NELLA STRISCIA DI
GAZA
APPUNTI
DI VIAGGIO E COMPAGNI DI STRADA DELLA DELEGAZIONE DEL PESARO SOCIAL
FORUM E DEL CENTRO SOCIALE OLTREFRONTIERA
settembre 2003, a cura di
Fedora e Monica
Il motivo che ci ha spinto a dicembre ad andare in Palestina e in particolare nella Striscia di Gaza e a ritornare quest'estate, è il gemellaggio in corso tra l'Amministrazione della nostra città (Pesaro) e quella di Rafah (ultima città a sud della Striscia). Da due anni come partecipanti al Pesaro Social Forum e attivisti del Centro Sociale Oltrefrontiera, stiamo cercando da un lato di sollecitare questo gemellaggio per il momento solo formale, dall'altro di creare rapporti con la società civile di Rafah per far sì che il gemellaggio coinvolga le due comunità prima che le due Amministrazioni.
Per tale ragione abbiamo anche stretto rapporti con il Palestinian Medical Relief Committee, la più grande ONG medica palestinese che ha due sedi principali: una a Gaza City per l'assistenza a tutta la popolazione della Striscia e una a Ramallah per l'assistenza nel West Bank. Abbiamo conosciuto il dottor Abdelhadi Abu Khousa, presidente del PMRC per la Striscia di Gaza e abbiano deciso di finanziare il loro progetto di cliniche mobili per 15 giorni (circa 5.000 Euro) a sud della Striscia.Il viaggio che abbiamo compiuto ad agosto aveva per obiettivo quello di fare una mappatura delle associazioni e dei gruppi presenti nella città di Rafah. La scelta di tali associazioni è stata fatta con l'aiuto di due ragazzi, Giulia e Fabio, che hanno trascorso nell'area di Rafah diversi mesi. A Rafah un contributo fondamentale per il raggiungimento dell'obiettivo ci è stato dato dall'International Solidarity Movement (ISM), movimento di cui fa parte anche Giulia. L'International Solidarity Movement è un'organizzazione nata circa 3 anni fa, composta da volontari palestinesi, israeliani ed internazionali. Utilizza metodi non violenti e ha come obiettivi l'interposizione pacifica, la difesa dei civili palestinesi e più in generale la difesa contro l'occupazione israeliani nei territori. Tra le fondatrici ricordiamo Neta Golan, israeliana, da tempo schierata a fianco della causa palestinese, Huwaida Arraf, americana, più volte arrestata dai militari israeliani e Coimbra Butterfly, irlandese, ferita, arrestata ed espulsa dagli israeliani, oggi volontaria in Iraq.
L'ISM svolge il proprio lavoro organizzando campagne tematiche (quella per la raccolta delle olive, per la libertà di movimento, ecc), precedute da training per i volontari, i quali vengono organizzati per gruppi di affinità. Oggi l'ISM ha gruppi locali in diverse parti del mondo, Stati Uniti, Inghilterra, Canada e associazioni partner in altre nazioni.Avevamo programmato di rimanere nella Striscia di Gaza per almeno una settimana, dove saremmo stati ospitati nell'appartamento messo a nostra disposizione dal Palestinian Medical Relief. Ma alla fine siamo potuti rimanere solo i 2 giorni (per la stampa della nostra città però i giorni sono stati 4!! Una bugia buona per far sì che la situazione che il popolo palestinese è costretto a vivere quotidianamente, rimanesse sulla pagina locale il più possibile!!), concessi dall'esercito israeliano alla frontiera di Erez (frontiera tra Israele e la Striscia). A poco sono servite le lettere di presentazione che avevamo con noi. Il passaggio avvenuto dopo un'attesa di ben 7 ore è stato possibile grazie ai fax arrivati dal consolato italiano e pensiamo soprattutto all'atteggiamento determinato da noi assunto nei confronti dei soldati. Infatti, dopo averli minacciati di rimanere a dormire lì, fino a quando non ci avessero fatto entrare, nonostante i due "fogli di via" che ci avevano consegnato nelle ore precedenti, è iniziata una negoziazione sulla durata della nostra permanenza nella Striscia. Per quanto possa apparire assurdo, in questa realtà, dove le scelte sono prese in maniera arbitraria dall'esercito, modalità di comportamento come quella da noi assunta, possono essere determinanti per raggiungere il fine che ci si è proposti. Abbiamo comunque lasciato a Erez ragazze e ragazzi di associazioni e Ong (anche di importanza rilevante) che abbiamo conosciuto durante le sette ore d'attesa.
Non sappiamo se hanno avuto il permesso per entrare nella Striscia di Gaza. A qualcuno è stato chiesto di farsi interrogare dai militari, singolarmente, nel loro ufficio. Ad altri sono stati presi per ore i passaporti e quando ce ne siamo andati non erano stati loro ancora restituiti. Arrivati a Gaza City in tarda serata ci siamo incontrati col presidente del PMRC e abbiamo pianificato tutti gli incontri che ci era possibile realizzare nei due giorni disponibili, con le associazioni e con le autorità di Rafah. Il giorno successivo abbiamo potuto osservare e documentare il lavoro delle cliniche mobili e accompagnati da alcuni medici, nostri amici, abbiamo incontrato il governatore e il vice-sindaco della città di Rafah. Di notevole interesse ed importanza si è rivelata la visita al Centro per i Diritti Umani "Al Mezan", dove abbiamo potuto raccogliere dati e informazioni anche sui problemi economici legati all'occupazione israeliana. L'ultimo giorno è stato interamente dedicato a Rafah. Città di circa 130.000 abitanti, costretti a vivere in una superficie di 60 kmq .
Nella mattinata abbiamo potuto filmare e documentare ciò che avviene nella parte meridionale della città, quella più vicina al confine con l'Egitto.
Qui fasce intere di case sono state distrutte per creare "zone cuscinetto" tra le posizioni militari israeliane e le aree palestinesi. Per tale ragione è stato eretto un muro, alto 8 metri che continua per 4 metri nel sottosuolo, lungo tutto il confine. E' in questa zona che si conta il maggior numero di case distrutte. Le abitazioni distrutte a Rafah dall'inizio della II Intifada sono in tutto 938, il numero di famiglie rimaste senza casa è di 1.181, per un totale di 6.894 senzatetto.
Le case parzialmente distrutte sono invece 428. E' in questa zona, nei quartieri di Block "O", Block "J", "Brazil", "Al Deir Salam" dove vivono i profughi palestinesi del 1948 (a Rafah i profughi costituiscono l'83% della popolazione), che quotidianamente gli abitanti sono costretti a sopportare il terrore delle raffiche notturne, delle demolizioni di case, delle irruzioni dei carri armati e delle ruspe che distruggono, devastano, uccidono. Siamo passati tra le case una addossata all'altra dei campi profughi e abbiamo visto le barriere create dagli abitanti. Barriere fatte di calcinacci, bidoni, lamiere, barriere di nulla che nulla possono contro i carri armati quando i militari decidono di entrare per le piccole strade di questi quartieri, dove la densità di popolazione è altissima. Ci siamo arrampicati tra i resti dell'ultima fascia di case distrutte. Al di là, tra le case e il muro, 50m. controllati dal passaggio continuo e opprimente di un carro armato e di altri mezzi militari.
Alcuni abitanti, seduti sui gradini delle loro case che portano i segni delle raffiche, osservavano un pò preoccupati lo spostamento della sabbia e commentavano i rumori che provenivano dalle barriere:controllavano gli spostamenti del carro armato. Poi ci hanno detto quanto sia pericoloso vivere in questa zona, imprecando più volte contro Sharon, Bush e Blair. Ci hanno raccontato di come, proprio quella notte, una casa era stata distrutta, una grande casa in cui vivevano più famiglie e ci hanno accompagnato a vederla.
La casa era stata sventrata dalle ruspe "Caterpillar" e completamente riempita di sabbia.
Ci hanno detto di non avvicinarci troppo perché i militari dalla torretta situata sul muro avrebbero potuto "arrabbiarsi" e sparare a noi o alla popolazione. Noi, nel frattempo, ci siamo accorti di essere circondati da bambini che ci chiedevano in continuazione "uocciorneim?", "auduiudu?".
Dopo qualche veloce ripresa ce ne siamo andati, avevamo paura per i bambini che sembrano essere "abituati" alla situazione e fin troppo temerari.
E' qui che a Marzo e ad Aprile sono stati uccisi dai militari israeliani gli attivisti internazionali dell'ISM Rachel Corrie (23 anni) e Tom Hurndall (21 anni), mentre cercavano di difendere la popolazione dalla demolizione di case e dagli spari dei cecchini dalle torrette posizionate lungo il muro. Dall'inizio della seconda Intifada, a Rafah, sono 238 i Palestinesi uccisi dall'esercito d'occupazione israeliano, di cui il 90% appartenevano alla popolazione civile. Tra questi si contano 52 bambini sotto i 12 anni. 2.350 i feriti di cui circa il 10% resterà invalido a vita. Abbiamo poi lasciato i quartieri a ridosso del muro e ci siamo diretti nel centro di Rafah dove avevamo appuntamento con le ragazze e i ragazzi di ISM.
Una di loro, Molly, l'avevamo conosciuta a Dicembre quando avevamo partecipato ad un'azione d'interposizione al check-point di Al-Mawasi, un villaggio vicino a Rafah. Al Mawasi è una zona agricola altamente fertile, nella parte meridionale della costa tra Khan Younis e Rafah. Vi vivono 12.000 persone, per la maggior parte agricoltori e pescatori, che "de facto" sono sotto un sistema di aparthaid, al limite estremo di un insediamento israeliano. Il villaggio è completamente chiuso ad eccezione di due checkpoint attraverso i quali solo i residenti dell'area hanno accesso. Ambulanze e parenti degli abitanti non possono entrare. Cinte elettriche e pattuglie militari separano gli insediamenti israeliani dalle comunità palestinesi. La terra che apparteneva agli agricoltori locali è stata sequestrata per consentirne l'uso ai coloni, i quali attaccano occasionalmente e molestano i residenti palestinesi o distruggono le loro serre e i loro campi.
All'interno del villaggio quattro checkpoint israeliani regolano i movimenti della popolazione.
Da Marzo 2002 l'esercito israeliano ha inasprito le misure per Al Mawasi, inclusi regolari imposizioni di coprifuochi. Nel Maggio 2002 sono state emesse carte d'identità magnetiche ai residenti, le quali sono richieste per l'entrata e l'uscita dall'area. Molly ci ha detto che in questo momento è troppo difficile fare interposizione a Rafah, perchè Rafah è diversa dalle altre città sotto
occupazione. Il problema qui per un attivista non è quello di essere "arrestable or not arrestable" ("arrestabili o meno") ma "shootable or not shootable" ("sparabili o meno"). Sono in 6 e stanno lavorando "per e con" la comunità della città: partecipano alle attività delle associazioni locali, organizzano corsi d'inglese gratuiti e la notte dormono nelle case a rischio demolizione, sperando che la loro presenza serva a dissuadere i militari israeliani. Comunque la loro presenza è importante e ce ne siamo accorti anche dai rapporti che hanno saputo instaurare con le/i Palestinesi, dai commenti che queste/i fanno, da come li salutano per strada. M. è un ragazzo palestinese di circa 20 anni, anche lui di ISM. E' stato lui il nostro traduttore dall'inglese all'arabo. Ci ha accompagnati a conoscere il GUPW (General Union of Palestinian Women), il Palestinian Children's Parliament, un centro d'aggregazione giovanile dell' Union Health Work Committees che porta il nome di Rachel Corrie e un asilo, finanziato da un ONG canadese, che sorgerà a poca distanza da dove Rachel è stata uccisa, anche questo in suo ricordo. Tutte le organizzazioni ci hanno raccontato, anche se da punti di vista diversi, l'orrore della violenza che la popolazione palestinese è costretta a subire in generale e soprattutto qui a Rafah, di come sia intollerabile l'occupazione israeliana, dell'insopportabile silenzio dei media internazionali.
Ci hanno detto di come la stessa economia palestinese sia strangolata dagli accordi presi in precedenza che impongono alla popolazione di acquistare quasi tutti i prodotti direttamente dagli Israeliani e di come sia impossibile far arrivare merci da altri Paesi perchè queste sarebbero, nella maggior parte dei casi, requisite alle frontiere e ai checkpoint.
In condizioni "normali" Rafah contava il 51% della popolazione al di sotto della soglia di povertà, ma oggi questa percentuale è salita all'80%. Inoltre in questo distretto l'esercito di occupazione israeliano ha distrutto e danneggiato terreni agricoli per 2.080 donums (1 donum = 1.000 mq.), alberi (ulivi e aranci in particolare), reti idriche, bacini e pozzi d'irrigazione, 213 serre, 12 depositi, 7 fattorie, 154 attività commerciali e piccole fabbriche.
Ma tutte le organizzazioni hanno anche affermato la volontà del popolo palestinese di non essere schiacciato da quest'oppressione, di organizzare forme di resistenza popolare, di cominciare a pensare a come potrebbe essere uno stato palestinese democratico, dopo la disillusione della popolazione nei confronti dell'Anp. Le foto di Rachel le abbiamo trovate nelle sedi di tutte le associazioni. Tutti ci hanno raccontato di come si era impegnata nei tre mesi che aveva deciso di vivere e condividere con gli abitanti di Rafah. Hanno parlato della sua forza, della sua determinazione, della sua dolcezza, dell'esempio che questa ragazza venuta da un'altra parte del mondo ha rappresentato e rappresenta per loro. Rachel non solo è presente, appartiene a loro.
Tutti la ricordano quasi ossessivamente, per non dimenticarla e non farcela dimenticare.
E, per noi, il loro ricordo di Rachel si fa urlo contro l'indifferenza e l'arroganza di chi, da noi, ha cercato di farla dimenticare il più in fretta possibile.Dopo il ritorno obbligato abbiamo pensato di utilizzare comunque in maniera proficua il nostro viaggio. Ci siamo messi in contatto con Neta Golan per andare a vedere la situazione in cui sono costretti a vivere i Palestinesi nella città di Nablus, città palestinese dove Neta vive con suo marito e la piccola Nowal di quattro mesi. Dopo aver affrontato un viaggio di tre ore e mezzo lungo strade strette, sterrate, tra buche ed ulivi, siamo arrivati al checkpoint di Nablus. Consigliati da Neta non siamo passati per il checkpoint di "Awara" (quello per le persone), ma da quello di "Awarta" (quello per le merci). Ancora una volta ci siamo resi conto dell'arbitrio e dell'assurdità che sono insiti in questo sistema d'occupazione. Non saremmo mai riusciti a superare il primo checkpoint (servono lettere di presentazione di grosse Ong, dei consolati, ecc). Ma nel checkpoint per le merci, di fronte ai soldati che ci dicono che in quel checkpoint è consentito l'ingresso solo per le merci, ce la caviamo con uno "Scusate, non lo sapevamo. Non lo facciamo più!". Neta ci aspettava con Nowal al campo profughi di Balata, dove stava tenendo un training per gli ultimi attivisti internazionali arrivati. Con O. abbiamo visitato il campo. Ci ha spiegato di come Nablus sia praticamente circondata da insediamenti di coloni e militari, che dall'alto delle colline circostanti, sparano sul campo e sulla città. Ci ha portato a visitare una famiglia alla quale pochi giorni prima i soldati avevano fatto esplodere la casa. Il motivo è che la famiglia è quella di un ragazzo che tre mesi prima aveva partecipato ad un'azione contro l'esercito di occupazione e durante quell'azione era stato ucciso. Al lutto familiare si aggiunge ora la disperazione della perdita di una casa in cui vivevano 15 persone. Siamo saliti fino a ciò che rimaneva dell'ultimo piano, il piano che era ancora da ultimare. A terra tra polvere e calcinacci, vestiti, scarpe, giocattoli. Le mani delle persone che cercano tra le macerie ciò che può essere recuperato. La madre del "martire" non piange, ma ci urla la sua rabbia in faccia, imprecando in lingua araba contro i nemici Sharon, Bush e Blair. Neta ci ha ospitati a casa sua, ci ha parlato dell'attuale situazione dell'Ism.
Durante la notte trascorsa a casa sua, ad un certo punto ha ricevuto una telefonata: erano gli attivisti che stavano a Balata. Le comunicavano che era stata fatta saltare un'altra casa. Nella casa erano rimasti a dormire 5 volontari per evitare l'intervento dei soldati israeliani. Due di loro (di circa 20 anni) si erano incatenati, ma i soldati avevano tagliato le catene, li avevano bendati, arrestati e li avrebbero espulsi di lì a pochi giorni. Il giorno seguente abbiamo visitato due centri del Medical Relief: un ambulatorio e un centro d'aggregazione giovanile. Tre ragazzi del centro si sono offerti di accompagnarci per la città vecchia di Nablus, patrimonio dell'Umanità. Ci hanno mostrato il luogo in cui edifici di importanza storica sono stati fatti esplodere per consentire l'ingresso dei carri armati nelle strette vie della città vecchia. Ci hanno accompagnato anche a visitare un'antica moschea, in parte distrutta e profanata dalla presenza dei militari israeliani. Tutto ciò è accaduto durante l'occupazione della città vecchia, avvenuta un anno fa. La sera ritorniamo in taxi a Gerusalemme: questa volta percorriamo la strada asfaltata ad uso esclusivo dei coloni e ci impieghiamo solo 40 minuti!
La nostra ultima visita è al Medical Relief di Ramallah: abbiamo lasciato Gerusalemme e siamo arrivati al checkpoint di Qalandia, uno dei punti di controllo più importanti. Qui numerosi studenti e lavoratori sono costretti a mostrare i propri documenti ai soldati israeliani. Dal Medical Relief di Ramallah partiamo in taxi con 2 medici e un'infermiera per arrivare a Safah: è un villaggio di 3000 abitanti a un'ora dalla città, al quale si accede attraverso una strada sterrata, dalla quale si vedono gli insediamenti dei coloni. I medici del Medical Relief si recano nel villaggio una volta al mese e qui presso un centro di aggregazione giovanile, ancora in costruzione, visitano gratuitamente tra le 100 e le 200 persone e distribuiscono loro gratuitamente le medicine di cui hanno bisogno. E' un servizio vitale per gli abitanti di Safah e dei villaggi vicini,che altrimenti non potrebbero permettersi le visite dai medici privati e l'acquisto delle medicine. Abbiamo visto il tipo di lavoro svolto dall'associazione dei medici e abbiamo conosciuto diverse persone del villaggio, le quali ci hanno spiegato come la loro situazione sia peggiorata dopo l'occupazione. In seguito ci hanno mostrato i loro campi che sono a pochi metri dal centro dove si svolgono le visite: una rete, però, impedisce loro l'accesso ai campi che sono stati occupati dall'esercito e ci hanno detto che ad ottobre non potranno raccogliere le olive dai propri campi.