PALESTINA-ISRAELE, LA
POSIZIONE DELLE DONNE
maggio 2002, dal Parlamento
Europeo-sessione plenaria 9/04/02, intervento in sessione plenaria
di Luisa Morgantini
Signor Presidente,
ho pianto di fronte al soldato israeliano che ci stava impedendo di soccorrere un ferito palestinese. Ho pianto per Ahmed che, disteso per terra, ci chiamava muovendo la mano. Ho pianto - devo dire - per la mia e la nostra impotenza. Ho pianto per la perdita di umanità del soldato israeliano.
Ho parlato con lui: "Non piango per paura del tuo fucile, ma per te che sei giovane.
Piango per Hetty Hillesum, che anche nel campo di concentramento, dove era stata rinchiusa, voleva essere "il cuore pensante della baracca".
Piango perché mi impedisci di soccorrere un uomo che sta morendo e che - tu lo sai - non stava sparando. Piango perché ti ho visto spingere a terra e far inginocchiare con le mani contro il muro uomini della polizia palestinese che non ti avevano sparato. Li hai costretti a denudarsi e poi hai loro bendato gli occhi, hai loro legato le mani.
Erano usciti tutti a mani alzate dal portone di casa buttato giù con la forza. Insieme a loro c'era un vecchio che ho visto per anni a Ramallah. Ci salutavamo sempre, "kiffek" mi diceva, "mapsuta" gli rispondevo. Piango perché, mentre il carro armato bombardava la casa che ci avete costretto ad evacuare - uomini, donne e bambini -dalla finestra di un'altra casa un giovane ci chiedeva pane e sigarette.
Piango perché Mohammed Iska'fi, medico, ferito da voi più volte mentre prestava servizio medico con le ambulanze, quando gli ho detto di un soldato israeliano ferito non ha esitato. Siamo stati però fermati dai carri armati e dal tuo fucile. Il ferito israeliano è stato portato via; nella strada è rimasto Ahmed, palestinese, che ci avete strappato dalle mani non appena siamo riusciti a stenderlo su una rudimentale barella."
Sono queste normali scene di guerra? Dolorosa necessità dell'intervento militare per salvaguardare il futuro dello Stato israeliano minacciato dal fenomeno delle bombe umane che potrebbero distruggerlo?
Penso, insieme a tanti Israeliani con i quali da anni facciamo un percorso per la ricerca di una pace giusta, che riconosca il diritto dell'uno e dell'altro ad un proprio Stato, che, per salvare lo Stato israeliano, l'unica strada sia la fine dell'occupazione militare israeliana.
La crescita delle colonie, la confisca delle terre, i coprifuochi, i palestinesi prigionieri nei loro villaggi, le esecuzioni sommarie, le ambulanze bloccate, le donne che partoriscono nei check-point, la distruzione dell'autorità palestinese non sono errori o incidenti di percorso. Sono pratiche politiche precise, dichiarate esplicitamente da Sharon che, insieme ai partiti della coalizione del suo governo, rivendica il "trasferimento", cioè la deportazione della popolazione palestinese, non solo quella dei territori occupati, ma anche quella dei cittadini arabi di Israele.
La rioccupazione del territorio e le distruzioni di ogni infrastruttura, manifestano solo la volontà di annessione coloniale.
La politica dei kamikaze, che purtroppo, tragicamente, non è più soltanto di Hamas o della Jihad - organizzazioni che, in quanto donna, considero non solo distruttive per tutti, ma anche lesive dei miei diritti - va fermata. Non c'è giustificazione per questi atti, né moralmente, né politicamente.
Capisco la paura dei cittadini Israeliani, ma prendo forza dall'organizzazione dei familiari israeliani e palestinesi che hanno avuto vittime e che insieme dicono: "L'occupazione militare uccide tutte e tutti". Prendo forza da un Palestinese, Jamal Zaquot, il cui corpo porta i segni delle torture, che dice: "Non sopporto che vi siano attacchi sui civili in Israele. Anche se i bombardamenti uccidono civili, non si può rispondere con la logica del "dente per dente", non si può pensare che, visto che i nostri bambini, i nostri giovani muoiono ogni giorno, anche loro debbono morire. Non possiamo perdere la nostra umanità. Il futuro del popolo palestinese non può
formarsi con la cultura della morte e della vendetta."
E' una doppia tragedia. Vorrei che tutti fossimo laggiù, insieme a quei Palestinesi e a quegli Israeliani che continuano a credere che la migliore sicurezza per ogni popolo, per ogni individuo, stia nel riconoscimento reciproco del diritto di esistere e di vivere nella propria terra in democrazia e libertà.
Shulamit Aloni, israeliana, dichiara ogni giorno: "Ho combattuto nell'Hagganah per avere uno Stato ebraico in Palestina; mi ritrovo con uno stato colonialista. Non ci sto, ho vergogna di questo esercito, di questi nostri governi che, in nome della sicurezza, distruggono vite e ogni nostro valore umano."
Chiedo scusa al mio gruppo se ho usato il tempo collettivo per una testimonianza così personale; ma è intrisa di implicazioni politiche.
Chiediamo all'Unione europea una posizione ferma e chiara, in coerenza con la legalità internazionale e la difesa dei diritti umani. Si usino tutti gli strumenti a disposizione per imporre al governo israeliano il ritiro dai territori occupati; si inizi da un embargo sulle armi. Si riconosca subito lo Stato di Palestina sui confini del 1967. Si sostenga la presenza immediata di una forza internazionale, ci si prepari ad essere presenti sul territorio, non è necessario l'accordo israeliano, sono loro a violare ogni convenzione internazionale. Si sospenda l'accordo di associazione con Israele, poiché le violazioni dell'articolo 2 sono plateali; non vi sono altri esami da fare. Bisogna garantire la libertà di movimento di Yasser Arafat, presidente democraticamente eletto, e del suo popolo, così come rifiutarsi di accettare i dictact di Sharon alle libertà di movimento e di incontro dei diplomatici europei con l'ANP. D'altra parte è necessario sostenere tutti coloro i quali, Palestinesi, Israeliani e organizzazioni internazionali, danno un contributo alla costruzione della pace, in particolare i soldati israeliani che si rifiutano di servire nei territori occupati.
La pace è indispensabile per i palestinesi, per gli israeliani, per tutta la regione e anche per noi. Si è perso troppo tempo.
Non si confondano iniziative contrarie all'occupazione militare israeliana con forme di antisemitismo, che devono essere non solo condannate, ma anche sradicate dalle menti e dalle azioni di ciascuno.
Non si tratta di schierarsi da una parte o dall'altra. Io sono per la pace, noi siamo per una pace giusta; non ci vogliono vittorie, né dell'una né dell'altra parte. Ma bisogna distinguere le responsabilità tra un Paese occupante e un Paese occupato e noi dobbiamo assumerci le nostre fino in fondo, perché non vogliamo più che siano la morte, il dolore, la sofferenza e l'ingiustizia a scandire il tempo in Palestina e in Israele.