Ocalan, il popolo curdo e l'autodeterminazione del Kurdistan.
Una sintesi delle vicende che hanno portato alla cattura del leader curdo. Di Loris Brioschi. Dicembre 1999.


L' ingiustizia è fatta

Abdullah Ocalan è l'uomo che per vent'anni ha condotto la lotta dei curdi contro lo Stato turco. Nato nel 1949 in una povera e numerosa famiglia di contadini nel villaggio di Omerli, nel Sudest della Turchia, al confine con la Siria, Ocalan iniziò la sua militanza politica all' università di Ankara, dove studiava scienze politiche. Imprigionato per sette mesi nel 1972 per attività a favore dei curdi, Ocalan insieme a studenti suoi amici, fondò il 27 novembre 1978 il PKK, di ispirazione marxista-leninista. Dopo il colpo di stato dei militari turchi nel 1980, Ocalan fuggì all'estero. Il 15 agosto 1984 lanciò la campagna militare per la creazione di uno stato curdo indipendente.
La sua base 'politica' è stata da allora Damasco. Sempre in Siria e nella valle libanese della Bekaa, vi erano le basi operative del movimento. Le pressioni turche sulla Siria divennero negli anni '90 sempre più forti e Ocalan fu costretto a chiudere alcune basi. Più volte, a partire dal 1993, tentò di aprire un dialogo con Ankara dichiarando tregue unilaterali (che caddero sempre nel vuoto). Nell'ottobre 1998 Ocalan è stato espulso dalla Siria e ha iniziato un lungo peregrinare che lo ha portato in Europa.

Dopo aver vagato per quattro mesi attraverso vari stati europei tra cui l'Italia, Abdullah Ocalan è stato infine consegnato al governo di Ankara, il 15 febbraio 1999 in Kenia, e trasferito in Turchia dove è tuttora incarcerato nel penitenziario di Imrali. E' in questa isola-prigione generalmente riservata ai condannati a morte e dove furono, com'è noto, giustiziati nel 1960 l'ex primo ministro democratico Adnan Menderes e due suoi ministri, che è stato giudicato il dirigente del Partito dei lavoratori del Kurdistan. Nel loro insieme i kurdi si sentono umiliati, beffeggiati e ripetono con insistenza il loro adagio dei tempi cattivi: "I kurdi non hanno amici". Per la maggior parte di loro, il dirigente del Pkk, oggetto di una vera e propria caccia all'uomo, è stato vittima di un "complotto" turco-americano-israeliano, con la complicità dei governi greco e keniota. Da qui la loro collera e l'ondata di manifestazioni, contro le rappresentanze diplomatiche di questi paesi in Europa, in Medioriente e in Caucaso.
L'Europa, che accoglie molti dittatori sanguinari e corrotti del Sud, ha chiuso le sue porte al capo kurdo, sotto la pressione di Washington e per paura delle rappresaglie economiche turche, soprattutto nel settore della vendita di armi. I dirigenti kenioti, alla guida di un paese al limite del collasso finanziario, accusato di lassismo dagli Stati Uniti dopo l'attentato omicida commesso contro la loro ambasciata a Nairobi nell'agosto del 1998, vista la contropartita economica e politica, hanno dovuto accettare di compiere l'incarico che gli era stato assegnato.

Il ruolo che svolse Atene fu molto più complesso. L'opinione pubblica greca, per la maggior parte filo-kurda, fu sconvolta da questo "tradimento". Le autorità greche non hanno ancora fornito una spiegazione soddisfacente sulle ragioni che le hanno portate, il 2 febbraio 1999, a mandare Ocalan in Kenia, paese noto per essere una base dei servizi di informazione israeliani e molto sensibile alle pressioni americane. Né hanno spiegato le ragioni per le quali i diplomatici greci hanno consegnato Ocalan alle autorità keniote. Secondo alcuni giornali turchi, Atene avrebbe accettato di consegnare Ocalan in cambio del nulla osta americano e turco per l'installazione a Creta dei missili SS-300, comprati alla Russia da Cipro. Gli Stati uniti, che dopo il clamoroso fallimento delle loro operazioni segrete in Iraq, nel 1996, cercano di sviluppare una nuova strategia per rovesciare il regime iracheno, hanno più che mai bisogno della cooperazione della Turchia, membro della Nato, per l'utilizzo della base di Incirlik. Per compiacere Ankara, Washington ha messo il PKK nella lista delle organizzazioni terroristiche, pur non avendo questo mai commesso attentati anti-americani.

Per gli Stati uniti, il PKK costituisce anche l'ostacolo maggiore all'applicazione degli accordi di pace conclusi nel settembre del 1998 tra i due principali partiti kurdi iracheni sotto l'egida di Madeleine Albright, visto che Siria e Iran si servono del PKK per opporsi alla pax americana. Non è un mistero che Washington considera il PKK e il suo leader, "nemici da abbattere", anche nel disegno di favorire la progressiva democratizzazione del regime turco e la sua integrazione all'Unione europea. Israele afferma di non aver partecipato, direttamente, all'operazione contro Ocalan. Ciò nonostante, sono stati i suoi servizi segreti il Mossad a informare Ankara dell'arrivo del capo kurdo a Mosca, nell'ottobre 1998, e consiglieri israeliani addestrano le forze speciali turche in lotta contro il PKK.

Ocalan, dopo un processo puramente formale, è stato condannato a morte per alto tradimento, in virtù dell'art. 125 del codice penale. La Turchia è uno stato dove la giustizia ha potuto condannare a due secoli di prigione, l'intellettuale turco Ismail Besikçi per i suoi scritti sui kurdi, e dove gli appelli per un giudizio equo dei deputati kurdi, non hanno impedito, nel 1994, la condanna di questi ultimi a quindici anni di prigione per reati di opinione... Sono, d'altro canto, gli stessi procuratori e giudici della Corte per la sicurezza dello stato, responsabili della condanna dei deputati kurdi, che hanno giudicato Ocalan secondo leggi e procedure incompatibili con la Convenzione europea dei diritti dell'uomo.

Con la violenza della disperazione senza illusioni il PKK ha preparato i suoi militanti al peggio, mettendo in rilievo questa frase attribuita ad Ocalan: "La mia morte servirà la causa kurda ancora meglio che la mia vita". Il consiglio presidenziale del PKK che comprende com'è noto Cemil Bayik, numero due dell'organizzazione, Osman Ocalan, fratello di "Apo", e Murat Karayalçin, ha fatto leggere, nel febbraio scorso, sulle antenne della rete kurda Med-Tv, un comunicato che chiamava "all'estensione della guerra a tutti gli obbiettivi civili e militari, in Turchia e in Kurdistan" e al "proseguimento delle manifestazioni pacifiche all'estero".

Quale strategia per il Kurdistan?

A differenza dei fratelli d'Iraq o d'Iran, i kurdi della Turchia hanno una carta in più da giocare nella lotta per affermare i loro diritti: Ankara aspira a un posto nell'Unione europea. Un obiettivo impossibile da raggiungere finché la Turchia non si dimostrerà capace di rispettare i diritti umani e risolvere la questione kurda.
La "sporca guerra" ha fatto dal 1984 più di 30.000 morti nell'est del paese, cacciato dalle proprie case alcuni milioni di persone, accusate di avere simpatie per i ribelli, e distrutto più di 3000 villaggi. Il "terrorismo di stato" è l'arma a cui ricorre l'esercito turco. D'altra parte, Ocalan, come abbiamo già detto, ha già affermato, almeno dal 1993 che il semplice riconoscimento della questione kurda da parte di Ankara permetterebbe l'apertura di un dialogo con le autorità turche, in un quadro ancora da definire. Un Paese terzo, la Svezia, la Germania o un altro membro dell'Unione europea potrebbero svolgere un ruolo di intermediazione. In questo caso, continua il dirigente kurdo, il PKK sarebbe pronto a deporre le armi. Per provare la sua buona fede, prima ancora dell'espulsione dalla Siria, Abdullah Ocalan aveva proclamato dal primo settembre 1998 un nuovo cessate il fuoco unilaterale.

Abdullah Ocalan ha fatto di tutto per togliersi di dosso l'etichetta di "terrorista", che gli ha affibbiato lo stato turco e per essere riconosciuto il rappresentante non solo della sua corrente politica, ma di tutto il movimento autonomista kurdo. Nel dicembre 1998 ha condannato gli atti di "terrorismo" compiuti dai comandanti militari del PKK. In una conferenza stampa a Ginevra il 24 gennaio 1995, il PKK annunciava che si sarebbe impegnato a rispettare le convenzioni di Ginevra del 1949 e il protocollo del 1977 sulla condotta della guerra e la protezione delle popolazioni civili. Tracciava una distinzione precisa tra militari, gendarmi, milizie anti- PKK che restavano l'obiettivo da colpire e i civili.

Negli ultimi anni Abdullah Ocalan, ha cercato di isolare Semdin Sakik, uno dei principali comandanti militari del PKK dalla fama di duro e inflessibile, che veniva presentato come il suo braccio destro. Sakik ha preso l'iniziativa di rompere il primo cessate il fuoco proclamato dal capo del PKK il 17 marzo 1993, organizzando una imboscata che è costata la vita a trenta militari di leva. Privato di ogni carica, Semdin Sakik lascerà il PKK il 17 marzo 1993, per unirsi al Partito democratico kurdo (PDK, in Iraq) di Massud Barzani, ma senza portare con sé nessuno dei compagni d'armi.
Per allargare la sua rappresentatività, il capo del PKK ha partecipato alla costituzione del Congresso nazionale kurdo, che ha riunito per la prima volta a Bruxelles, il 19 e il 20 dicembre 1998, una ventina di organizzazioni kurde di Iran, Iraq, Siria e Turchia e un centinaio di personalità indipendenti.
Un organismo che nelle intenzioni dovrebbe essere per i kurdi ciò che l'OLP è stato per i palestinesi. Il parlamento kurdo in esilio, che siede a Bruxelles e i cui membri provengono dalle quattro principali regioni del Kurdistan e dalla comunità kurda in Europa, ha sostenuto questo piano. Il PDK di Massud Barzani, invece, che controlla una parte del nord dell'Iraq e si è alleato con Ankara contro il PKK, rifiuta di parteciparvi.

E' in Germania che la comunità kurda originaria della Turchia è più forte; conta da 500.000 a 600.000 persone su due milioni di cittadini turchi immigrati. Bonn è da alcuni decenni l'alleato "privilegiato" in Europa della Turchia. Da qui una serie di attentati contro edifici turchi in Germania e manifestazioni organizzate dai sostenitori di Abdullah Ocalan, prese a pretesto dal cancelliere Helmut Khol per mettere fuori legge il PKK, il 26 novembre 1993. E l'ondata di proteste provocata da questa decisione si è infranta contro il muro della polizia.
Nei due anni successivi il PKK ha abbandonato dunque il tipo di campagna che stava conducendo in Germania ed ha cercato di conquistare nuova solidarietà politica e diplomatica verso la causa kurda. Da allora il PKK ha partecipato a varie iniziative e campagne non violente, a cui hanno aderito molte associazioni umanitarie. Una di queste è stata "il treno della pace", partito da Colonia nel marzo 1997 e destinato a Diyarbakir, "capitale del Kurdistan di Turchia", ma fermato con grande brutalità dalle autorità turche. Questa evoluzione ha preparato il terreno per la recente offensiva diplomatica di Ocalan, il cui fallimento ha portato alla ripresa della guerriglia la scorsa primavera. Il congresso del PKK, che si è riunito nel gennaio 1999, ha modificato il programma del partito. Ha riaffermato la legittimità della lotta armata, ma non del terrorismo. Ha abbandonato l'idea di un Kurdistan unito e indipendente, abbracciando quella di una regione autonoma all'interno della federazione turca.

Il ruolo dell'Italia e dell'Unione Europea

Il governo D'alema, nella vicenda Ocalan ha dato prova, della sua scarsa autonomia e della dipendenza dagli Usa. Dopo un incomprensibile balbettio dove non si capiva la sua vera posizione, ha tentato di "scaricare" Apo alla Germania, o ad un altro stato europeo. Non riuscendovi ha "invitato" il leader curdo a "lasciare volontariamente" il nostro paese.
Ironia della sorte, solo dopo molto tempo, e la sua cattura da parte dei turchi, la magistratura italiana accettava lo status di esiliato di Ocalan. Ma questo non è servito a niente, certo non a rifarsi la faccia perduta in questa vicenda.
Se il governo italiano avesse concesso l'asilo politico a Ocalan quando era in Italia, il 25 novembre 1999, non sarebbe stata riconfermata la condanna a morte per impiccagione ed il nostro Paese avrebbe fatto fare un passo in avanti verso la soluzione della questione curda. Il governo D'Alema è quindi complice morale e politico del regime turco. Per riparare l'Italia potrebbe dichiarare la sua contrarietà all'ingresso della Turchia nell'Unione Europea almeno finchè non cesserà la persecuzione dei curdi e non sarà avviato il progesso di democratizzazione. Dovrebbe comunque interrompere il commercio delle armi con la Turchia, armi con le quali il regime turco massacra la popolazione curda. Ma per potere si deve volere, e certamente gli industriali produttori di armamenti non vogliono.

L'Unione Europea ha approvato una risoluzione, il 25 febbraio 1999, dove premettendo la sua condanna del terrorismo ed il mantenimento dell'integrità territoriale della Turchia, si augura l'avvio di un processo di democratizzazione ed il rispetto dei diritti dei curdi (civili, politici, educativi e culturali) nonchè lo sviluppo economico delle regioni curde. Nessun accenno all'arma politica della non ammissione al consesso europeo da parte della Turchia.

Per l'autodeterminazione del popolo curdo

All'alba del XXI secolo, che un popolo di 15 milioni di abitanti, sia smembrato in cinque paesi , e non abbia un riconoscimento legale a livello mondiale è una situazione assurda e grottesca. Questo deve vedere tutti, la sinistra in prima fila, impegnati a lavorare per la sua soluzione. Avremo modo nelle prossime settimane di ritornare su questa questione.

Non possiamo ora , certo, determinarne, né i tempi né i modi, che sono diritto esclusivo della lotta per l'autodeterminazione di tutto il popolo curdo. Il lavoro per creare le condizioni politiche ed economiche è ancora lungo. Possiamo solo sostenere questa giusta aspirazione, attraverso un potenziamento della controinformazione nel nostro Paese, riprendendo le battaglie contro la vendita di armi alla Turchia ed organizzando in un modo più serio e di massa la campagna di boicottaggio del turismo turco. Facciamo in modo che il grido "Ocalan libero, Kurdistan libero" divenga realtà.