LIBERIA: LE DONNE CHIEDONO GIUSTIZIA
LE ORGANIZZAZIONI DI DONNE VITTIME DELLA GUERRA SI SFORZANO DI RIUNIRE DONNE PERCHE' POSSANO RACCONTARE LE PROPRIE SOFFERENZE. QUESTA E' UNA PARTE IMPORTANTE DI OGNI PROCESSO DI GUARIGIONE


gennaio 2005, Riduzione dal testo di Hanna Smidt, traduzione dal francese di J.-J. Peyronel. Dal forum Africamica

"Abbiamo sofferto molto; e ancora adesso soffriamo", dichiara Rita Wheazor, direttrice dell'organizzazione delle donne vittime della guerra in Liberia (War-Affected Women in Liberia, Wamil). Come molte altre donne della Liberia, nel corso dei 14 anni di guerra civile che ha dilaniato il paese, Rita ha sofferto di una violenza mirata contro le donne. In Liberia la violenza sessuale e la discriminazione delle donne sono state ampiamente usate come armi di intimidazioni, come avviene anche in altri conflitti e guerre. La stessa Rita è stata violentata durante la guerra, e sua figlia è stata stuprata e uccisa. Ritrovarsi per scambiare racconti di sofferenze con altre donne, ecco come ha iniziato Wamil, spiega Rita: "Quando, la prima volta, ci siamo riunite in un garage, abbiamo pregato insieme. Le donne mi dicevano: "Tutto è perduto, non siamo nulla. Nessuno è venuto in nostro aiuto. Pensiamo che Gesù non ci ama più"". Ma Rita non ha voluto ammettere che Gesù le avesse abbandonate, che egli avesse accettato che esse fossero vittime della violenza. Ha voluto che esse si sostenessero a vicenda e scoprissero un senso nel caos. ()

Lo stupro sistematico un'arma di intimidazione

Nel 2003, dopo 14 anni, la guerra civile in Liberia si è conclusa con la firma di un accordo di pace tra i ribelli e il governo provvisorio. Attualmente, l'Onu sovrintende alle operazioni di mantenimento della pace, con in particolare il disarmo di diecine di migliaia di ex ribelli e il rimpatrio di centinaia di migliaia di rifugiati e sfollati all'interno del paese. Sono previste elezioni nel 2005. Nel corso di questa guerra, in Liberia, tutti hanno sofferto. Tutte le persone che si incontrano raccontano che hanno perso membri della propria famiglia, che sono state costrette a fuggire, sempre di nuovo, che le loro case sono state saccheggiate e incendiate, che sono state vittime di maltrattamenti e di atti di violenza, che sono state costrette a lavorare o a combattere.
Ma le donne erano particolarmente prese di mira dalla violenza, per il semplice fatto di essere donne. Spesso, i ribelli stupravano le donne prima di ucciderle. Nella Liberia attuale, le donne che sono sopravvissute giudicano la propria sorte a seconda del fatto se siano state violentate o meno (o "disonorate", per usare un eufemismo ricorrente). Si trattava di stupro individuale o collettivo, ma anche di "matrimoni" forzati con gli uomini che le violentavano, così che esse erano costrette a fare la cucina, le pulizie, il bucato e a sottomettersi sessualmente al loro rapitore. Durante il conflitto, alcune donne hanno anche combattuto, il che non ha loro impedito di essere anche schiave sessuali. Molte di loro, alcune delle quali erano ancora bambine, si occupano oggi dei bambini nati da questi stupri. Molte donne sono state abbandonate dal proprio marito per via della stigmatizzazione legata allo stupro; altre soffrono di malattie sessualmente trasmissibili, in particolare dell'Hiv-Aids; per cui la loro sofferenza continua. Molte donne e bambine, più numerose di quelle che sono state uccise, sopravvivono solo con profonde ferite fisiche e psicologiche. Sono straziate nella loro dignità, nei loro sentimenti, nel loro onore e nel loro futuro.
Non solo gli ex combattenti passeggiano liberamente nelle strade ma, quando depongono le armi, ricevono un compenso finanziario. Vengono loro proposti atelier per guarire i loro traumatismi o per sviluppare le loro competenze; vengono incitati ad andare a scuola. Tali incoraggiamenti e opportunità non vengono offerti alla maggior parte della gente che non ha partecipato alla guerra. Perché la pace abbia una vera possibilità di instaurarsi, occorre investire per la pace. Bisogna offrire a coloro che hanno scelto di fare la guerra buoni motivi per preferire la pace. Ma questo è difficile da accettare da parte delle donne che non hanno quasi nulla per vivere, che hanno sul proprio corpo le stigmate della violenza di cui sono state vittime e che vedono che, apparentemente, vengono premiati coloro che le hanno stuprate.
La violenza sessuale e fondata sulla discriminazione uomo-donna sia in tempo di pace sia in tempo di guerra, ha a che vedere con i diritti umani. In tempo di guerra, i diritti delle donne e dei bambini vengono violati perché si tratta di donne e di bambini. L'uguaglianza sessuale e tra i sessi è una questione di diritti umani e di giustizia.
Le organizzazioni come Wamil, che si sforzano di riunire donne perché possano raccontare le proprie sofferenze e pregare insieme, sono soltanto all'inizio. Esprimere, raccontare quello che si è vissuto, è una parte importante di qualunque processo di guarigione. In modo generale, i liberiani sono persone molto aperte, parlano volentieri della guerra, ne sono capaci, ma è difficile esprimere esperienze di questo genere, che vengono considerate come vergognose e disonoranti. Essa stessa vittima della guerra, Rita rompe questo silenzio: non si accontenta di riferire racconti scoraggianti, o addirittura disperati; testimonia un'esigenza di giustizia in un paese in cui appare lontana. Benché prostrata, insiste sulla dignità e i diritti delle donne, anche di quelle che fanno fatica a sormontare la propria vergogna e che non possono trovare parole per esprimere la propria sofferenza.