L'IRAQ, RESISTENZA AL FEMMINILE
INTERVISTA A HOUZAN MAHMUD, IRACHENA CHE SI BATTE PER I DIRITTI DELLE DONNE E CONTRO LA COSTITUZIONE MISOGENA


Ottobre 2005. A cura di Cinzia Chiappini e Mario Baccigalupi di Contattoradio




Houzan Mahmud è la responsabile della sezione britannica di The Organization of Women's Freedom in Iraq. Da quanto è nata l’organizzazione, il suo compito è stato quello di far conoscere e raccontare al mondo i problemi e le esigenze della popolazione irachena, con particolare attenzione, ovviamente, alla condizione femminile. È iniziata così una serie di viaggi, conferenze, incontri e dibattiti, che hanno portato l’attivista irachena in diversi paesi del mondo: dove non è arrivata fisicamente, Houzan è arrivata con le parole, attraverso i numerosi articoli scritti per alcune importanti testate britanniche. A meno di una settimana dal Referendum sulla Costituzione in Iraq, vi proponiamo un nuovo capitolo di questo racconto.

D - Ci può spiegare di che cosa si occupa, quando e perché è nata la sua organizzazione?
R - L’Organizzazione per la libertà delle donne in Iraq è stata fondata il 22 giugno del 2003, a soli due mesi dall'invasione dell’Iraq guidata dagli Stati Uniti. L'idea che sta dietro alla fondazione di un'organizzazione di donne, è quella di difendere i diritti delle irachene e di far conoscere le violazioni da esse subite sia per mano delle forze occupanti, sia ad opera dei gruppi islamici. Questi estremisti religiosi sono arrivati in Iraq dopo lo scoppio della guerra per terrorizzare le persone e in particolare le donne. Per ucciderle, impaurirle e per mettere loro il velo. I fondamentalisti vogliono imporre uno stile di vita islamico alle irachene: la nostra organizzazione lotta invece per la separazione tra Stato e religione, in primo luogo per quanto riguarda il sistema dell'istruzione. Noi vogliamo libertà e uguaglianza, vogliamo che le donne abbiano la possibilità di partecipare alla vita sociale a tutti i livelli, economico, politico e civile.

D - Com'era la vita delle donne sotto il regime di Saddam Hussein? Come potrebbe cambiare la condizione femminile nel suo paese se in occasione del Referendum del 15 ottobre fosse approvata la nuova Costituzione?
R - Sotto il regime di Saddam Hussein ovviamente non avevamo molta libertà: il Rais era il dittatore di uno stato totalitario e quindi c'erano moltissime violazioni dal punto di vista dei diritti. Ad esempio non c'era la possibilità di creare gruppi organizzati indipendenti dal controllo dello Stato: c'erano associazioni di donne o sindacati, ma erano completamente controllate dal partito Ba’ath e in realtà non avevano molto a che fare con i diritti delle donne e dei lavoratori. Va comunque sottolineato che l'Iraq ha una lunga storia di movimenti di lotta, portati avanti sia dalle donne che dai lavoratori. Le irachene nel corso della loro storia hanno fatto numerose battaglie e sono quindi riuscite a conquistare alcuni diritti fondamentali. Nemmeno il regime di Saddam è riuscito a togliere loro queste conquiste: il diritto all'istruzione e quello al lavoro, la facoltà di contrarre matrimoni civili e di chiedere il divorzio, la possibilità di ottenere la custodia dei propri figli. Le donne potevano diventare giudici, insegnanti, scienziati e andare ovunque. Saddam sotto il suo regime aveva mantenuto alcuni dei vecchi valori religiosi, l'approccio della dittatura alle questioni femminili era certamente antiquato e conservatore: anche se una donna ricopriva posizioni di rilievo sul piano della professione, quando tornava a casa era comunque costretta a sbrigare le faccende domestiche, a lavare, a pulire, ma non era poi così male. Con la nuova Costituzione, invece, la donna verrebbe ridotta in condizioni di schiavitù, come un essere miserabile. Vogliono introdurre la Sharia, e tutti sappiamo cosa prevede la legge islamica per le donne: lapidazione in pubblico per le adultere, dimezzamento dell'eredità, ingiustizie di ogni tipo. Vogliono riportare le donne indietro di 100 anni invece di farci fare un passo in avanti. Per questo motivo l'Organizzazione per la libertà delle donne in Iraq ha combattuto contro questo nuovo testo con un'intensa campagna. Noi vogliamo una costituzione equa, laica, socialista che garantisca l'uguaglianza per le donne.

D - Gli Stati Uniti sostengono che se la costituzione sarà bocciata, il paese piomberà nella guerra civile. Lei è d'accordo?
R - Non sono affatto d'accordo. Si tratta di una contraddizione bella e buona perché proprio questa costituzione farà piombare la società irachena nella guerra civile. Si tratta di un testo di impronta federalista che divide la popolazione tra sunniti, sciiti e curdi, creando attriti, istituzionalizzando l'odio nella società irachena e dividendola secondo queste linee. Per questo noi ci siamo opposti alla nuova Costituzione, perché è appunto federalista, perché vuole introdurre la legge islamica ed è misogina. Non penso che questo testo porterà gli iracheni da nessuna parte, se non sull'orlo della guerra civile. Questa costituzione e questo governo sono stati calati e imposti dall'alto: le persone dovrebbero essere coinvolte nel processo di sviluppo politico e istituzionale del paese, attraverso una corretta informazione e dando loro la possibilità di eleggere i rappresentanti che poi dovranno proporre un testo costituzionale. Questo non è accaduto in Iraq: adesso si pretende che tutti vadano a votare, ma molti iracheni non sono stati per nulla informati su quello che sta accadendo intorno a loro. Quindi, anche se il governo riuscirà a portare alle urne parte della popolazione (come i membri dei partiti al potere e i loro sostenitori), questo non significherà affatto che gli iracheni hanno votato né che quanto sta accadendo è quello che vogliono gli cittadini. La nostra storia, le nostre battaglie e la nostra vita quotidiana dimostrano infatti che vogliamo tutt'altro.

D - In che modo l’occupazione statunitense ha influito e sta influendo nel processo di rinnovamento politico e istituzionale in corso nel suo paese?
R - Quella che vediamo all'opera oggi in Iraq è una tirannia religiosa imposta dall’alto. Gli Stati Uniti hanno dato potere a gruppi politici di stampo islamico che hanno così preso il controllo di questo ‘Parlamento’ attingendo anche dalla rete terroristica islamica. Da al-Qaeda alle fazioni riconducibili ad al Zarqawi e Moqtada al Sadr, nel paese ci sono diversi gruppi che si auto-definiscono ‘di resistenza’ ma che secondo noi non sono altro che terroristi a cui non interessa affatto combattere per la libertà degli iracheni. La vera resistenza è quella portata avanti dai movimenti civili: nella nostra lotta siamo affiancate anche da altre realtà come le associazioni sindacali, il partito comunista dei lavoratori e da tutte le organizzazioni che hanno contribuito a fondare il Congresso per la Libertà dell’Iraq. Questi movimenti civili si prodigano per la costituzione, nel nostro paese, di uno stato laico, progressista ed egualitario, l’esatto contrario di quello che stanno costruendo gli americani. Ma gli Stati Uniti non si sono limitati a mettere il loro “governo fantoccio” alla guida dell’Iraq: hanno fatto anche di peggio. I militari statunitensi, infatti, hanno incarcerato nella prigione di Abu Ghraib diverse donne con la giustificazione che si trattava delle mogli, delle figlie, delle sorelle dei gerarchi del Partito Ba’ath. In realtà ci sono molti esponenti dell'attuale governo, ministri e personaggi al vertice della politica irachena come Iyad Allawi (Premier iracheno durante il governo di transizione ndr), che facevano parte della vecchia élite Ba’ath al potere con Saddam Hussein. Perché non mettono loro in prigione invece delle donne? Perché le stanno violentando, torturando e maltrattando per avere informazioni? Anche se fossero veramente le mogli, le sorelle o le figlie dei vecchi gerarchi, nessuno dà il diritto ai militari Usa di togliere loro la dignità e di trattarle in modo disumano solo per avere informazioni. Quelli a cui ricorrono gli statunitensi sono gli stessi identici metodi adottati da Saddam Hussein per combattere i dissidenti politici.

D - Cosa significa essere una donna nell'Iraq di oggi, avere un figlio o un marito? Come vanno le cose per quanto riguarda ad esempio l'istruzione o il sistema sanitario?
R - La vita, per la maggior parte degli iracheni è un vero e proprio inferno. I servizi basilari non sono ancora stati ripristinati, nonostante siano ormai passati due anni e mezzo dall'invasione. Mancano i medicinali, le scuole sono ancora chiuse e non si riesce a garantire un livello minimo di sicurezza. Le necessità basilari per la sopravvivenza degli esseri umani non sono assolutamente soddisfatte. Quello della sicurezza, ad esempio, è un problema enorme: la vita quotidiana è, in pratica, una lotta per la sopravvivenza. Anche se non teniamo conto degli attacchi terroristici, degli scontri, degli orrori e degli spargimenti di sangue, lo scenario quotidiano dell’Iraq resta drammatico. Migliaia di persone sono senza lavoro, la povertà dilaga, moltissime irachene sono state costrette a prostituirsi e sta sorgendo una vera e propria tratta delle schiave con i paesi vicini. È veramente doloroso vedere quanto sta accadendo oggi nel mio paese.

D - Nelle scorse settimane il Sottosegretario di Stato Usa Karen Hughes è stato impegnato in un viaggio attraverso il Medio Oriente finalizzato alla promozione dell'immagine del suo paese nell'area. La Huges ha incontrato molte donne, cercando di convincerle dei vantaggi dello stile di vita occidentale, trovando però una netta opposizione. Secondo lei è possibile pensare a un movimento di donne mediorientali che porti avanti la lotta per i diritti con i “propri” mezzi, secondo la propria cultura e indipendentemente da quanto cerca di imporre l'occidente?
R - C'è sempre stato un enorme potenziale in Medio Oriente per la nascita di un movimento laico, socialista e progressista, e non solo di impronta femminista. Gli Stati Uniti e i governi occidentali hanno sempre fatto però di tutto per ostacolarli, sostenendo i movimenti religiosi estremisti, favorendo l'islamizzazione della politica e mettendo al potere i partiti musulmani. Questo è quanto è successo in Afghanistan con i Talebani, voluti dagli Stati Uniti per combattere i comunisti. Oppure in Iran dove, nel 1979 c'era un forte movimento di sinistra: la rivoluzione allora fu fatta per rovesciare lo Scià non certo per mettere al potere Khomeini e introdurre la sharia. Quel regime fu imposto alla popolazione contro la volontà di tutti quegli iraniani che chiedevano uno stato progressista e laico.
Lo stesso sta accadendo oggi in Iraq: non abbiamo mai avuto una storia di barbarie a sfondo religioso, nel nostro paese non è mai stata instaurata la sharia e nemmeno Saddam Hussein nonostante tutta la violenza del suo regime ha mai osato introdurla. Ora gli Stati Uniti lo stanno facendo, affermando per di più che sarebbe la gente a volerlo. Ma non è affatto così. È l'imperialismo statunitense che promuove da sempre i regimi religiosi e conservatori, in modo da tenere il Medio Oriente in uno stato di arretratezza. L'Iraq ha una storia recente che può vantare un alto livello di istruzione tra le donne. Per molti anni le donne hanno occupato posti di lavoro di prestigio e si sono rese indipendenti a livello economico proprio perché era garantito loro il diritto all'istruzione. Questo da solo però non è sufficiente: dobbiamo cambiare l'approccio generale sulle questioni legate alla condizione della donna e per farlo è necessario cambiare i governi e gli stati. In Medio Oriente, infatti, l'oppressione della donna non è parte di una tradizione, non appartiene agli usi e costumi locali ma viene imposta dall'alto, è promossa e supportata dai governi nazionali, insieme all'islamizzazione. Per questo dobbiamo combatterli.

D - Pensa che in occidente ci sia una corretta percezione della condizione della donna mediorientale?
R - Il ritratto che propongono i media occidentali non è affatto corretto. Si parla sempre di donne con il velo, ignoranti e senza cultura, di donne passive che subiscono tutto quello che gli uomini impongono loro, ma ciò non è assolutamente vero. Centinaia di donne vengono uccise perché combattono per i loro diritti: ad esempio la Sharia vieta alle donne di avere rapporti sessuali prima del matrimonio, ma molte donne lo fanno ugualmente e per questo vengono uccise. Questo atteggiamento è già di per sé un tipo di resistenza: con il loro comportamento queste donne impediscono che l'Islam detti le regole della loro vita personale e sociale. Ci sono dei movimenti decisamente progressisti portati avanti da donne che lottano per l'uguaglianza in Iraq, in Iran, Afghanistan e in altri stati. Proprio i governi di quelle nazioni, insieme con alcuni paesi occidentali, non vogliono che questa immagine progressista arrivi al resto del mondo. Quello che è importante ricordare è che non ci sono differenze tra le donne: indipendentemente dalla loro provenienza tutte hanno gli stessi diritti. Noi come movimento progressista universale per i diritti delle donne dobbiamo lottare a livello globale, senza auto-segregarci. Ad esempio il movimento delle donne irachene è forte e quindi riceve molta attenzione a livello internazionale: per questo possiamo essere fonte di ispirazione per molte donne nel mondo, proprio perché riusciamo a portare avanti la nostra battaglia nonostante tutte le difficoltà che sta vivendo il nostro paese, nonostante in questo momento la religione stia condizionando in modo pesante la nostra società. Le donne irachene non sono isolate ma sono parte di un movimento internazionale.