IL COORDINAMENTO NAZIONALE A FIRENZE E LA QUESTIONE ORGANIZZATIVA
RIFLESSIONI SULLA QUESTIONE DELL'ORGANIZZAZIONE E DELLA POLITICA DELLE DONNE


febbraio 2001, di Gabriella Gagliardo

 

Nella riunione del 21 gennaio non è stato possibile discutere del documento presentato da me e da Rosanna, in rappresentanza di due gruppi che fin dall'inizio hanno aderito alla Marcia Mondiale e ne hanno seguito il percorso. Per ragioni di tempo, data la portata delle altre questioni già all'ordine del giorno; per la complessità del problema affrontato, che certamente richiede una discussione approfondita; ma forse anche per altre ragioni.
La più importante di queste, a mio avviso, è il fatto che per il senso comune della maggioranza delle donne presenti, la questione organizzativa è potuta apparire come una cosa distante dalle urgenze, dalle scadenze e dai contenuti che a noi tutte preme mettere in comune.
Penso invece che ogni passo che vogliamo costruire insieme comporti di fatto delle scelte organizzative che sono lo specchio della nostra politica reale, anzi sono la nostra politica reale, al di là del discorso politico che ognuna di noi è impegnata a dire.
Per questo ritengo indispensabile che ogni gruppo locale, e ogni singola donna, rifletta - e si esprima per iscritto, come da più parti è stato sollecitato in assemblea ­ su come intendiamo proseguire questa esperienza comune.
Esiste una "politica delle donne" diversa dalla vituperata politica maschile? E in cosa si differenzia?
Le proposte avanzate nel nostro documento le ritengo valide per qualsiasi organizzazione, anche mista, che raccoglie soggetti impegnati a uscire fuori da una situazione di oppressione e a costruire alternative. Serve a un movimento di lavoratori/lavoratrici, a un movimento antiliberista, antirazzista, eccetera, dotarsi di strumenti di partecipazione democratica, lottare al proprio interno contro la tendenza alla delega, per la valorizzazione di tutte le risorse, per la formazione di nuovi quadri e per il ricambio generazionale.
E' proprio infatti di tutti i soggetti oppressi ­ i lavoratori/lavoratrici schiacciati dal carico di lavoro, le donne poste continuamente in situazione di svantaggio nel pubblico come nel privato, i neri/le nere, le minoranze etniche, omosessuali e lesbiche, i/le giovani- trovarsi a fare i conti non solo con i "nemici esterni" che bisogna combattere, ma anche con quello che gli oppressori di turno hanno ficcato nelle loro teste.
Come dovrebbe averci ormai insegnato il femminismo degli anni'70, nella testa delle donne ­ se preferite scritto nel corpo ­ c'è, in misura varia a seconda delle storie individuali e della storia collettiva, una certa paura di esporsi, un'autostima sotto minaccia costante, la svalutazione di ciò che si fa e si pensa, la difficoltà a gestire i conflitti, dei tabù più insidiosi del sesso, quali il potere e il denaro, eccetera eccetera.
Problemi superati? Roba che riguarda le classi sociali basse ma non le intellettuali? Se ci sentiamo finalmente a nostro agio nei partiti, nei sindacati, nei luoghi misti, allora meglio non parlare di politica delle donne, a meno di non intenderla come cordata nella scalata a qualche poltrona, come purtroppo a volte accade in quegli ambienti. La possibile donna che ha imparato a comportarsi-come-i-maschi è in agguato in ognuna di noi. Si è stufata di riconoscersi oppressa, emarginata dai luoghi in cui si pensa, si decide, si fa la storia; di fronte alle masse delle donne ­ quelle sì, oppresse, tanto più se vivono nel Sud del mondo e sono nere, o nelle nostre periferie e guardano sempre la televisione ­ si sente in dovere di pensare, decidere, fare la storia, come un maschio illuminato, convocandole nella speranza che si facciano vive quando è il momento di riempire le piazze.
E' pazzesco pensare che le donne ­ la massa, la base ­ devono essere messe nelle condizioni di prendere la parola? Queste parole non saranno magari quelle che direi io o noi, ma devono poterle dire. Anche quando all'inizio del secolo le femministe lottavano per il diritto di voto alle donne, la sinistra temeva che il voto delle donne sarebbe stato di destra. Noi quale movimento di donne vogliamo costruire? Un ambito per addette ai lavori, per intellettuali, per funzionarie di partito ed apparati vari? O vogliamo partire dalla base, come a volte diciamo? E come si fa a partire dalla base? Che scelte dobbiamo fare per rendere questo possibile?
Non intendo affatto dare una valenza negativa alla parola "intellettuale". Tutte noi che abbiamo partecipato alla Marcia in qualche misura lo siamo: sappiamo gestire la parola in pubblico, scrivere, eccetera. Il problema è che la massa delle donne non è in questa condizione.
In un'assemblea di donne non si può dimenticare tutto questo. So che se noi tutte vogliamo lottare per modificare i rapporti di forza a favore delle donne, in Italia e nel mondo, (pretesa non da poco!) il momento in cui sperimentare rapporti alternativi, che rispondano a un'altra logica e ad altre regole rispetto a quelli dominanti, non può attendere. Altrimenti rischiamo di riprodurre i soliti meccanismi in cui qualcuno detiene le informazioni e altre ascoltano, qualcuno arriva con le proposte e altre aspettano le indicazioni, qualcuna "più competente" assume gli incarichi e altre "più incompetenti" delegano.
Siccome questa tendenza c'è, fortissima, anzi è la norma, noi dobbiamo dotarci di strumenti e attrezzarci per realizzare, da subito, una situazione in cui tutte le donne presenti prendano la parola, la direzione del movimento, la gestione dei soldi e delle altre risorse, il controllo delle relazioni all'esterno. Infatti spontaneamente questo non avviene mai. E' necessario uno sforzo deliberato e cosciente, e una vigilanza continua per non ricadere nelle cattive abitudini.
Il compito che ci siamo date è enorme: ricostruire un movimento femminista. La scelta è se costruirlo dal basso, cioè coinvolgendo la "massa" (viste le nostre forze si tratta di settori di massa estremamente limitati) o costruirlo dall'alto, cercando cioè continuamente il soccorso di ceti, istituzioni, strutture.
Penso che come Marcia abbiamo fatto e stiamo continuando a fare passi in avanti, la strada comunque è ancora lunga. Un esempio: la questione delle immigrate, che inizia finalmente ad emergere. E' una questione cruciale: sulle immigrate non pesa solo l'oppressione di genere ma anche quella etnica e di classe. Dobbiamo costruire un movimento femminista che sia bianco e nero, che sia cioè un'alleanza tra donne del Nord e del Sud, bianche e nere. Eppure gran parte del femminismo del Nord del mondo è costituito da donne bianche di classe media, e le nere in alcuni Paesi per non scomparire hanno dovuto ricorrere a momenti separati di femminismo nero (ad esempio in Brasile, negli USA). Il problema in Italia è costruire un movimento femminista che non si limiti a parlare di immigrate ma che sia delle immigrate, un luogo anche loro. Occorre valorizzare le poche presenti al nostro interno e cercare le altre, costruire iniziative che servano ad avvicinarle. E fare in modo che le italiane facciano i conti con le proprie interne difficoltà che hanno a che fare con i privilegi di cui godono (godiamo) rispetto alle immigrate.
Per questo la scelta "organizzativa" di inserire nel gruppo di coordinamento un'immigrata, anche se non era in quel momento fisicamente presente, io la condivido, e vorrei che la motivazione e l'obiettivo fossero discussi a fondo e condivisi tra tutte, come non abbiamo ancora fatto; vorrei anche che questa presenza pesasse e non divenisse un fiore all'occhiello.
Nello stesso modo vorrei che arrivassimo, con i tempi che saranno necessari, a una scelta unitaria su come costruire le scadenze (l'8 marzo, il controvertice di Genova e qualunque altra), senza accanirci a trovare il contenuto unificante (personalmente sono disposta ad assumere qualsiasi rivendicazione tra le innumerevoli presenti nelle piattaforme italiana, europea, mondiale) quanto a verificare che sia unitario il modo di procedere: partire dalla base. Perché certe scelte "organizzative" hanno un carattere politico profondo e fondante.