IRAN 2004, DI NUOVO SUL PODIO DELLA DISUMANITA'
RECORD DI CONDANNE A MORTE, TORTURE E PENE DEGRADANTI PER PRESUNTI REATI DI DONNE E MINORI


maggio 2005, dal Rapporto 2005 di Nessuno tocchi Caino a cura di Elisabetta Zamparutti

 



Nel 2004 l'Iran è salito di nuovo sull'orribile podio olimpico dei primi paesi boia del mondo, battendo anche la prestazione dell'anno prima. Le esecuzioni sono state almeno 197, a fronte delle 154 del 2003. Si è piazzato sempre al secondo posto, dopo la Cina, anche se in rapporto alla popolazione è come se fosse arrivato primo.
I dati reali sulle esecuzioni potrebbero essere ancora più alti: le autorità non forniscono statistiche ufficiali e i numeri riportati sono relativi alle sole notizie pubblicate dai giornali iraniani, che evidentemente non riportano tutte le esecuzioni.
Sul suo sito web, Nessuno tocchi Caino ha riportato notizie relative a 123 condanne a morte e 164 esecuzioni nel 2004. Secondo il monitoraggio sui principali quotidiani iraniani effettuato dalla Agence France Presse, le esecuzioni nel 2004 sono state almeno 97. Secondo il monitoraggio del sito web Iran Focus, tra il 1° marzo e il 5 ottobre del 2004 vi sarebbero state almeno 125 esecuzioni. Secondo Abdolkarim Lahiji, vice presidente della Federazione Internazionale delle Leghe per i Diritti Umani (IFHRL), "ogni anno ci sono dalle 300 alle 400 esecuzioni in Iran".
Nel 2004, la stampa iraniana ha riportato l'esecuzione pubblica di almeno 5 donne, tra cui una ragazza di 16 anni, Atefeh (Sahaleh) Rajabi, impiccata in pubblico a Neka il 15 agosto. Almeno altre 9 sono state condannate a morte. Al 31 dicembre 2004 c'erano 14 donne nei bracci della morte in attesa di essere impiccate o lapidate.
L'Iran ha giustiziato almeno tre minorenni nel 2004 e altri 11 sono stati condannati a morte. Al 16 gennaio 2005, nel carcere minorile di Teheran e in quello di Rajai-Shahr c'erano almeno 30 condannati a morte che avevano meno 18 anni quando hanno compiuto il reato.
Secondo le stesse autorità, molte esecuzioni in Iran sono relative a reati di droga, ma è opinione di osservatori sui diritti umani che molti di quelli giustiziati per reati comuni, in particolare per droga, possano essere in realtà oppositori politici.
Non c'è solo la pena di morte, secondo i dettami della Sharia iraniana, ci sono anche torture, amputazioni degli arti, fustigazioni e altre punizioni crudeli, disumane e degradanti. Non si tratta di casi isolati e avvengono in aperto contrasto con il Patto Internazionale sui Diritti Civili e Politici che l'Iran ha ratificato e queste pratiche vieta.
Il 5 gennaio 2004, funzionari del regime dei Mullah hanno amputato il braccio destro di un detenuto nella piazza centrale di Hamedan. Due giorni prima un altro uomo di nome Kazem era stato amputato del braccio nella piazza Moushak di Dezful. Un funzionario della giustizia, citato dal quotidiano statale Repubblica Islamica, ha dichiarato che "è il trattamento riservato agli agenti dell'insicurezza".
Il 26 febbraio 2004, l'Iran ha rifiutato di consegnare alla famiglia che vive in Canada il corpo di un uomo che era morto a seguito delle frustate ricevute in prigione. Mohsen Mofidi, 35 anni, era deceduto pochi giorni dopo l'uscita dal carcere dove era stato sottoposto alla pena di 80 frustate per aver violato il codice di condotta della repubblica islamica. Mofidi era stato accusato di aver posseduto un'antenna parabolica e medicinali contenenti alcol. Il 9 marzo 2004, rispondendo a una domanda sulla morte di Mofidi durante una conferenza stampa, Ghollam Hossein Elham, portavoce del ministero della giustizia, ha dichiarato: "Cosa stanno cercando i media in questa vicenda? Se accade qualcosa a qualcuno in carcere, è dovuto ad atti contrari alla legge? Può essere che qualcuno rimanga ferito a seguito delle giuste punizioni previste dalla legge. Le ferite sono proprie della natura stessa della punizione che è legale e non un crimine o una tortura."
Il 28 aprile 2004, in una direttiva rivolta all'apparato giudiziario, il responsabile della giustizia Ayatollah Mahmoud Hashemi-Shahroudi ha dichiarato la messa al bando della tortura, utilizzata normalmente dalle forze di sicurezza della Repubblica Islamica per ottenere confessioni. Nella direttiva Shahroudi ha scritto che "le confessioni ottenute tramite tortura non sono legittime e non hanno valore giuridico" e ha stabilito che "il bendare, il legare, il pestare e l'insultare i detenuti sia bandito durante l'arresto, gli interrogatori e l'inchiesta". Il documento è una tacita ammissione del fatto che la tortura è una pratica ancora prevalente in Iran. La Costituzione iraniana vieta espressamente l'uso della tortura sui detenuti e nel maggio del 2004 una legge contro la tortura è stata approvata dall'uscente Parlamento a maggioranza riformista. Ma il 7 giugno 2004 Human Rights Watch ha diffuso un rapporto di 72 pagine che documenta, a partire dal 2000, abusi sistematici nei confronti di oppositori politici avvenuti nella prigione di Evian a Teheran e in altre prigioni segrete nei dintorni della capitale. "Le affermazioni secondo cui la nuova legislazione anti-tortura ha fermato le torture sono semplicemente false", ha detto Sarah Whitson, direttrice esecutiva della Divisione Medio Oriente e Nord Africa di HRW. La lunga lista di abusi documentati nel rapporto include arresti arbitrari, detenzioni senza processo e in condizioni di isolamento, pestaggi, torture e minacce di esecuzione per estorcere confessioni.
Il 2 luglio 2004, la polizia femminile nel quartiere di Taghiabad a Mashad, composta da Guardie della Rivoluzione donne, ha arrestato ragazze che indossavano pantaloni che mostravano le caviglie. Sono state fermate per un intero giorno presso il Dipartimento del Vizio Sociale e affidate alle loro famiglie dopo aver ricevuto 20 frustate e pagato una multa.
Il 30 ottobre, 2004, Zhila Izadi, una ragazza di 13 anni originaria della città di Marivan nella provincia del Kurdistan è stata sottoposta in carcere a 55 colpi di frusta, il che l'ha ridotta in pessime condizioni di salute. Il 16 ottobre, il giornale iraniano "Peyke Iran" aveva riportato che Zhila, rea di aver concepito un bambino insieme al fratello 15enne, era stata condannata a morte mediante lapidazione, mentre al ragazzo era stata inflitta la pena di 150 frustate. Ma una fonte interna alla magistratura aveva poi smentito la condanna a morte. Zhila ha dato alla luce la sua creatura in carcere e sarebbe stato lo stesso padre, descritto come un devoto musulmano, a informare le autorità della "vergogna" gettata sulla famiglia dalla giovane figlia. "Ho paura, voglio andare a casa, vorrei poter tornare a scuola come gli altri ragazzi," avrebbe detto ad Azad Zamani della Società per la Protezione dei Diritti del Fanciullio che è riuscito a farle visita.
Il 12 novembre 2004, Kaveh Habibi-Nejad, uno scolaro di 14 anni di Sanandaj, è morto dopo essere stato fustigato per "aver mangiato in pubblico" durante il mese di Ramadan. L'autopsia ha riscontrato che il ragazzo è deceduto "per una emorragia cerebrale a seguito della frattura della parte posteriore del cranio procurata da un corpo contundente". Testimoni oculari hanno riferito che prima di essere frustato, gli era stata letta la punizione dallo stesso Capo della Polizia che aveva annunciato che Kaveh avrebbe ricevuto "85 colpi sulla schiena".
Le autorità iraniane fanno spesso sfilare i giovani, seduti di spalle sugli asini, per le strade dei loro quartieri per deriderli e umiliarli. Questo tipo di punizioni sono inflitte spesso per piccoli "reati" come consumo di alcolici, inosservanza del coprifuoco notturno e mancanza di rispetto verso gli agenti della sicurezza. Il 5 gennaio 2004, su ordine di un giudice, 15 giovani vestiti con l'uniforme dei detenuti sono stati fatti uscire dal carcere a marciare in città per tre ore. Per umiliarli sono stati costretti a girare per le strade con in testa cappelli a punta e a forma di papero, boccali e ciucciotti colorati appesi intorno al collo. Il 10 novembre 2004, un giovane è stato costretto a camminare per le strade principali della città di Babol con i capelli rasati a forma di croce e le braccia aperte a mo' di crocifisso grazie a un lungo bastone infilato nelle maniche della camicia.