I Mapuche: forse sono finite le repressioni
Terra
e libertà, gli indios mapuche ora sperano nel riconoscimento. Il Cile
diventerà multiculturale?
Da "Liberazione" del 20/11/08. Di Giusto Catania. Reds - Novembre
2008
Temuco
è la capitale dell'Araucania, la regione dei laghi a sud di Santiago
del Cile: il paesaggio bucolico e la folta vegetazione nascondono bene l'anima
passionale e indomita della sua popolazione, infatti Temuco è soprattutto
l'insediamento storico dei Mapuche, la più numerosa e antica popolazione
indigena del Cile. Anche se, ormai, la maggior parte della popolazione originaria
di questo straordinario paese andino vive nelle grandi città e in particolare
nell'inquinata e caotica capitale. Nel censimento del 1992 in Cile il 10%
dei tredici milioni degli abitanti si definiva indigena, dopo dieci anni malgrado
l'aumento della popolazione (oltre quindici milioni) il numero degli indigeni
è diminuito a 632 mila.
Secondo gli analisti la ragione di tale diminuzione è da ricercare
nel fatto che gli indigeni hanno paura a farsi identificare, poiché
si è radicata una tendenza alla loro criminalizzazione che li avrebbe
indotto a nascondere la propria identità. A sostegno di questa tesi
c'è il fatto che il crollo della presenza indigena è registrato
esclusivamente a Santiago del Cile dove, per via delle grandi dimensioni della
città (il 40% della popolazione cilena vive nella capitale), è
più facile mescolarsi col resto della popolazione. L'inurbamento degli
indigeni cileni, tuttavia, non ha affatto cancellato una delle grandi questioni
che sta attraversando tutta l'America latina: le rivendicazioni legate al
protagonismo dei popoli originari, sopravvissuti al genocidio colonizzatore
iniziato da Cortès Pizzarro e Valdivia, continua ad essere una delle
priorità nell'agenda politica di Bolivia, Ecuador, Brasile, Venezuela,
Colombia, Messico. In Cile l'argomento è considerato marginale, spesso
omesso nelle diatribe tra governo e opposizioni, malgrado l'attenzione internazionale
riservata alla costante criminalizzazione nei confronti del popolo Mapuche.
Nel luglio del 2003, a seguito delle numerose denunce sulle violazioni dei
diritti umani avanzate da associazioni e Ong, il relatore speciale dell'Onu
per le libertà e i diritti dei popoli indigeni, Rodolfo Stavenhager,
organizzò una missione nel paese. Nel novembre dello stesso anno, la
relazione Stavenhager decretava «una stretta relazione tra la diffusa
povertà del Paese e l'identità indigena». Inoltre veniva
sottolineata la pratica costante di sottrazione della terra, originariamente
di proprietà delle comunità Mapuche, effettuata, spesso in modo
violento, da parte delle imprese minerarie, idroelettriche, forestali che
hanno saccheggiato le terre indigene privatizzando i beni comuni, a partire
dall'acqua che per il 90% è nelle mani dei privati, in particolare
delle imprese spagnole ed italiane, in primis Endesa ed Enel. La reazione
delle popolazioni indigene, in difesa della propria terra e dell'acqua, è
stata oggetto di una repressione cruenta che, negli ultimi anni, ha prodotto
la morte di due giovani mapuches uccisi dalle forze armate cilene (ovviamente
nessuna condanna è stata comminata dal giudice militare che ha competenza
sui crimini delle forze armate!) e decine di arresti (sono 21 gli indigeni
sotto processo). Nei confronti delle comunità indigene viene puntualmente
applicata la legge antiterrorista, una legislazione speciale che lo stesso
Stavenhager ha classificato come «un vulnus al giusto processo»
e che sancisce una equazione inaccettabile tra diritto degli indigeni e azioni
terroristiche. Per tanto tempo, malgrado le promesse elettorali di tutti i
Presidenti della Repubblica di centrosinistra che ininterrottamente dal 1990,
dal ritorno alla democrazia, si alternano al potere la situazione è
rimasta imbalsamata e solo recentemente, con la presidenza di Michelle Bachelet,
cominciano a percepirsi i primi segnali di un cambio di rotta rispetto alla
condizione indigena.
Come primo atto, Bachelet ha avuto il merito di non aver più costituito
il governo come parte civile nei processi contro gli indigeni e ha fissato
una nuova agenda di discussione politica tra lo Stato e i popoli indigeni
attraverso un documento chiamato "Riconoscere - patto sociale per la
multiculturalità", in cui si sviluppa un nuovo approccio sulla
politica indigena tesa al riconoscimento multiculturale dello Stato. Inoltre,
nel marzo di quest'anno, dopo 18 anni di attesa, il Senato ha approvato la
ratifica della Convenzione 169 dell'Organizzazione Internazionale del Lavoro,
il più importante strumento giuridico internazionale per i popoli indigeni,
in cui si stabiliscono disposizioni sui diritti umani, sul possesso di terra,
sulla difesa delle culture originarie e del territorio.
Tuttavia l'interpretazione del Senato cileno alla Convenzione è stata
restrittiva poiché non si è riconosciuta l'esistenza dei popoli
indigeni ma si è sancita l'esistenza di etnie diverse che sono parte
del popolo cileno. È la stessa argomentazione che continua ad impedire
l'approvazione delle modifiche costituzionali che dal 1991, giacciono nei
cassetti del Parlamento di Valparaiso. È necessario un quorum di 5/7
del Parlamento e la destra impedisce il cambio della Costituzione con la motivazione
che il riconoscimento dei popoli indigeni rischia di frammentare l'unità
e l'identità del popolo cileno. Un'argomentazione identitaria e nazionalista
che espelle dalla Costituzione, che continua ad essere immodificata dall'epoca
di Pinochet, la questione della terra, della lingua e della cultura indigena.
Tutto ciò malgrado dal 1993 esista una legge sugli indigeni, voluta
dal Presidente Patricio Aylwin, che riconosce l'esistenza di otto distinti
gruppi nel territorio cileno: Mapuche, Aymara, Rapa Nui, Atacamenos, Quechas,
Collas, Alacalufe e Yagàn. Una legge importante che rimane esclusivamente
sulla carta: infatti la sua mancata applicazione è la genesi del nuovo
conflitto tra le comunità indigene, le imprese che sfruttano le risorse
naturali del territorio e lo Stato.
Le comunità indigene oltre ad essere criminalizzate sono, di fatto,
escluse dalla partecipazione politica. Negli ultimi anni nel Parlamento cileno
non è presente neanche un Mapuche e il sindaco democristiano di Temuco,
Francisco Huenchumilla, che per tanto tempo è stato l'autorità
indigena più autorevole del Paese tra qualche giorno dismetterà
il suo incarico e, come se non bastasse, per dinamiche di potere interne alla
coalizione di centrosinistra, per la prima volta nella città degli
indigeni le elezioni sono state vinte da un candidato della destra pinochettista.
Per gli indigeni cileni sarà fondamentale il prossimo anno, così
come per tutti i cittadini cileni, perché si voterà per le elezioni
presidenziali e parlamentari. Le recenti amministrative hanno rafforzato la
destra che ha vinto nei più grandi comuni del Paese anche se la Concertacion,
la coalizione di governo, continua ad avere la maggioranza nelle elezioni
per i consigli comunali.
La politica indigena è un pezzo fondamentale su cui si giocherà
la prossima fondamentale partita per impedire che gli eredi di Pinochet possano
riprendersi il Paese che, quest'anno, celebra il centesimo anniversario della
nascita di Salvador Allende. Le grandi manovre sono già partite e mentre
la destra, da tempo, ha già scelto di candidare l'imprenditore Sebastiàn
Piñera, espressione del berlusconismo in salsa cilena; nella Concertaciòn
invece si profilano primarie tra gli ex Presidenti, il democristiano Eduardo
Frei e il socialdemocratico Ricardo Lagos, col presidente dell'Organizzazione
degli Stati Americani, il socialista Josè Miguel Insulza che fa la
parte del terzo incomodo.
È una partita difficile e, in questo contesto inaspettatamente fluttuante
di una politica cristallizzata come quella cilena, giocheranno altri protagonisti
che saranno determinanti per il futuro del Cile: il presidente del Senato
Adolfo Saldivar che, rompendo con la Democrazia cristiana, ha fondato un partito
che alle amministrative ha preso il 7% e il senatore Alejandro Navarro che
ha fondato il Mas, uscendo dal Partito socialista, e che potrebbe essere sostenuto
alla presidenza della Repubblica dalla coalizione della Sinistra (Partito
Comunista, Umanisti e Sinistra Cristiana) che alle amministrative ha raccolto
il 9,1%.
Le diplomazie sono già al lavoro poiché una soluzione al doppio
turno sembra la più plausibile per le prossime presidenziali. Ognuno
si vuole pesare e i boatos parlano pure di un candidato Mapuche, magari con
un nuovo partito che possa rimettere insieme tutte le comunità indigene.