LE IMPLICAZIONI DELLE SCELTE ORGANIZZATIVE
UN CONTRIBUTO SU UNA QUESTIONE DA NON ELUDERE PER CAPIRE DOVE VOGLIAMO ANDARE COME MARCIA DELLE DONNE


febbraio 2001, di Lucia Bisetti

 

 

Non so bene perché, ma normalmente una richiesta di discussione in ordine all'organizzazione di un comitato, di un coordinamento, di un gruppo fino ad oggi informale o quasi, viene spesso accolta con reticenza se non con diffidenza. Non mi stupisce quando ciò avviene in situazioni già fortemente strutturate, sovente maschili o al massimo "miste", e quindi inclini a preservare i loro spazi con determinazione; mi rattrista un po' quando avviene tra donne, tra donne militanti che subiscono nella loro azione e vita quotidiana la prevaricazione di strutture organizzative di stampo maschile e verticistico. È successo un po' anche con la proposta di Gabriella e Rosanna, cassata dal calendario del prossimo incontro e inspiegabilmente scomparsa anche dal rendiconto della riunione di Firenze. Vorrei intervenire per dire come mai a me sembra invece questa discussione importante e ineludibile.

Voglio subito premettere una mia salda certezza: come molte di noi, io non credo a una politica di genere meramente rivendicativa. La mia convinta adesione alla Marcia e ad ORA! nasce proprio dall'esigenza di costruire insieme ad altre donne proposte alternative allo stato di cose esistente (tanto per marxisteggiare un pò!) che siano momenti di lotta e di presa di coscienza ­certo- ma anche (forse soprattutto) possibilità di sperimentazione di prassi altre da quelle imperanti. In questo senso, uno dei campi di applicazione di pratiche diverse da quelle maschili è sicuramente quello che investe l'organizzazione e la struttura del nostro stare ed elaborare insieme; e molto spesso nei fatti (io credo anche nel coordinamento della Marcia) avviene spontaneamente che ci si confronti e si progetti in maniera differente da come ci troviamo costrette a fare in ambiti misti. Ma il passo successivo, quello di parlarne, di farne un pezzo del nostro percorso femminista, questo non viene compiuto, anzi viene eluso. Ci affidiamo all'indubbia fiducia reciproca che ci lega durante il cammino, e speriamo che questo collante sia sufficiente a farci avanzare nel modo più efficace possibile.
Spesso questo differire la disamina delle questioni organizzative poggia sulla preoccupazione che un irrigidimento della struttura possa soffocare un movimento nascente, e per questo fragile; è un cruccio che condivido, ma che non può nascondere il fatto che una struttura basata solo sulla buona volontà e sulla distribuzione fiduciaria degli incarichi funziona fino a quando si è in poche, volenterose, motivate; non funziona più quando l'impegno lievita e le scadenze si fanno più numerose e pressanti; allora succede che alcune si accollino ­meritoriamente- oneri più pesanti, e tendano a gestire ­con autorevolezza e in molte occasioni senza autoritarismo- la situazione nel suo insieme. Non è una fase negativa, ma è certo uno stadio in cui è facile perdere militanza, in cui non si attiva più un processo di crescita collettiva ma si innescano piuttosto meccanismi di delega sempre più gravosi per chi li assume e sempre meno impegnativi per chi li affida. Io francamente non credo che questo sia l'orizzonte da perseguire, proprio perché la mancanza di quel progredire insieme che si sviluppa nel dibattito e nel confronto continuo (dibattito e confronto che devono investire tutta la nostra azione, e non solo obiettivi e scadenze), credo che possa minare alle fondamenta l'elaborazione di prassi e pratiche diverse da quelle che subiamo; perché non è sufficiente che i modi si diano nella concretezza, è necessario anche capire da dove arrivano e dove vogliono ­o possono- andare a parare. Non si tratta di governare con più o meno determinazione e fiducia reciproca lo sviluppo del nostro percorso, si tratta di discutere e decidere insieme con quali gambe vogliamo che avanzi.

Le implicazioni di questa scelta non sono da poco; io ho alcune preferenze di cui mi piacerebbe discutere con le altre donne (la relazione al posto della mediazione, il mandato al posto della delega, la rete al posto della piramide) che si danno per acquisite ma che non mi sembra siano esito di una scelta cosciente delle donne; la differenza che esiste tra mandato e delega (tanto per fare un esempio) è spesso sottile, ma sintomatico. Affidando una delega, si affida una potenzialità decisionale comunque discrezionale; affidando un mandato si vincolano le eventuali decisioni da prendere al coinvolgimento della base che il mandato ha affidato. La fiducia, la sicurezza che una delega verrà gestita nell'interesse e secondo gli obiettivi della base delegante, se da un lato avvicina i due strumenti (molto spesso una delega basata sulla fiducia è assai simile a un mandato) è comunque un affidamento di responsabilità a una persona e non un1'assunzione di responsabilità da parte della base. Allora, a me pare importante la discussione sulle forme organizzative non certo per contestare in alcun modo esiti che comunque sono stati raggiunti (e che a me personalmente hanno ridato respiro nella lotta spesso asfittica per riportare le donne a decidere di loro stesse), ma per potenziare la nostra azione in termini meramente logistici (e in questo senso mi sembrano importanti le proposte avanzate dal documento di Gabriella e Rosanna) da un lato, e dall'altro per iniziare un percorso che ci porti a poter proporre con cognizione di causa itinerari e strutture diverse da quelli normalmente agiti. Faccio qualche esempio, un po' rudemente: la rete (con tutti i suoi limiti, che però sarebbe necessario indagare e non solo evocare) la scegliamo perché siamo convinte che sia una forma più consona alla nostra politica, o perché ci permette di stare insieme senza dilaniarci? Le relazioni che intratteniamo sono mediazioni gestite con autorevolezza o progresso collettivo verso soluzioni che fanno avanzare il movimento con arricchimento di ognuna delle sue componenti? Ci interessa pensare a questi problemi, vogliamo spendere la nostra intelligenza anche su questo, o riteniamo che potrebbe portarci ad avvitarci nuovamente solo su questioni teoriche perdendo di vista un movimento nascente? Io credo che siamo ormai così "sorelle di lotta" da poterci rispondere con franchezza e senza reticenze.