altra.
Così le forze coinvolte si trovano nella situazione di manifestare non tanto la propria solidarietà nei confronti di una minoranza, quanto la difesa del proprio stesso diritto di essere soggetto attivo di trasformazione, di autodeterminare la vita privata come quella collettiva.
I contenuti del manifesto non sono nuovi e potrebbero sembrare persino ovvi, se negli ultimi anni il nostro paese non fosse stato attraversato da una ventata di integralismo. Diventa necessario dire in modo assolutamente chiaro cose che non sono più scontate per la coscienza comune.
Ad esempio l'importanza di garantire la libertà di espressione nella capitale e con questo di affermare la laicità dello Stato. E poiché in uno Stato che si vuole liberale, moderno, è anomala l'esistenza di un Concordato che garantisce privilegi alle gerarchie di una particolare religione, il manifesto chiede semplicemente l'abolizione del Concordato. Si respinge l'idea che tutti siano obbligati a credere in qualche dio o a interessarsi di questioni religiose, si chiede l'abolizione dell'insegnamento della religione cattolica nelle scuole.
Allo stesso modo si dice no all'eterosessualità obbligatoria e alle gravidanze coatte: si fa osservare che tutti i rapporti di potere vengono elevati a natura, come se fossero un dato ineludibile, per consentire il perpetuarsi delle strutture del patriarcato. Al contrario, si chiede allo Stato il riconoscimento delle unioni libere, sia eterosessuali che no, in modo da tutelarle con gli stessi diritti delle famiglie tradizionali.
Non si chiede alla Chiesa di cambiare le proprie tradizioni ma semplicemente di non invadere la vita degli altri o di costringerla nell'ombra.
Si tratta di posizioni che in altri Paesi occidentali hanno già ottenuto riconoscimenti giuridici, ma che in Italia è ancora necessario affermare come se fossero novità dirompenti a causa da una parte della presenza fisica dello Stato Pontificio, e dall'altra della debolezza delle forze politiche che hanno ancora bisogno della benedizione del Vaticano per conservare il controllo dell'elettorato.
La vicenda del world pride ha costretto la sinistra a schierarsi a favore del diritto di manifestare abbandonando la ormai abituale tattica di conciliazione con la gerarchia cattolica e di subalternità culturale.
Ciò non significa che a sinistra non ci sia una vena di omofobia, o che non vi sia radicato il maschilismo. Questa vicenda ha però posto in evidenza la necessità e la possibilità di costruire alleanze tra soggetti diversi, mantenendo la propria autonomia e non scendendo a compromessi su ciò che si ritiene essenziale. Le lesbiche e i gay, il movimento di donne, la sinistra nel suo insieme, i giovani hanno trovato intorno al world pride un'occasione importante di riaggregazione che apre nuove prospettive per tutti i soggetti coinvolti.
In Italia i gruppi e movimenti di donne che aderiscono alla Marcia Mondiale hanno considerato fin dall'inizio il World pride come una propria scadenza nazionale annunciando la propria partecipazione al corteo al fianco delle donne lesbiche, non per solidarietà ma perché parte in causa, in quanto donne, dello stesso percorso di riappropriazione del proprio corpo, della propria sessualità, della volontà di autodeterminazione nella vita personale e sociale.