La questione nazionale cecena: profilo storico.
Una sintesi della storia del popolo ceceno soprattutto in relazione alla sua lotta plurisecolare contro l'oppressione russa. REDS. Ottobre 1999.


I ceceni

La Cecenia é situata nel Caucaso del Nord. Per Caucaso si intende quella regione geografica stretta tra il Mar Caspio e il Mar Nero attraversata dall'omonima catena montuosa, che la divide in due zone. Il Caucaso del Sud è etnicamente più omogeneo e comprende le odierne Georgia, Armenia e Azerbaigian. Il Nord invece copre una varietà etnica unica al mondo se si rapporta all'estensione del territorio: queste regioni montuose e le loro valli profonde sono spesso servite da rifugio a varie popolazioni. I popoli caucasici restarono, anche per le caratteristiche geografiche del territorio, separati tra loro, per questo ad esempio non possiamo parlare di movimento nazionale caucasico.

La Cecenia comprende una pianura a nord dove scorrono i fiumi Terek e Sunja e una zona montuosa a sud. E' abitata da tremila anni da un popolo antichissimo che chiama se stesso nakhche (e Nokhchy il proprio Paese): il nome "ceceni" é russo e deriva dal nome di un villaggio che oggi non esiste più. La loro lingua, il nakh (nelle due varianti assai simili cecena e inguscia) appartiene alla famiglia caucasica, una famiglia linguistica isolata e "circondata" da quella indoeuropea.

Sino alla fine del XIX secolo i ceceni avevano un'organizzazione sociale che era rimasta sostanzialmente immutata nel tempo, a causa dell'isolamento in cui erano sempre vissuti. La loro era una formazione di tipo clanico ("teip") con tutte le caratteristiche tipiche di quel tipo di società: governo di un consiglio di anziani, diritto consuetudinario ("adat") rigido che prevedeva matrimoni con donne non appartenenti al clan, la vendetta di sangue, la responsabilità collettiva del clan di fronte alle mancanze di un suo membro, stato di inferiorità delle donne, scarsa differenziazione di reddito. La penetrazione del cristianesimo prima e dell'islamismo poi, fu faticosa e lenta e sostituì la religione tradizionale basata sul culto degli antenati e di dei legati alla natura.

Lo scontro con l'impero zarista

Grazie all'isolamento i ceceni avevano sempre mantenuto una propria sostanziale indipendenza anche se in vari periodi furono sottomessi in maniera del tutto formale da altre entità (come quella dell'Orda d'Oro nel XIII sec.).

Nel XVIII sec. l'impero russo cercò di mettere in pratica la propria strategia di allargamento territoriale verso sud (con il fine di raggiungere i "mari caldi"). Il primo serio tentativo si ebbe nel 1722 quando l'esercito di Pietro il Grande invase una parte del Daghestan (regione confinante con i ceceni, abitata da una quindicina di etnie), ma i persiani contrattaccarono costringendo alla ritirata i russi.

Questi ci riprovarono nel 1770 con il pretesto di una richiesta di aiuto da parte dei ceceni occidentali (quelli che poi formeranno l'Inguscezia) che si erano fatti cristiani ed erano per questo perseguitati dai circassi della Cabarda, altra etnia caucasica. I russi invasero l'intera Cecenia, compresa la parte orientale che non aveva chiesto alcun aiuto. Qui la popolazione stava passando gradualmente dalla religione tradizionale all'islamismo, nella variante predicata da confraternite sunnite fortemente mistiche, sufiste, tra le quali quella della naqshbandiya. Si trattava di ordini di iniziati che accettavano la guida di uno shaikh (sceicco). I ceceni orientali, sino ad allora sostanzialmente liberi, si ribellarono e trovarono nell'islam, in una situazione di scarsa coscienza della propria formazione etnica, l'elemento identitario che serviva a dar coesione alla propria nazionalità permettendole di resistere all'invasore. Un domenicano italiano, Giovan Battista Boetti che prese il nome di Mansur Ushurma dopo che si era fatto predicatore musulmano, fu alla testa della rivolta che cominciò nel 1773 e si protrasse fino al 1791. Mansur cercò di riunire sotto le bandiere dell'islam altri popoli caucasici, tra i quali daghestani, circassi, ecc. prima di essere catturato. Seguì una repressione furibonda da parte dei russi, che non riuscì però a sopprimere la confraternita naqshbandiya che continuava nella clandestinità la propria opera di proselitismo, unico canale di difesa dell'identità etnica. Intanto le terre migliori della pianura venivano espropriate dallo zar e date ai cosacchi.

Gli iniziati naqshbandi guidarono poi una rivolta nel Daghestan (che era stato strappato dalla Russia alla Persia nel 1813) che durò dal 1824 al 1859 sotto la guida dello shaikh Imam Shamil (daghestano di lingua avari) che riuscì a costruire un vero e proprio stato islamico che comprendeva una parte del Caucaso (Cecenia compresa). In questo periodo, prima di venir definitivamente battuto nel 1859, Shamil cercò di sostituire alle modalità spesso sanguinarie della "adat", la legge islamica.

Una nuova rivolta scoppiò in Cecenia occidentale, guidata da una confraternita sufi, la khdiriya, che si era radicata sotto la guida di Kunta Hagi, un daghestano che riuscì a convertire la regione a questa particolare versione dell'islam. I russi riuscirono presto ad avere ragione anche di questa rivolta ed instaurarono un regime di forte repressione.

Nella seconda metà del secolo scorso la Russia conquistava tutto il resto del Caucaso, mentre le confraterinte religiose, sotto l'oppressione straniera, divenivano veicolo della frustrazione della nazionalità oppressa, e per questo si radicavano sempre più profondamente nel territorio, proprio quando il resto dell'islam conosceva un processo di forte modernizzazione.

I ceceni furono dunque un osso duro per i russi. Nessun'altra acquisizione territoriale costò alla Russia tanto sforzo né tanta sofferenza ai locali: requisizioni di terre, deportazioni, migrazioni dovute alla conquista (1), spedizioni punitive, contribuirono ad irrobustire l'odio contro lo straniero.

La rivoluzione russa

La regione amministrativa del Terek con capoluogo la città di Vladikavkaz, comprendeva più o meno gli attuali territori della Cecenia, dell'Ossezia, della Cabarda e dell'Inguscezia, e contava circa 1.200.000 individui nel 1912. I russi, che abitavano le pianure, erano circa 500.000 mentre le popolazioni indigene (chiamate dai russi "gortsy"), che abitavano in maggioranza le montagne erano più di 600.000, dei quali 250.000 ceceni. La popolazione russa era divisa in due gruppi: i cosacchi del Terek e quelli che venivano chiamati inogorodnye ("gente di altri paesi"). I cosacchi, circa 250.000, erano stati utilizzati dagli zar come abbiamo visto per proteggere l'impero dai popoli montanari. Costituivano una casta privilegiata rispetto al resto della popolazione (compresa quella russa non cosacca) per via dell'abbondanza delle loro terre (in media il doppio degli autoctoni). Erano insediati lungo il Terek e nelle vallate degli affluenti che scendevano dalle montagne. Gli inogorodnye erano invece immigrati recenti, in larga parte russi, anche se vi si trovavano georgiani ed armeni. Nella regione cecena essi giunsero alla fine dell'ottocento con lo sviluppo dell'industria petrolifera (sorgeva intorno ai pozzi la città di Grozyj, destinata a divenire la capitale della Cecenia). Tra loro si trovavano operai, commercianti, funzionari (2). Tra i due gruppi russi non correva buon sangue dato che i cosacchi vedevano nei nuovi arrivati gente che poteva attentare ai propri privilegi, privilegi che erano del resto odiati dai non cosacchi. Tra i "gortsy" i cabardi e gli osseti (di religione cristiana) avevano delle terre. I più poveri in assoluto invece erano i ceceni e gli ingusci: avevano dovuto subire da parte dei cosacchi l'esproprio delle terre delle vallate e delle terre basse, cosa che li aveva costretti ad una povertà terribile. Vivevano nella speranza della riconquista di quelle terre.

La rivoluzione democratica del febbraio 1917, che depose lo zar, provocò forti scosse anche nel Caucaso: i ceti intellettuali urbani con l'appoggio del clero moderato islamico (ma con l'opposizione delle confraternite, forti in Daghestan e Cecenia, cioè nei territori più poveri) dettero vita a vari incontri dei "gortsy" e a settembre formarono a Vladikavkaz (nell'attuale Ossezia settentrionale) l'Unione dei Popoli Montanari, come parte dell'Impero Russo, con l'intento di allargarlo a tutti i popoli musulmani del Caucaso.

Nel Daghestan nello stesso periodo, su iniziativa della corrente islamica radicale, lo sceicco Najmuddin Hötso (chiamato Gotsinskij dai russi) veniva proclamato emiro del Daghestan e della Cecenia; ai suoi ordini un altro sceicco, Huzun Haji, cominciava ad arruolare un esercito di volontari.

Anche i cosacchi si organizzarono formando nel marzo del 1917 un proprio governo militare cercando di unirsi coi cosacchi del Don e del Kuban in un'Unione del Sud-Est, per difendersi dall'ostilità della popolazione urbana rappresentata dal soviet e dai contadini russi non cosacchi che dalla rivoluzione di febbraio in poi rifiutavano di pagare gli affitti delle terre dei cosacchi e chiedevano la nazionalizzazione delle stesse.

La Rivoluzione d'Ottobre vide, con la presa del potere da parte dei bolscevichi, l'affermarsi, almeno teorico, del diritto all'autodeterminazione sino alla separazione territoriale ("Dichiarazione sui diritti dei popoli della Russia"). Nel dicembre del 1917 il governo sovietico con la firma di Lenin e Stalin dichiarava in un appello ai musulmani: "Musulmani di Russia, Tatari del Volga e della Crimea, Kirghsi e Sarti della Siberia e del Turkestan, turchi e Tatari della Transcaucasia, Ceceni e popoli delle montagne del Caucaso, e tutti voi ai quali sono state distrutte moschee e luoghi di preghiera, le cui credenze e costumi sono state calpestate dagli zar e dagli oppressori della Russia: le vostre credenze e i vostri usi, le vostre istituzioni nazionali e culturali sono per sempre libere e inviolabili. E' un vostro diritto. Sappiate che i vostri diritti, come quelli dei popoli di tutta la Russia sono sotto la poderosa protezione della Rivoluzione e dei suoi organi, i soviet degli operai, dei contadini e dei soldati."

Così incoraggiata l'Unione proclamò il 15 dicembre del 1917 l'autonomia politica del Caucaso del Nord costituendo una repubblica formalmente laica e democratica con capitale Vladikavkaz (3).

Le popolazioni montanare, che si sentivano estranee ai ceti intellettuali che si esprimevano nell'Unione, avevano sperato con la rivoluzione di potersi riprendere le terre, ma dovettero ricredersi. Così nel dicembre del '17 ceceni e ingusci persero la pazienza e scesero dalle montagne attaccando gli insediamenti cosacchi.

Divampò così la guerra tra gli abitanti delle pianure e delle montagne. Cosacchi e russi non cosacchi si allearono infatti contro i "gortsy". I bolscevichi aiutarono i russi nella lotta contro i montanari. Nella guerra civile venne travolto il governo di Vladikavkaz e la regione cadde in una situazione caotica.

I bolscevichi, grazie all'aiuto dei soldati di ritorno dal fronte, riuscirono nel corso del 1918 a riprendere in mano il controllo della regione. Organizzarono nel gennaio del 1918 un incontro di tutti i partiti politici russi del Terek, dai menscevichi ai socialisti rivoluzionari, per formare un 'blocco socialista' che si unì ai cosacchi con l'intento di fronteggiare i popoli della montagna: frutto di questa alleanza fu l'instaurazione a Vladikavkaz della "Repubblica sovietica socialista del popolo del Terek" che includeva anche partiti moderati di "gortsy", ma non ceceni ed ingusci, e che era guidato da un bolscevico georgiano, Noi Buachidze.

Ma l'autorità di questo governo durò poco. In estate i bolscevichi locali, contro le direttive di Lenin, pressati dai russi senza terra, cominciarono a requisire le terre dei cosacchi. Questi ultimi lasciarono il governo. Intanto si era riaccesa la guerra con i popoli della montagna, e la regione precipitò di nuovo nel caos. In una manifestazione antisovietica anche Buachidze venne ucciso.

In agosto i cosacchi attaccarono e presero Vladikavkaz. I leaders bolscevichi, compreso Ordzhonikidze, mandato là dal governo sovietico per seguire le vicende del territorio, per salvarsi raggiunsero le montagne, in mezzo ad ingusci e ceceni. A nome dei bolscevichi del Terek, Ordzhonikidze stipulò un'alleanza coi montanari, promettendo ciò che loro stava più a cuore: la restituzione delle terre dalle quali erano stati espulsi. Gli ingusci, insieme agli esiliati bolscevichi, attaccarono, e presto ripresero Vladikavkaz. Il potere dei bolscevichi, che istituirono subito un governo, si basava interamente sul seguito che ora avevano tra i montanari, ma il consenso tra i russi crollò. Per questo Ordzhonikidze, dette il via ad un'attiva repressione contro le espressioni politiche locali dei menscevichi, degli SR, ecc. Ceceni ed ingusci furono invece ricompensati a spese dei cosacchi per aver salvato il potere sovietico nella regione: gli insediamenti cosacchi furono interamente smantellati e tutti i loro averi passarono ai popoli montanari.

Presto però la guerra civile tra l'Armata Rossa e le truppe filozariste aiutate dalle grandi potenze, investì anche il Caucaso. Nei primi mesi del 1919 un'epidemia di tifo e diserzioni di massa misero fuori gioco i reparti dell'armata rossa di stanza nel settore caspio-caucasico. Tra maggio e giugno i reparti del generale Denikin a capo dell'armata bianca occuparono, con l'aiuto dei cosacchi del Terek, il Caucaso del Nord. Di nuovo Ordzhonikidze e gli altri leader bolscevichi dovettero rifugiarsi tra i ceceni e gli ingusci sulle montagne.

Denikin era ferocemente contrario a concedere l'autonomia alle nazionalità. Credeva fermamente in una "Russia sola e indivisibile", quindi proclamò che non avrebbe mai riconosciuto le repubbliche della Georgia e dell'Azebaigian e le sottopose a blocco economico. In agosto cercò di obbligare i "gortsy" ad entrare nell'esercito, ma costoro rifiutarono e molti raggiunsero le montagne. Denikin rispose con rappresaglie alle quali i popoli delle montagne reagirono organizzando bande partigiane che attaccavano le truppe bianche. Tra ottobre e novembre la guerra tra i montanari e le truppe di Denijkin infuriava e contribuì in maniera determinate alla sconfitta dei bianchi. La direzione della resistenza si trovava nelle inaccessibili montagne cecene, diretta da un Consiglio di Difesa nel quale erano rappresentati tutti: leader religiosi (Huzun Haji), nazionalisti, socialisti, e in un secondo tempo anche dai bolscevichi.

Nel settembre del 1919 Huzun Haji aveva liberato dall'armata bianca gran parte delle montagne del Caucaso del Nord, comprese Daghestan e Cecenia e aveva proclamato l'Emirato del Caucaso del Nord con a capo lo sceicco Hötso.

Il 30 ottobre l'impero ottomano fu costretto a chiedere l'armistizio e si ritirò dal Daghestan, lasciando così spazio a Denikin. Da nord l'armata rossa attaccò e mise a disposizione di Huzun Haji una formazione militare. Bolscevichi e islamici insieme sconfissero l'armata bianca e nel febbraio del 1920 le truppe di Denikin lasciarono il Caucaso del Nord. I bolscevichi presero il potere nella regione e diffusero un manifesto in cui affermavano di avere "un solo scopo: di liberare le nazioni oppresse dalla schiavitù, qualunque sia l'oppressore. Il governo sovietico non intende toccare la religione, i costumi, le tradizoni, e i modi di vita dei 'gortsy'". Misero poi a capo delle regioni del Caucaso del nord capi partigiani comunisti, nazionalisti e islamici. Ma Huzun, principale interlocutore dei bolscevichi, moriva dopo tre mesi.

Ma una parte dei popoli della montagna non era soddisfatta di un assetto che li vedeva comunque fuori dal governo effettivo della regione. Nel maggio 1920 Hötso si ribellava ai bolscevichi ed attaccava l'armata rossa dalle montagne del Daghestan, aiutato dai ceceni. I dirigenti bolscevichi capirono che la questione doveva essere risolta per via politica. All'inizio del 1921 venne convocato a Vladikavkaz un congresso dei popoli montanari del Caucaso del Nord al quale partecipò Stalin a nome del governo bolscevico (il mese precedente aveva partecipato ad un analogo congresso in Daghestan), offrendo l'amnistia per i combattenti islamici e l'istituzione di una repubblica con ampie autonomie all'interno della RSFSR. I montanari si resero disponibili a tre condizioni, che furono prontamente accettate dai bolscevichi: mantenimento della legge islamica, non ingerenza russa, restituzione delle terre tolte dagli zar. Nacque così la Repubblica Sovietica Autonoma della Montagna (che comprendeva le attuali Cecenia, Inguscezia, Ossezia settentrionale, Cabarda-Balcaria, Caraciaia-Circassia). Il Daghestan formava una repubblica sovietica autonoma all'interno della RSFSR.

Vennero istituite all'interno della Repubblica della Montagna varie regioni autonome tra le quali, nel 1922, la Cecenia e l'Inguscezia.

L'indipendenza culturale e gli sforzi di alfabetizzazione dettero la spinta ad un certo sviluppo culturale: si cominciarono a codificare le lingue locali (molte, tra le quali quella cecena, erano esclusivamente orali). Nel 1923 nasceva il ceceno scritto (con caratteri arabi, poi nel 1928 passerà ai caratteri latini), e l'anno dopo l'inguscio (in alfabeto latino). La NEP (Nuova Politica Economica, che permetteva una certa iniziativa privata, liberalizzava il commercio, ecc.) era apprezzata in una regione dove non vi era mai stato un vero e proprio sviluppo capitalistico. Questi elementi contribuirono a dare l'avvio ad un breve periodo di prosperità.

Il periodo staliniano

Uscito di scena Lenin nel 1923, per la grave malattia che l'aveva colpito, nel 1924, Stalin, il nuovo uomo forte del partito, dissolse senza consultazione alcuna la Repubblica della Montagna, incorporando direttamente al territorio russo le entità autonome che erano state create al suo interno (compresa la Cecenia, dunque) con l'evidente intento di controllarle meglio.

A questa operazione seguì la decretazione della fine della NEP, la collettivizzazione forzata ed una forte repressione antiislamica. Ricordiamo che l'islam, dai popoli caucasici, nella debolezza della coscienza etnica, veniva percepito come principale elemento identitario, e dunque un attacco alla religione veniva vissuto come un attacco diretto alla propria nazionalità. Stalin abolì i tribunali islamici, e nel '25 tutta la popolazione cecena venne disarmata (come in tutte le società a forte influsso clanico era tradizionale il porto delle armi). Nel '26 inoltre cominciò una purga tra i comunisti locali, sospettati di essere musulmani travestiti. I membri locali del partito ormai erano solo russi o ceceni russificati.

Nel '29 così, i ceceni si ribellarono e la rivolta si estese anche al Daghestan settentrionale per concludersi nel '30 con un armistizio e un'amnistia. Nel '31 però Stalin fece giustiziare i capi della rivolta provocando una nuova rivolta domata solo nel '36. Mentre nel '34 Cecenia e Inguscezia venivano unite e promosse al rango di Repubblica autonoma, procedeva il processo di russificazione: nel '38 il ceceno e l'inguscio vennero costretti ad adottare l'alfabeto cirillico. Altre purghe colpirono il Daghestan dove i comunisti locali vennero accusati di nazionalismo e panislamismo. In Cecenia-Inguscezia nel luglio del '37 una vasta purga portò all'arresto, deportazione e fucilazione di 14.000 persone (una persona su trenta della Repubblica). Nel '40 una nuova rivolta guidata dal comunista Hassan Israilov fu in breve domata.

Nel giugno del 1941 la Germania invadeva l'URSS e nell'ottobre dell'anno successivo i tedeschi, col fine di appropriarsi del petrolio del Caucaso, conquistarono la Cabarda-Balcaria. Come in molte altre occasioni nella storia una nazionalità oppressa dallo straniero, è ben disposta verso un altro straniero che promette di liberarla dall'oppressore. I tedeschi trovarono nel Caucaso, insieme anche, comunque, ad una certa resistenza, molti collaboratori tra i musulmani. Almeno 10.000 nord caucasici si arruolano in una legione che fiancheggiava i tedeschi. I tedeschi capirono al volo l'occasione che si offriva loro e permisero la riapertura di moschee, tribunali islamici, scuole coraniche.

Nella rotta per Baku nell'agosto del '42 i tedeschi occuparono Mozdok e a settembre attraversarono il Terek e penetrano dunque nella parte pianeggiante della Cecenia, ma una controffensiva li respinse indietro dopo pochi giorni, e la via per Grozny e Baku, cioè per il petrolio, gli fu definitivamente chiusa. Le armate tedesche occuparono l'Inguscezia-Cecenia solo in parte e solo per quattro mesi con duri combattimenti. Il collaborazionismo della popolazione dunque, se mai vi fu, non poté che essere episodico.

Nel febbraio 1943 i ceceni si ribellarono di nuovo ai russi, guidati dal nazional comunista Mairbek Sheripov. Nel corso dello stesso mese i russi cominciavano la riconquista del Caucaso.

Cacciati i tedeschi, ma ancora in piena guerra, Stalin commise uno dei più atroci delitti di cui si sia macchiato. Deportò interi popoli dell'URSS, accusati collettivamente di "collaborazionismo", in regioni lontane. Tra costoro c'erano anche i ceceni e gli ingusci. Tra i popoli deportati non si conoscevano eccezioni, vennero deportati tutti, comunisti e non, bambini e anziani: il 41% aveva meno di 16 anni e le donne con più di 16 anni costituivano il 34%. I ceceni e gli ingusci deportati furono 400.478 su più di 2.500.000 di deportati. Furono deportati anche i caraciai tra i quali si contarono 9000 partigiani che si erano battuti contro i tedeschi. Ammesso per assurdo che si possa incolpare un intero popolo di "collaborazionismo" l'accusa è difficilmente applicabile ai ceceni che non furono mai occupati. Era evidente l'intento di Stalin di liberarsi di un popolo che non si era mai arreso al dominio russo.

La deportazione fu immediata, rapida, efficiente. Fu pianifica in otto giorni e si svolse nel febbraio 1944: tre giorni per caricare nei treni merci i 300.000 che vivevano nelle valli e 5 per i 150.000 che abitavano nella montagna. La deportazione fu personalmente supervisionata da Berjia, capo del NKVD, il servizio segreto che era formato in realtà da più di centomila soldati ottimamente armati, e distratti dalla partecipazione alla guerra contro i tedeschi. Berjia, che informava continuamente Stalin delle "operazioni", incaricò i quadri locali del partito di "convincere" la popolazione locale. In realtà chi tentava di opporsi veniva abbattuto. Il primo marzo erano già stati tutti ammassati in 180 convogli di cui la gran parte era già partita. All'ultimo deportarono anche i quadri di partito locali che avevano aiutato allo svolgimento dell'operazione. La neve e le condizioni dei trasporti lasciarono 6.000 ceceni morti lungo la ferrovia. La sicurezza era garantita dall'NKVD: un vagone pieno di soldati ogni due pieno di deportati. Nei vagoni sigillati i deportati erano stipati in 40-45 per vagone. Un vecchio quadro comunista inguscio, Akhrapiev, ricorderà quaranta anni dopo: "abbiamo passato un mese nei vagoni verso una destinazione sconosciuta, compressi al massimo. Il tifo si diffondeva. Non ricevevamo nessuna cura. Seppellivamo i nostri morti nella neve, durante le brevi fermate in luoghi deserti e sperduti: allontanarsi dal vagone più di cinque metri avrebbe significato la morte." Su uno di quei convogli nacque Dudaev, che conosceremo in seguito.

La maggioranza fu deportata in Kazakhstan ed una minoranza in Kirghizistan. La gran parte, l'80% fu portata nei kolkhoz già poverissimi e venne dato loro il nome di "coloni speciali". I deportati si trovarono senza alloggi, costretti a vivere in quattro o cinque famiglie (con un numero elevato di figli) in baracche senza finestre, spesso mal tollerati dai locali che già avevano poco da mangiare. Inoltre non avevano alcuno strumento per coltivare la terra, né semi, né altro. A decine di migliaia morirono di malattie, di stenti, di fame, mentre orde di bambini affamati vagavano nei villaggi della steppa. L'NKVD sorvegliava perché non fuggissero nei territori d'origine e i disordini venivano soffocati nel sangue.

Nel 1944 i territori della Cecenia-Inguscezia, privati della popolazione, sparivano anche amministrativamente e passavano a far parte della provincia russa di Stavropol ad eccezione del distretto di Prigorodyj che venne dato all'Ossezia settentrionale.

Nel '48 un decreto del soviet supremo decretò che i deportati lo sarebbero stati a vita e che non avrebbero mai più potuto tornare alla loro residenza, pena venti anni di lavori forzati. Ma un dato ci dice di come nonostante tutto questi popoli non si rassegnassero: nel solo 1949 furono 8.500 i deportati condannati per questo reato.

Contemporaneamente la burocrazia stalinista cercava di combattere anche sul piano storiografico i desideri profondi dei ceceni. Nel '50 partì una campagna contro Shamil, l'eroe della resistenza cecena del secolo precedente (sino ad allora considerato dagli storici sovietici un valoroso esempio di resistenza antizarista), con una gigantesca operazione di denigrazione (si sosteneva che fosse al servizio dei britannici) (4)

Morto Stalin nel 1953 si avviò un lento disgelo. Alla fine del 1955 furono tolte le restrizioni ai "coloni speciali" tedeschi (discendenti dei coloni inviati dagli zar nel XVIII e XIX e deportati in massa da Stalin), poi via via anche agli altri. Gli ultimi a godere di queste misure, ovviamente, furono i ceceni e gli ingusci: luglio del 1956.

Ai deportati si impose di firmare un documento in cui dichiaravano di rinunciare alla riparazione e alla restituzione dei beni e di non tornare nello stesso posto dove abitavano prima. A decine di migliaia (dal 30% al 40%) rifiutarono di firmare. Quindi molti tornarono senza autorizzazione. Nel gennaio 1957 fu ricostituita la repubblica autonoma Cecenia­Inguscezia e nel luglio dello stesso anno fu loro concesso di tornare nelle proprie terre (5). I deportati tornarono in massa, con tutti i mezzi. Trovarono le loro case e i propri averi in mani altrui. Furono sistemati in capannoni, scuole, alloggiamenti di fortuna. La precarietà durò più di un anno fino a che i ceceni persero la pazienza e protestarono. Seguì nel luglio del 1958 una gigantesca caccia al ceceno a Grozny che provocò un imprecisato numero di morti.

Nei trent'anni successivi in Cecenia e in Daghestan le confraternite prendevano nuovo vigore e si registrarono vari episodi di resistenza (6) al dominio russo (diffusione di materiale clandestino di contenuto religioso, ecc.) ma il popolo ceceno, decimato e reduce da innumerevoli sconfitte, non aveva più la forza di ribellarsi.

Crollo dell'URSS

Nella seconda metà degli anni ottanta si acuisce la crisi dell'URSS. Gorbaciov, eletto segretario del PCUS nel 1985, cerca di farvi fronte con una nuova politica, più liberale, che viene chiamata "glasnost". Intanto già nel 1988 nelle repubbliche baltiche si formano i fronti popolari, movimenti di massa favorevoli all'autodeterminazione. In tutta l'URSS i movimenti delle nazionalità oppresse crescono e danno vita a manifestazioni e lotte: oltre ai baltici gli ucraini, i moldavi, gli armeni, i georgiani, gli abkhazi, gli osseti, ecc. fino a che nel 1990 a catena le repubbliche federate dell'URSS dichiarano la propria sovranità, riconosciuta dalla Russia solo nel 1991.

Anche in Daghestan e Cecenia-Inguscezia sorgono piccoli movimenti nazionalisti ed anche movimenti islamisti, ma per queste repubbliche il quadro è diverso: sono incorporate alla Russia, non all'URSS, ed anche la Russia di Eltsin non ha alcuna intenzione di concedere a queste l'indipendenza.

La Cecenia del resto è l'unica che la chiede apertamente. Jokhar Dudaev un generale dell'aereonautica nato in Asia centrale durante la deportazione, convertito alle ragioni delle nazionalità a contatto con i popoli baltici (era comandante di una base aerea sovietica in quella regione) abbandona l'esercito e fonda in patria nel '90 un movimento indipendentista: il Congresso Nazionale del Popolo Ceceno che si oppone al soviet locale (guidato da Dokou Zavgaev, brezneviano di vecchia data) quando quest'ultimo decide di sostenere nell'agosto del '91 il tentativo di colpo di stato contro Gorbaciov. A settembre, al comando di un gruppo di nazionalisti armati, prende il potere a Groznyj. Dudaev indice poi un referendum per l'indipendenza, il 27 ottobre, che vince in maniera schiacciante. Il 28 viene dichiarata l'indipendenza della Cecenia-Inguscezia.

Eltsin non lo accetta e dichiara lo stato d'emergenza inviando subito 2.000 paracadutisti a novembre. Questi però vengono assediati negli aereoporti da una mobilitazione di massa spettacolare. Le truppe russe di stanza nel Paese non si muovono dalle caserme. Dudaev manda appelli panislamisti e pancaucasici ai popoli vicini perché si ribellino. Grazie alla mobilitazione dell'opinione pubblica russa, viene annullato lo stato d'emergenza in Cecenia. Dudaev vince, dunque, senza nemmeno un morto.

Nel marzo 1992 l'Inguscezia proclama una propria repubblica e aderisce al nuovo trattato federativo russo. La Cecenia invece rifiuta l'adesione.

Dudaev intanto anima un organismo semilegale, la Confederazione dei popoli del Caucaso del Nord, che raccoglie un corpo di volontari, di cui i ceceni sono il nerbo, in appoggio agli indipendentisti abcasi contro la Georgia. Nel settembre del 1993 riescono a liberare il territorio. Tra i volontari ceceni si distingue il comandante trentenne Shamil Basaev.

Eltsin organizza un blocco economico della Cecenia che mette in ginocchio l'economia. La crisi fa sì che 400.000 russi emigrino fuori dalla Cecenia (ne restano in 60.000). Cresce il malcontento e un'opposizione interna appoggiata dalla Russia che provoca degli scontri e spinge Dudaev nell'aprile del '93 a proclamare il coprifuoco e a sciogliere il parlamento. Nel maggio 1994 a Groznyj Dudaev sfugge ad un attentato. Un suo oppositore, Umar Avturkhanov, occupa un distretto e poi tenta di conquistare la capitale aiutato dall'aereonatutica russa che bombarda la città. Ma Dudaev respinge l'attacco. Eltsin allora, esaurite tutte le possibilità, decide l'invasione della Cecenia.

Nel dicembre 1994 20.000 soldati russi, appoggiati da carri armati e aereonautica entrano in Cecenia. I numerosissimi volontari che giungono da ogni parte del Caucaso vengono bloccati dai russi e dai georgiani. Ma per i russi, di nuovo, non è una passeggiata. La popolazione locale resiste eroicamente, e i soldati russi disertano in massa. Mentre gli USA dichiarano che si tratta di un affare interno russo, in tre mesi si registrano 20.000 morti e 30.000 rifugiati ceceni in Daghestan. A febbraio i russi riescono alla fine a completare la conquista di Groznyj prededentemente rasa al suolo dai bombardamenti. La commissione per i diritti umani dell'ONU adotta una dichiarazione con il consenso del rappresentante russo che critica "l'uso sproporzionato della forza". A marzo il FMI approva un prestito di 6 miliardi e 400 milioni di dollari alla Russia bloccati un mese prima per l'invasione della Cecenia. Il 9 maggio Clinton insieme a Eltsin assiste sulla Piazza Rossa alla sfilata miliatre per il 50° della vittoria sul nazifascismo; Khol, Major e Mitterand sono assenti, per impegni, ma probabilmente imbarazzati dall'affare ceceno. Il 10 Clinton ottiene l'adesione del Cremlino alla "Partnership per la pace" tra NATO e Russia.

Dudaev e la resistenza intanto spostano mese dopo mese sempre più all'interno il proprio quartier generale. A giugno cade la città di Vedeno, considerata inespugnabile dai ceceni.

La resistenza cecena sembra soccombere quando il 14 giugno un centinaio di guerriglieri capitanati da Shamil Basaev, che ha avuto moglie e figli uccisi da un bombardamento russo, giunge a Budënnovsk, città russa a 120 Km a nord della Cecenia e occupa un ospedale della città. I ceceni prendono in ostaggio un migliaio di medici e pazienti, chiedono la fine dei combattimenti, il ritiro russo e l'amnistia. I soldati russi assaltano l'ospedale provocando una carneficina, senza riuscire ad occuparlo. Il primo ministro Cernomyrdin decide di trattare, i guerriglieri tornano in patria e cominciano le trattative di pace. La guerra ha prodotto sino a quel momento 400.000 rifugiati.

Presto però ricominciano i combattimenti. A dicembre la rivolta della città di Gudermes: dopo 13 giorni di combattimenti é riconquistata dai russi.

Nel gennaio 1996 a Kizljar in Daghestan un commando comandato da Salman Radujev si impadronisce dell'ospedale di Kizljar prendendo 250 ostaggi. Chiedono che le truppe russe lascino la Cecenia. I guerriglieri si ritirano con gli ostaggi nel villaggio di Pervomajskoe ai confini con la Cecenia. Le truppe russe bombardano il villaggio e a migliaia attaccano i 200 guerriglieri rimasti, ma questi resistono casa per casa per due giorni e due notti. Poi i russi, verificata l'impossibilità di battere i ceceni nel villaggio, decidono di raderlo al suolo. Cominciano a lanciare razzi Grad ogni minuto. Cala la censura sul numero dei morti. Eltsin dichiara "chiusa" la vicenda di Pervomajskoe. Ma, come si saprà in seguito molti guerriglieri riescono a scampare (7).

La guerra continua mentre i rifugiati tornati alle macerie di Grozny manifestano per il ritiro dell'esercito russo. A marzo questo offre ai 350 villaggi ceceni l'impegno a non bombardare, se assicurano che non daranno ospitalità ai guerriglieri. Accettano in 120. L'aviazione bombarda da subito i venti che avevano rifiutato persino la trattativa. I morti sino a questo momento sono 30.000. In aprile con un tranello, viene ucciso Dudaiev.

A maggio, Eltsin, che ha bisogno della pace per vincere le imminenti elezioni presidenziali, concorda coi ceceni un cessate il fuoco e un accordo che prevede ad agosto il ritiro delle truppe russe. Ma a giugno Eltsin viene rieletto e si rimangia subito l'impegno: a luglio parte la repressione a Grozny con un massacro di civili e l'imposizione del coprifuoco. Ma i ceceni riguadagnano terreno e ad agosto controllano in pratica la capitale.

Eltsin incarica allora Lebed, capo del Consiglio di Sicurezza, di arrivare ad un accordo con i ceceni. Cosa che accade ad agosto firmando con Aslan Maskhadov l'armistizio che mette fine a 20 mesi di guerra che sono costati 40.000 morti. A novembre viene firmato tra il primo ministro Victor Chernomirdin e Aslan Maskhadov, un accordo di pace, che prevede il ritiro delle truppe russe (che lasceranno la Cecenia definitivamente nel gennaio 1997) e dopo due anni un accordo per lo status definitivo della Cecenia.

Nel gennaio 1997 si svolgono con osservatori internazionali le elezioni presidenziali in Cecenia che vedono la vittoria di Aslan Maskhadov, mentre Basaev ottiene il secondo posto.

Nell'agosto 1999 una colonna di ceceni sotto la guida di Basaev occupa alcuni villaggi del sudovest della repubblica del Daghestan dove proclama uno stato islamico indipendente. L'offensiva russa costringe Basaev al ritiro. Ma ci riprova in un'altra zona a settembre. Maskhadov si dice estraneo alle azioni degli "estremisti". All'inizio di ottobre i russi isolano il confine con il Daghestan e la Cecenia ed occupano il nord della Cecenia fino al fiume Terek dopo intensi bombardamenti. 120.000 ceceni si rifugiano in Inguscezia. Mosca disconosce la legittimità di Maskhadov, ma riconosce invece il parlamento fantoccio che aveva fatto eleggere nel 1996.

USA ed Europa anche in questa occasione sostengono nei fatti il "diritto" russo contro i ceceni, limitandosi a deplorare gli eccessi. A Mosca il 29 ottobre il vicesegretario di stato USA Strobe Talbott dichiara che "gli Stati Uniti comprendono che la Russia ha un atteggiamento molto serio e realistico di fronte all'estremismo e al terrorismo. Gli Stati Uniti sperano che la Russia troverà un modo per superare questa sfida e per ridurre al minimo le vittime civili". Il rappresentante di Washington presso l'OSCE, Vershbow, dichiara: "Noi appoggiamo l'integrità territoriale della Russia e non mettiamo in discussione il diritto di prendere adeguate iniziative militari contro il terrorismo". (Corriere della Sera 30-10-99)

 

NOTE

(1) I circassi occidentali, altra popolazione caucasica, che erano stati sempre liberi, sconfitti dai russi, decisero un'autodeportazione nell'impero ottomano che comportò il trasferimento di 400.000 persone, due terzi dell'intera etnia e lo stesso fecero i ceceni in minori proporzioni (il 10% circa) nella seconda metà del secolo scorso.

(2) Più a ovest invece essi erano soprattutto contadini affamati di terra, giunti con la liberazione dalla servitù della gleba.

(3) la Transcaucasia, cioè quelle che oggi sono l'Azerbaigian, la Georgia e l'Armenia, si era già dichiarata autonoma nel novembre 1917

(4) Successivamente la valutazione su Shamil doveva divenire il terreno di scontro "virtuale" tra russi e ceceni e daghestani, con duelli storici, che da parte dei non russi avevano per fine la riabilitazione del personaggio.

(5) Il distretto di Prigorodyj rimase però all'Ossezia. Cosa che li porterà nel '93 l'Inguscezia ad invadere la regione chiedendo il ritorno del distretto. L'intervento russo riporta le cose al punto di partenza.

(6) Ad esempio nel 1968 furono arrestati vari personaggi legati all'islamismo radicale. Tra maggio e luglio 1969 scoppiarono bombe sotto il monumento del generale russo Ermolov, "eroe" della conquista zarista del Caucaso.

(7) Tra i quali Radujev, che però morirà in circostanze misteriose a marzo.