DUE PELLEGRINE IN PALESTINA


maggio 2002, di Daniela Salerni, da www.ecn.org/filirossi

Domenica 24 marzo. Poco prima dell'alba, Vivi e io arriviamo a Tel Aviv. Le ragazze della sicurezza (tantissime e giovanissime) ci bloccano: forse anche per via della richiesta di non farci timbrare il passaporto, ci domandano insistentemente perché siamo lì e come mai non abbiamo paura (Vivi risponde che c'è da aver paura anche a Roma). Ma, poi, grazie alla pazienza e a un uovo di pasqua che ci siamo portati appresso superiamo il test, facendo la nostra discreta figura da pellegrine. Prendiamo un taxi per andare a Gerusalemme e dopo un breve riposo andiamo a visitare la città vecchia e i luoghi santi delle tre religioni.
Il suono delle campane si mischia con le preghiere del muezzin. C'è un fascino particolare, questo miscuglio di culture potrebbe essere una grande ricchezza invece che un dramma. È Domenica delle Palme, ma la gente che affolla il dedalo di viuzze intorno al Santo Sepolcro non è festosa. I turisti, che in queste festività normalmente affollano Gerusalemme, sono pochissimi. Andiamo al Monte degli ulivi per vedere la processione. Ci dicono che ci sono molte meno persone del solito. È l'unico giorno di sole di questa "vacanza".
Il giorno successivo decidiamo di spostarci e di raggiungere Betlemme, a pochi chilometri da Gerusalemme. Nel nostro immaginario è un paese incantevole fuori dal tempo e dallo spazio, nei fatti una delle città all'interno dei territori occupati dagli israeliani nel 1967, proclamata autonoma in seguito agli accordi di Oslo del 1993. Lungo il percorso (nei territori occupati) vediamo sulle colline circostanti strade che portano a degli insediamenti-fortezze costruiti di recente. Dopo gli accordi di Oslo ne sono sorti moltissimi, producendo l'effetto di erodere continuamente il territorio palestinese.
A un certo punto vediamo una lunga coda di macchine ferme, lì il tassista ci dice che dobbiamo scendere e proseguire a piedi. È quello che facciamo, finché i soldati israeliani ci ingiungono di fermarci. Chiediamo spiegazioni e ci rispondono che dobbiamo aspettare la fine dei controlli. La gente che sta ferma ad aspettare ci dice che per loro è normale e che per potersi spostare, per recarsi a scuola, a lavoro o all'ospedale devono sottoporsi sempre a questi trattamenti, spesso non si passa proprio, anche se si tratta di ambulanze (del resto vediamo in questi giorni che cibo e medicine portati dagli osservatori civili, che non sono parte diretta nel conflitto, vengono, il più delle volte, fatti tornare indietro).
Oltrepassiamo il check-point e prendiamo un altro taxi che ci porta dentro la città. Betlemme, anche questa vuota rispetto agli altri anni. Nell'unico negozio di souvenir aperto la venditrice si lamenta della mancanza di turisti. Ai muri tanti manifesti con le foto dei martiri (non sono suicidi, ci spiegano, ma ragazzi morti nella lotta di resistenza). Ci incontriamo con un amico che ha vissuto in Italia per molto tempo. È sposato con un italiana e ha due bambini. Ci sorprende la "normalità" con cui parla della guerra. Ha un'altra casa in un campo profughi, che è stata colpita da una bomba mentre lui era dentro, ci mostra i frammenti conservati in un barattolo e in un altro barattolo i proiettili che hanno colpito l'abitazione. Andiamo a visitare la Basilica della Natività. I bambini, per le strade, fanno un'impressione tristissima con i fucili di legno giocano ai guerriglieridi Hamas. Sui muri tanti fori di proiettili, tanti vetri rotti alle finestre.
Torniamo a Gerusalemme dove aspettiamo la carovana dei pacifisti ai quali vogliamo unirci. A Beirut intanto si sta svolgendo il summit dei paesi Arabi, mentre a Netanya un ragazzo esplode in un albergo sul mare (si sta celebrando la Pasqua ebraica e molta gente è in vacanza). Un sacco di morti. La tensione sale, noi temiamo che il gruppo non arrivi più. Infatti vengono bloccati all'aeroporto ed espulsi. Solo l'intervento di alcuni avvocati israeliani gli permette di essere riammessi. Arrivano in tanti, stralunati, arrabbiati, stanchissimi. Ciò nonostante, dopo un'assemblea concitata, partono subito, decisi a entrare a Ramallah che nel frattempo è stata occupata dall'esercito israeliano. Ma capiamo subito che dai check-point i pacifisti non passano. Tuttavia ogni mattina partiamo con i pullman "Monte degli Ulivi" (quelli abitualmente usati dai pellegrini). Ci fermano sempre per soste interminabili dove c'è un surreale fronteggiamento tra un esercito in assetto di guerra da un lato e noi con le nostre pettorine bianche di Action for peace e quelle gialle con la scritta "STOP OCCUPATION.
AN OTHER WORLD IS POSSIBILE" dall'altro. Al centro la meravigliosa Banda degli ottoni, la vera anima di questa delegazione. La musica dà coraggio, piace a tutti, placa gli animi. Siamo una specie di armata Brancaleone di fronte a una guerra, nell'assenza di una presenza internazionale ufficiale, ci troviamo a fare "diplomazia dal basso". Solo una volta riusciamo a passare il check-point ed entrare a Betlemme, dopo essere riusciti a contattare il responsabile al quale chiediamo di passare per andare a visitare la Basilica. Ci risponde che non ci crede, ma che possiamo andare lo stesso. E come in un film di Kusturiza, banda in testa, entriamo nella città di Gesù bambino. Le persone prima sbirciano dalle finestre, spaventate e incuriosite, poi ci sorridono e dopo un poco scendono in strada facendo caroselli di macchine strombazzanti intorno a noi. Sorrisi e V con le dita. Si fa un'assemblea in Piazza della Mangiatoia per decidere chi resta a Betlemme insieme agli altri "internazionali" che si trovano lì già da molti giorni. Non possiamo rimanere tutti e a quelli che tornano a Gerusalemme vengono offerti gratis due pullman per ritornare al check-point. A Gerusalemme partecipiamo a varie manifestazioni: una alla Porta di Damasco, le persone sono contente e creano un blocco del traffico per farci restare indisturbati. La prima volta che andiamo a Gerusalemme ovest, che altrimenti avevamo evitato, per paura degli attentati, è appunto per una di queste manifestazioni, organizzate dalle "donne in nero". Loro saranno una quindicina e di fronte a loro c'è la contro-manifestazione dei coloni (saranno stati tre) con cartelli inneggianti alla morte di tutti i palestinesi. In tante persone, con la onnipresente banda, che piace molto anche a loro, suscitiamo sincero stupore e allegria. In una fiaccolata incontriamo anche la madre di una ragazza e il figlio di un uomo che sono morti in degli attentati: hanno creato un comitato di familiari delle vittime che si batte per la pace e la fine dell'occupazione dei territori. La donna ci dice che il sangue di sua figlia si è mescolato con quello dell'attentatore e così anche i due popoli devono mescolarsi e convivere.
Tra dibattiti, assemblee, manifestazioni e l'attesa angosciosa di notizie, continua la nostra azione di "diplomazia dal basso", finché il giorno prima della partenza decidiamo di concederci una pausa, anche perché molti dei compagni arrivati dopo di noi non hanno ancora messo piede nella città vecchia. Consueto giro turistico, in una città ormai completamente deserta. Volevamo comprare qualcosa, ma i negozi sono tutti chiusi per "sciopero". Durante la passeggiata incontriamo una "processione" ebraica, che passa provocatoriamente nelle zone cristiana e musulmana. Si sente un canto e vediamo sfilare il corteo: ogni due fedeli ci sono due soldati e dei due fedeli uno è armato. Provo a parlare con una signora che mi dice che Gerusalemme è bellissima, peccato che gli arabi combattano. Facciamo finta di niente e torniamo in albergo per prepararci a partire (il volo è nella notte). Mentre sono in camera si comincia a sentire il suono di mille sirene. Ambulanze Scendo giù e vengo a sapere che un ragazzo si è fatto esplodere ad appena un chilometro dall'albergo in cui siamo. Arriva il momento della partenza, prendiamo un taxi che prima di arrivare a Tel Aviv, viene fermato e perquisito diverse volte, mentre il povero autista si scusa con noi: "Arabo no good", ripete per spiegarci quello che succede. In aeroporto passiamo senza complicazioni ma vediamo degli altri componenti della delegazione internazionale a cui vengono perquisiti infinite volte i bagagli, finché vengono accompagnati al check-in diplomatico per essere allontanati velocemente e sono dichiarati indesiderabili per lo stato d'Israele.
Oramai siamo tornate da qualche giorno, il pensiero va agli amici di Betlemme. Siamo preoccupate per ciò che sta succedendo in quella città. Telefoniamo e veniamo a sapere che tutte le case sono state perquisite e i soldati sono entrati anche in casa del nostro amico. I tre soldati puntavano i mitra contro i bambini, ma ci dice
che non ci sono state devastazioni a differenza delle case dei vicini dove i soldati israeliani hanno rubato e distrutto. Ci racconta che hanno fatto pipì dappertutto e versato il whisky sugli oggetti sacri musulmani. Bush, Powell, Berlusconi chiedono a Sharon l'immediato ritiro dei territori, ma lui non vuole interferenze. Noi crediamo ancora che un altro mondo è possibile.