DONNE SULLE ONDE: REBECCA GOMPERTS E LA NAVE OSPEDALE
UNA ONG OLANDESE A DIFESA DEL DIRITTO DELLE DONNE DI SCEGLIERE


Dicembre 2005. Di Maria G. Di Rienzo



In risposta alle migliaia di decessi che colpiscono le donne come risultato di interruzioni di gravidanza non sicure, Women on Waves (Donne sulle onde), un'organizzazione non profit, opera su una nave attrezzata come clinica. La nave salpa a richiesta delle organizzazioni femminili/femministe di paesi in cui l'aborto è illegale e li raggiunge provvedendo educazione sanitaria e sessuale, informazioni e materiale su contraccezione e diritto delle donne all'autonomia fisica e mentale, e interruzioni di gravidanza.
L'iniziatrice del progetto è Rebecca Gomperts, medica olandese. Quando si trovava come volontaria in Messico, Rebecca dovette testimoniare la morte di numerose donne causata dalle leggi restrittive in materia di aborto in vigore in quel paese, che costringono le donne a sottoporsi a pratiche abortive pericolose, e ne rimase sconvolta. L'idea di praticare interruzioni di gravidanza sicure e legali, a bordo di una nave in acque internazionali, venne a Rebecca quando una ragazzina orfana, primogenita di molti fratelli e sorelle, le raccontò come la propria madre fosse morta di aborto. Dopo due anni, Women on Waves aveva attrezzato la nave ed era operativa. Le donne dell'ong riconoscono che sebbene il loro lavoro crei cambiamenti, sollevi pubblica consapevolezza attorno all'istanza ed aiuti le donne, non si tratta di una soluzione in sé. Esse credono fermamente che la sola soluzione sia la legalizzazione dell'aborto, di modo che le donne possano aver accesso ad un trattamento sanitario sicuro e possano realmente scegliere.
Rebecca racconta che quando la nave arrivò in Polonia, l'opinione pubblica locale a favore della legalizzazione dell'interruzione di gravidanza si aggirava attorno al 44%. La presenza di Women on Waves rese gli effetti negativi delle leggi vigenti più visibili e la necessità di cambiarle più pressante: un sondaggio effettuato dopo la partenza della nave registrò che il sostegno a questo cambiamento si era alzato al 56%.
Lo scorso anno, il Portogallo tentò di impedire l'arrivo della nave, considerandola una "minaccia alla sicurezza del paese" e spingendosi sino a mandarle incontro un vascello da guerra per prevenire il suo ingresso nelle acque nazionali. L'azione provocò un clamoroso dibattito al Parlamento europeo e spinse ad intervenire in difesa delle donne il Ministro olandese degli Esteri. Il governo portoghese cadde due mesi dopo, e Rebecca ritiene che in parte ciò sia dovuto anche all'azione che esso intraprese contro Women on Waves. Ora, aggiunge, c'è un movimento forte per legalizzare l'aborto in Portogallo e lei si aspetta che entro il prossimo anno venga emanata una legge al proposito.
Rebecca ci tiene ad aggiungere che il progetto è qualcosa di più complesso del mito della nave che giunge ovunque a difendere i diritti delle donne: per ogni campagna, una nave deve essere affittata ed attrezzata, bisogna trovare fondi e volontari, compiere una ricerca sulle leggi del paese che ha richiesto l'intervento e così via. Prima di raggiungere il posto, l'ong apre una linea telefonica e compra carte prepagate da distribuire alle donne. Il numero di telefono viene affisso massicciamente ovunque sia possibile dai gruppi che hanno chiesto l'intervento, che distribuiscono anche le carte. Quando il luogo è raggiunto, Women on Waves indice una conferenza stampa a bordo, dove spiega che le donne possono telefonare, inviare un e-mail o venire direttamente alla nave e che esse saranno trattate con rispetto secondo gli standard vigenti per la professione medica in Olanda, i quali includono il segreto professionale. Inoltre, l'ong invita i medici e le mediche locali a venire a bordo e preannuncia i seminari che verranno tenuti per costoro e per le donne.
Rebecca si augura che più dottori al mondo mostrino il coraggio di stare dalla parte delle donne e inizino a lavorare insieme dove l'aborto è ancora illegale, e chiede alle donne di agire, di smettere di caricarsi di colpa e dolore e di rompere il silenzio.